autore ignoto, Nietzsche |
Nietzsche e l’Apollineo
Nietzsche parla di
giustificazione estetica della vita data dall’arte. Senza questa ci sarebbe la
sapienza silenica e la negazione buddistica della volontà, per l’impossibilità,
denunciata da Amleto di rimettere in sesto un mondo uscito dai cardini. Ma
l’arte trasforma l’atroce in sublime e l’assurdo in comico
L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai
mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica
non essere nati, non essere, la cosa più bella.
Nietzsche
mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella
sfera dell'apollineo: "Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la
misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla
necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te
stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso
furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età
titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[1].
“Il culto dell’immagine che è proprio della cultura apollinea, quale si manifesta nel tempio, nella statua o nell’epos omerico, aveva
il suo scopo più alto nell’esigenza
etica della misura, che corre parallela all’esigenza estetica della bellezza (…) La misura, sotto il cui
giogo si muoveva il nuovo mondo di dèi (a fronte di un distrutto mondo di
Titani), era quella della bellezza: il limite, cui il greco doveva attenersi,
quello della bella apparenza”[2].
La bella apparenza spesso può nascondere il profondo ma può anche
significarlo: “Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere
occorreva arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla
scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo
dell’apparenza! Questi Greci erano
superficiali - per profondità! E non facciamo appunto ritorno
a essi, noi temerari dello spirito (…) Non siamo esattamente in questo - dei Greci?
Adoratori delle forme, dei suoni, delle parole? Appunto perciò (…) artisti”[3].
“E’ cosa
abbastanza strana, per quanto ben comprensibile, che la prima forma in cui lo spirito europeo si è
ribellato all’età borghese sia stato l’estetismo. Non a caso ho nominato
insieme Nietsche e Wilde come
ribelli, e propriamente ribelli in nome della bellezza”[4].
“La vita può
giustificarsi soltanto come fenomeno estetico”[5].
Confutazione e inversione della sapienza silenica.
Non bisogna trascurare
la componente estetica della civiltà ellenica che si distingue dalle altre
anche per il culto della bellezza; secondo Nietzsche i Greci hanno vinto l'orrore del caos e
rovesciato la triste sapienza silenica, la quale rifiuta la vita, attraverso la giustificazione estetica ed
eroica dell'esistenza umana:
"Il
Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter
comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita
sognata degli dèi olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della
natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l'avvoltoio del grande amico degli uomini
Prometeo, il destino
orrendo del saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che
costringe Oreste al matricidio,
insomma tutta la filosofia del
dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschi, fu dai Greci ogni volta superata, o comunque
nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli
dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi
dèi: questo evento noi dobbiamo senz'altro immaginarlo così, che dall'originario ordinamento divino titanico
del terrore fu sviluppato attraverso quell'impulso apollineo di
bellezza, in lenti passaggi, l'ordinamento
divino olimpico della gioia, allo stesso modo che le rose spuntano da spinosi
cespugli (…) Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi
stessi - la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di
dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli
uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene
presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire
presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un
giorno". Se una volta risuona il
lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il
mutare della stirpe umana come le foglie[6],
per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse
pure come un lavoratore a giornata[7]. Nello stadio apollineo la "volontà"
desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente
con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua
lode"[8].
Dal dolore
dei Greci si sviluppa non solo la comprensione ma anche la bellezza, una sorta
di tw/' pavqei kavllo" :"Una questione
fondamentale è il rapporto del Greco col dolore…la questione se in realtà il
suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di
divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla
privazione, dalla malinconia e dal dolore…quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[9].
Con il
termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso
l'"individuo" tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in
rilievo, rende forte (…) Lo sviluppo ulteriore dell'arte è legato
all'antagonismo di queste due forze artistiche della natura così
necessariamente come lo sviluppo ulteriore dell'umanità è legato
all'antagonismo dei sessi. La pienezza della potenza e la moderazione, la più
alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa:
l'apollinismo della volontà ellenica"[10].
“Nel fondo
del Greco c'è la mancanza di misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la
prodezza del Greco consiste nella lotta con il suo asiatismo: la bellezza non
gli è donata, non più della logica, della naturalezza dei costumi - esse sono
conquistate, volute, strappate - sono la sua vittoria"[11]..
L’apollineo
è, riassumendo, la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai
mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica
non essere nati, non essere, la cosa più bella.
Grazie al mondo olimpico l’esistenza diventa sopportabile, anzi
desiderabile, per quel popolo incline a soffrire. Così gli dèi giustificano la
vita umana, vivendola loro stessi.
