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sabato 28 dicembre 2019

Saffo. Parte 2. La cosa più bella

Guido Reni, Ratto di Elena (particolare

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Passiamo all'ode più ideologica della produzione di Saffo, quella, non completa chiamata "La cosa più bella" (fr. 27D.):

"alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella, io quello
che uno ama.

Ed è facile assai rendere questo
comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava
nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato il marito, 
che pure era il più valoroso di tutti,

andò a Troia navigando
e non si ricordò per niente della figlia
né dei suoi genitori, ma Cipride la
trascinò, in preda all'amore.

...
...

Anche a me ora ha fatto ricordare
di Anattoria assente.

Di lei ora vorrei vedere l'amabile
passo e il fulgido scintillio del volto
piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono nell'armatura".
Strofe saffiche

Fromm in Marx e Freud (1962) afferma che l’intelligenza è espressione di indipendenza, coraggio, vitalità, mentre la stupidità è sottomissione. Per l’intelligente vivere è un’avventura, non è solo evitare il dolore. Gli intelligenti sono indipendenti intraprendenti, innamorati della vita. Si progredisce soltanto sviluppando la propria razionalità e la propria capacità affettiva (p. 176).

Saffo afferma il proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra, quando la Lidia era la grande potenza militare dell'epoca, ella contrappone quello femminile dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Comincia di qui la palinodia su Elena (la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a essere buona moglie, brava regina di sparta e avveduta padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa kunw'pi~, "faccia di cagna").
Una rivalutazione questa di Saffo che non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro e da Euripide di affermare che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma, né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate (Elena , 67) sostenendo che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco contro la barbarie asiatica in una guerra che prefigurò quella preparata da Filippo di Macedonia, né deve accumulare una disordinata caterva di giustificazioni come Gorgia, il maestro di Isocrate, nell'Encomio di Elena :" ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"(20).
 Saffo è semplice e diretta: la poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della cosa più bella, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o pastoie di qualsiasi genere.

Questa prima affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole dei drammi greci, e procederà a mano a mano fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (1879):"io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta:"prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde:"Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro" (Una casa di bambola , atto terzo).

“Come si vede, si tratta di una riabilitazione di Elena basata su una vera e propria rivoluzione di valori etici e però ben maggiore della riabilitazione razionalistica operata da Stesicoro, che nasce semplicemente da una variante narrativa”[1].

La conclusione di Saffo del resto anticipa quanto scriverà Virgilio nella decima bucolica:"omnia vincit Amor, et nos cedamus Amori "(v. 69), l'amore vince tutto, cediamo all'amore anche noi.
 Entrambe le odi di Saffo qui presentate hanno una "struttura ad anello" in quanto gli ultimi versi tornano sul tema dei primi, secondo quel movimento circolare che gli antichi notavano nell'eterno volgersi delle stagioni e nell'intera natura.
Riporto, per contrasto anche alcune condanne dell’adulterio, in particolare di quello femminile
Scegliete voi. Io ho frequentato adultere e non ne sono pentito siccome considero il matrimonio una istituzione innaturale, almeno per me e per quanti praticano l’adulterio

Riporto anche alcune condanne dell'adulterio.
Teocrito nell' Encomio di Tolomeo (XVII) fa l'elogio del padre e della madre del Filadelfo ossia di Tolomeo I Soter e Berenice che si piacevano e amavano reciprocamente: mai nessuna donna piacque al marito quanto Tolomeo amò la sua sposa. Ebbene lei lo contraccambiò e questa è la condizione per la quale un uomo può affidare la casa ai figli:"oJppovte ken filevwn baivnh/ levco" ej" fileouvsh"". (XVII, 42), quando innamorato entri nel letto di lei innamorata.
Le nozze, seppure endogamiche, dei loro figli Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe sono altrettanto santeanzi il loro iJero;" gavmo" (XVII, 130) matrimonio sacro è assimilato alla ierogamia di Era e Zeus, fratello e sorella anche loro .
 Altrimenti c'è la rovina del gevno" : l'animo di una donna che non ama è rivolto sempre a uno di fuori, i parti sono facili e i figli non assomigliano al padre (vv. 43 - 44). La moglie fedele dunque è necessaria per garantire la trasmissione del patrimonio accumulato a figli "di paternità indiscussa".
Secondo F. Engels (1820 - 1895) è questa la ragione più vera della famiglia monogamica e della sottomissione della donna:"la monogamia nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola, precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"[2].
Ma torniamo alla fedeltà delle spose dei primi Tolomei. 
Catullo nel carme 66 traduce la Chioma di Berenice di Callimaco e aggiunge cinque distici ( 79 - 88) che contengono un biasimo dell'adulterio. La storia d'amore è nota. La regina aveva promesso di offrire la propria capigliatura al tempio di Arsinoe Zefirite se suo marito Tolomeo III Evergete (246 - 221) fosse tornato sano e salvo dalla spedizione contro Seleuco II re di Siria (246 a. C.). Sciolto il voto, la treccia sparì e l'astronomo Conone affermò di averla scoperta in cielo in una costellazione dove gli dèi l'avevano assunta.
 Callimaco per assecondare questo elogio cortigianesco raccontò l'episodio in distici elegiaci e lo inserì negli Aitia . "Questo poeta rese omaggio anche in altre occasioni alle donne della famiglia reale, e quando l'astronomo di corte Conone riscoprì in cielo, trasformata in costellazione, la ciocca di capelli che la moglie dell'Evergete aveva deposto in un tempio come offerta votiva per il felice ritorno del marito, il poeta, ormai vecchio, dedicò alla giovane regina un galante carme augurale, la Chioma di Berenice, che dovette indubbiamente esser letto con la stessa sorridente intelligenza con cui era stato composto. Da allora, nel regno tolemaico, le donne ebbero sempre una posizione di rilievo nella politica, fino alla diabolica Cleopatra, che seppe incantare con i suoi vezzi un Cesare e arrivò a sognare di stabilirsi, signora del mondo, sul Campidoglio a fianco di Antonio"[3].
 Dunque Berenice maior era la moglie di Tolomeo I Sotèr; Arsinoe di Tolomeo II Filadelfo; Berenice minor di Tolomeo III Evergete.




[1] E. Rossi, R. Nicolai, Letteratura greca, 1 L’età arcaica, p. 361.
[2] F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (del 1884) , p.86 e p. 100.
[3] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 735.

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