Prima parte della conferenza che terrò l’11 dicembre nel liceo Cairoli di Varese
Paride
Il terzo canto dell'Iliade propone il contrasto
tra apparenza e sostanza.
In testa all'esercito troiano si fa vedere Paride con l'aspetto di un dio (qeoeidhv" , v. 16), con
pelle di pantera sopra le spalle, arco ricurvo e spada, e, per giunta,
squassando due lance a punta di bronzo.
Il bellimbusto sfidava tutti i campioni degli Achei. Ma quando
Menelao, contento della preda, saltò a terra dal carro per affrontarlo, il
seduttore di Elena sbigottì in cuore e si ritirò presso i compagni.
Allora Ettore lo assalì con parole infamanti: gli diede del donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav v. 39), poi lo
accusò di smentire l' aspetto splendido (ei\do" a[riston) con un cuore senza
forza né valore (45), in quanto era uomo capace di portare via le donne agli
uomini bellicosi ma non di affrontarli.
Paride è visto dal fratello quasi come un “miles gloriosus” ante
Plautum.
Allora Paride gli risponde di non biasimarlo e non rinfacciargli i doni
amabili dell'aurea Afrodite (“mhv moi dw'r j ejrata; provfere
crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono spregevoli i
magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65) che del resto
nessuno può scegliersi.
Quindi si presta ad affrontare in duello il rivale Menelao. Se la caverà
solo in quanto salvato da Afrodite.
Prefigura il miles gloriosus anche ko spartano Menelao nelle
tragedie di Euripide (cfr. Oreste, 1532 ss, dove il marito di
Elena, xanqov~, si pavoneggia per i riccioli biondi
che gli scendono lungo le spalle.
Nelle Troiane di Euripide, Elena si giustifica dicendo che
Paride fu aiutato da Afrodite, una grande dea cui non resiste nemmeno Zeus.
Ebbene, Ecuba risponde che Afrodite in realtà era la ajfrosuvnh, la stoltezza di Elena
la quale fu attirata dall’eccezionale bellezza di Paride: “h\n
ouJmo;~ uiJo;~ kavllo~ ejkprepevstato~” (v. 987) e la
mente di Elena vedendolo divenne quella Cipride che la trascinò a Troia.
Lo stratego poco prestante
Tutt’altro guerriero è quello preferito da Archiloco
:"non amo lo stratego grande
né dall'incedere tronfio
né compiaciuto dei riccioli, né ben rasato;
ma per me sia pur piccolo, e storto di gambe
a vedersi, però che proceda con sicurezza sui
piedi, e sia pieno di cuore - kardivh" plevo" - [1] frammento 60D.
Odisseo non era bello: "Non
formosus erat, sed erat facundus[2] Ulixes/et
tamen aequoreas torsit amore deas "[3].
Nel terzo
canto dell’Iliade, Priamo chiede a Elena di identificare i
capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte Scee; uno gli
parve "meivwn me;n kefalh'/ jAgamevmnono"
jAtreïdao,/ eujruvtero" d&
w[moisin ijde; stevrnoisin ijdevsqai"(vv.
193 - 194), più piccolo della testa di Agamennone Atride, ma più largo di
spalle e di petto a vedersi. La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto
di ogni sorta di inganni e di fitti pensieri (v. 202). Quindi Antenore aggiunge
che egli l'aveva visto una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando i
due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando stavano in piedi, Menelao
lo sovrastava delle larghe spalle ("stavntwn me;n
Menevlao" uJpeivrecen eujreva" w{mou"", v. 210).
Ulisse, in piedi, se non parlava, sembrava un uomo
ignorante o addirittura uno furente e pazzo, ma, quando parlava, dal petto
mandava fuori parole simili a
fiocchi di neve d'inverno[4] (v. 222), ossia manifestava
la potenza della natura, e allora non si provava più meraviglia per l'aspetto.
Alessandro Magno in un paio di occasioni confonde chi lo vede per la sua
scarsa prestanza
Dopo la battaglia di Isso (333), il vincitore entrò nella tenda delle donne
di Dario con Efestione, longe omnium amicorum carissimus erat regi (3,
12, 16).
