Dalla mia metodologia che esporrò ai colleghi del Liceo Cairoli di Varese il
pomeriggio del’11 dicembre
Religione ed
Economia
Con una
bella sintesi T. Mann definisce la religione: "il senso e il gusto
dell'infinito"[1].
L’economia, da alcuni autori e personaggi della letteratura, è
considerata l’antitesi della religione, o perfino dell’umanesimo inteso come
amore per l’uomo : " E poi
viviamo in un’epoca economica: l’economia è il carattere storico del nostro
tempo… Nell’economia si vede sempre più la mancanza dell'infinito"[2].
“Voi
Italiani avete inventato i cambi e le banche, che Dio ve la perdoni, ma gli
Inglesi inventarono la dottrina economica, cosa che il genio dell’uomo non
potrà mai perdonare…I Padri della Chiesa hanno condannato le parole “mio” e
“tuo”, hanno dichiarato usurpazione e ladrocinio la proprietà privata (…) Essi
erano sufficientemente umani, sufficientemente antiaffaristici da chiamare
l’attività economica un pericolo per la salvezza dell’anima. Odiarono il denaro
e il traffico del denaro, chiamando la ricchezza capitalista tizzone d’inferno
(…) essi chiamarono usura ogni speculazione e dichiararono ogni ricco: ladro o
erede di un ladro. Oh, arrivarono molto in là. Come Tommaso d’Aquino, videro
nel commercio in generale, nel puro traffico commerciale, nel comprare e
vendere, insomma nel trarre vantaggio da una circostanza che non implica la
lavorazione e il miglioramento del patrimonio trafficato, un atto riprovevole”[3].
Sant’Ambrogio[4] nel De Nabuthae già
ricordato da papa Francesco[5], scrive: “Non de tuo
largiris pauperi sed de suo reddis” (53), non concedi del tuo al povero, ma
gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva
comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora
Gezabele, la noglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due
iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto
Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
Dunque: “Nabuthae historia tempore vetus est, usu cottidiana”.
“Per quanto
parli di economia, il nostro tempo è un dissipatore: sperpera la cosa più
preziosa, lo spirito”[6].
Leopardi in Il
pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte della sua
età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù
nemica;/stolta, che l'util chiede,/e
inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-64).
Ancora più
duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di Recanati nella Palinodia
al Marchese Gino Capponi: "anzi coverte/fien di stragi l'Europa e
l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le
fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di
melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).
[5] Cotidie Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura
divites, quae omnes pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum
auro argentoque generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio
claudit sepulchri ( Ambrogio, De
Nabuthae,1 -.2)
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