Era più prestante di Alessandro, e la regina con le principesse credevano
che fosse lui il re; poi, saputa la verità, si scusarono, ma l’eroe disse: “non
errasti - inquit - mater, nam et
hic Alexander est ” 3, 12, 17.
Cfr. Cicerone De amicitia: Infatti
ciascuno ama se stesso non per far pagare a se stesso una qualche ricompensa
dell’amore suo, ma in quanto ciascuno è caro a se stesso per quello che è. Se
non si trasporterà il medesimo tipo di amore nell’amicizia, non si troverà mai
un vero amico. Infatti è tale chi è come un altro se stesso (Est enim is,
qui est tamquam alter idem, 80)[5].
Talestri dominava tra il Caucaso e il Fasi
che come il Termodonte sfocia nel mar Nero dopo avere attraversato la Colchide.
La regina delle Amazoni era cupidine visendi regis accensa (Curzio
Rufo, VI, 5, 25). Gli fece sapere di essere adeundi eius cognoscendique
avidam (VI, 5, 26), smaniosa di incontrarlo e conoscerlo.
Plutarco dice che alcuni storici tra cui il
pilota della nave di Al Onesicrito danno questa notizia, ma Tolomeo,
Aristobulo, Duride di Samo e altri avvertono che questa è un’invenzione (plavsma, Vita, 46).
Non appena in vista del re Talestri: equo ipsa desiluit duas
lancĕas dextera praefěrens (6, 5, 26) saltò giù dal
cavallo mettendo in mostra due lance con la destra.
Queste donne hanno la mammella sinistra per allattare le figlie, la destra
la bruciano aduritur dextera (28) per usare l’arco. Talestri fissava
Alessandro interrito vultu, con sguardo impavido, scrutandone
l’aspetto (habitum eius oculis perlustrans) haudquaquam rerum famae
parem (29). I barbari infatti venerano l’imponenza del corpo - quippe
omnibus barbaris in corporum maiestate veneratio est - e considerano capaci
di grandi imprese solo quelli che la natura si degnò di gratificare eximia
specie. Alessandro dunque non era bellissimo né maestoso e si può
assimilare allo stratego piccolo ma pieno di cuore di Archiloco.
Del resto la regina, richiesta di cosa volesse, non esitò a
confessare ad communicandos cum rege liberos se venisse, per avere
dei figli in comune.
Niente attira le donne come il successo mentre non perdonano l’insuccesso.
"Le donne non perdonano l'insuccesso", dice bene
Kostantin, il ragazzo suicida di Il gabbiano [6] di Cechov .
La potenza di Afrodite
Cipride è una grande divinità irresistibile
Ecco come si presenta entrando in scena all’inizio dell’Ippolito: “ Pollh;
me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" - qea; kevklhmai Kuvpri~,
oujranou' t j e[sw ( vv. 1 - 2), grande e non oscura dea, sono chiamata Cipride, tra i
mortali e nel cielo.
Nel primo episodio la nutrice di Fedra le attribuisce una
forza d'urto ineluttabile:" Kuvpri" ga;r ouj
forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v. 443), Cipride
infatti non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza.
Nell’Ippolito di
Euripide, Afrodite è la divinità più forte: “Zeus, non meno di Artemide, non ha
voce in capitolo riguardo a ciò che Afrodite può fare, ed ha fatto. Il comitato
o corporazione di divinità ha potere di vita e di morte su di “noi”, i mortali,
ma tra loro questi poteri sono in competizione: essi operano in un “libero
mercato.[7]”
La potenza di Afrodite dunque è massima, e la
principale arma usata da questa dea è la bellezza degli uomini (Paride,
Giasone, Ippolito) e delle donne (Elena).
Sono forse più numerosi i seduttori delle seduttrici.
La potenza di Cipride viene celebrata anche all'inizio della Parodo
delle Trachinie di
Sofocle:"mevga ti sqevno" aJ Kuvpri" ejkfevretai
- nivka" ajeiv" (vv. 497 - 498), Cipride porta con
sé una grande potenza, sempre vittorie. Lo stesso Eracle le è soggetto.
E' la tota ruens Venus dell'Ode I
19 per Glicera di Orazio.
Seguirà Properzio:"Illa
potest magnas heroum infringere vires,/illa etiam duris mentibus esse
dolor " (I, 14, 17 - 18), quella dea può spezzare grandi forze di
eroi, ella può costituire un dolore anche per i cuori duri.
Altrettanta potenza ha Eros
L' amore spesso per Saffo è sconvolgimento: così viene evocato dal fr.
50D:"Eros mi ha squassato
l'anima, come vento che nel monte si abbatte
sulle querce".
L'abbattersi di Eros è echeggiato da
Sofocle nella prima strofe del terzo Stasimo dell'Antigone di
Sofocle:
"Eros invincibile in
battaglia781, - " [Erw" ajnivkate mavcan…"
Eros che sulle ricchezze ti abbatti,
che nelle morbide guance
della fanciulla trascorri la notte,
vai e vieni tanto sul mare quanto
nelle agresti dimore:
e degli immortali nessuno ti sfugge
né degli uomini effimeri;
ma chi ti trattiene è impazzito (oJ
d j e[cwn mevmhnen)790.
Le due principali filosofie
ellenistiche, l'epicureismo e lo stoicismo, che raccomandano
l'imperturbabilità, sconsiglieranno eros[8].
La follia erotica è
assimilabile a quella religiosa, come già in Platone il quale nel Fedro ricorda
che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è stato già trattato da
Saffo e Anacreonte ed elenca quattro modi di
essere fuori di sé: quello dei profeti come la Pizia di Delfi, quello dei
fondatori di religione, quello dei poeti, e quello degli innamorati.
Il filosofo tuttavia non considera negativamente
questa "frenesia divina che è molto più saggia della saggezza del
mondo"[9]. Anzi Socrate vuole dimostrare:"wj"
ejp j eujtuciva/ th'/ megivsth/ para; qew'n hJ toiauvth/ maniva devdotai" (Fedro, 245c) che tale follia è stata
concessa dagli dèi per la nostra più grande fortuna. C'è da notare che maivnomai, "sono pazzo", maniva, "follia" e mavnti" , profeta, hanno la radice comune man(t) - /mhn - .
CONTINUA
[1]Questa alta valutazione
del cuore e del sentimento si ritroverà, com'è noto, negli autori dello Sturm
und drang e del romanticismo: Goethe ne I dolori del giovane
Werther scrive(9 maggio 1772):"egli apprezza la mia intelligenza ed i
miei talenti più del mio cuore, che è pure l'unica cosa della quale sono
superbo, che è pure la fonte di tutto, di ogni forza, di ogni beatitudine e di
ogni miseria. Ah, quello che io so, lo può sapere chiunque - ma il mio cuore lo
possiedo io solo".
[2] Un limite alla facundia,
come del resto alla pietas, lo suggerisce Orazio:" Cum
semel occideris et de te splendida Minos/ fecerit arbitria,/ non Torquate,
genus, non te facundia, non te/restituet pietas" (Carm. IV, 7,
vv. 21 - 24), una volta che sarai morto e Minosse avrà
dato sul tuo conto chiare sentenze , non la stirpe, Torquato, non la facondia,
non la devozione ti restaurerà. Questo limite dunque è la morte, solo la morte.
Del resto dalla morte non ci salverà nemmeno la bellezza.
[3] Ovidio, Ars
Amatoria , II, 123 - 124. Bello non era, ma era bravo a parlare, Ulisse
e pure fece struggere d'amore le dee del mare. Sono versi non per caso citati
da Kierkegaard nel Diario del seduttore .
[4] Plinio il Giovane dà una spiegazione di questo stile
oratorio affermando di preferire fra tutte "illam orationem similem
nivibus hibernis, id est, crebram et assiduam, sed et largam, postremo divinam
et caelestem " ( Ep. I, 20), quell'eloquenza simile
alle nevi invernali, cioè densa e serrata, ma anche copiosa, dopo tutto divina
e scesa dal cielo.
[5] Cfr.
Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem
nolle, ea demum firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le
medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.
[8]A questo proposito si
può leggere, in Lucrezio, l'ultima parte (vv.1063 e sgg.) del IV libro
del De rerum natura che costituisce un vero trattato contro l'amore
e contro le donne. Famosi sono i due versi:"nequiquam, quoniam medio de
fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat "(vv.1133
- 1134), invano poiché dal centro della sorgente dei piaceri sorge qualche cosa
di amaro che tra gli stessi fiori dà l'angoscia.
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