Allora la sapienza silenica si ribalta
La misura apollinea e omerica dunque costituisce un antidoto a tale
pessimismo: Omero giustifica le difficoltà e gli inganni della vita con l'eroismo
e la bellezza; allora vivere, vivere comunque, diventa il bene supremo, e
Achille nell'Ade chiede a Odisseo di non volere consolarlo della morte ("mh; dh; moi
qavnaton ge parauvda, Odissea , XI, 488)
Vediamo quindi il rovesciamento della sapienza silenica
Odissea
Achille nella Nevkuia dice al
figlio di Laerte "non consolarmi della morte, splendido Odisseo./Io
preferirei essendo un uomo che vive sulla terra servire un altro,/presso un
uomo povero, che non avesse molti mezzi per vivere,/piuttosto che regnare su
tutti i morti consunti"(Odissea , XI, 488 - 491).
Essere vivi diventa il valore supremo. "Per esprimere con
impressionante efficacia il suo rimpianto per la vita, il morto Achille dice a
Odisseo che lo incontra nell'oltretomba: vorrei lavorare come un thes ( qhteuevmen[12], Od. XI, 489)"[13].
Già nel IX canto dell’Iliade Achille aveva detto che niente ha
lo stesso valore della vita: “ouj ga;r ejmoi; yuch`~ ajntavxion (v. 401): non le ricchezze di Ilio prima della guerra, non quanto racchiude
la soglia di pietra del tempio di Apollo.
Buoi e grassi montoni si possono rapire, i tripodi si possono comprare e
pure bionde criniere di cavalli, ma la vita di un uomo (ajndro;~ de;
yuchv) non la puoi rapire né afferrare perché torni
indietro, quando ha superato la chiostra dei denti (405 - 408).
“Un atteggiamento passeggero e dettato dall’odio verso Agamennone e gli
Achei…Poi Achille torna in battaglia per riconquistare il suo statuto e il suo
destino, torna alla sua scelta per una vita breve e gloriosa: il dubbio,
dettato dall’odio temporaneo verso i compagni, è il pensoso chiaroscuro
introdotto da un grande poeta”[14].
Nel III
libro della Repubblica di Platone continua l’indice dei passi
proibiti: “ejxaleivyomen a[ra… pavnta ta; toiau`ta” - ejxaleivfw Repubblica, 386c - cancelleremo dunque
ogni passo siffatto. E cita la Nevkuia dove l’ombra di Achille dice
che preferirebbe essere un servo di campagna (ejpavrouro~) ed essere uno qhv~ (qhteuevmen) un salariato di un uomo diseredato
(ajklhvrw/) un
indigente, piuttosto che dominare sulle ombre consumate dell’Ade.
Quindi
bisognerà cancellare i vv. 64 - 65 del XX canto dell’Iliade, Ade, in
seguito a un terremoto provocato da Poseidone, teme che l’Ade si scoperchi e
appaiano a tutti, mortali e immortali le dimore spaventose, ammuffite che i
numi hanno in odio. La morte infatti non deve essere aborrita poiché purifica
l’anima dal corpo (cfr. Fedone, 67b - d).
Poi ancora i
versi 103 - 104 di Iliade XXIII quando Achille che ha parlato
in sogno con Patroclo vorrebbe abbracciarlo, ma l’anima sparì sotto terra come
fumo, stridendo (hjΰte kapno;~ - w[/ceto tetrigui`a - trizw, strido); allora Achille esclama che nelle dimore dell’Ade c’è la yuchv che però è solo un ei[dwlon, senza mente (frevne~, v. 104).
Su questo ribaltamento sentiamo Leopardi: “La morte consideravasi dagli antichi come il maggiore
de’ mali; le consolazioni degli antichi non erano che nella vita; i loro morti
non avevano altro conforto che d’imitar la vita perduta; il soggiorno dell’anime,
buone o triste, era un soggiorno di lutto, di malinconia, un esilio; esse
richiamavano di continuo la vita con desiderio, ec. ec…. (14 Ottobre 1828)”[15].
[2]Nietzshe, La visione dionisiaca del mondo ( Die
dionisische Weltanschauung, 1870), cap. 2. In Verità e menzogna e altri
scritti giovanili, Newton Compton, Roma, 1981
[6] Cfr. Iliade, VI, 146:"oi[h per
fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n", proprio quale la stirpe delle foglie, tale è
anche quella degli uomini. Glauco e Diomede (n. d. r.)
Passiamo a
un frammento di Mimnermo: il 2 D.
" Noi, Come le
foglie (hjmei'~ dj oi|av te fuvlla) che genera la fiorita stagione
di primavera,
quando crescono in fretta ai raggi del sole simili a quelle, per il tempo di un
cubito, godiamo dei fiori
di
giovinezza, senza conoscere dagli dèi né il male
né il bene.
Destini neri ci stanno accanto
uno che ha
il termine della vecchiaia tremenda,
l'altro di
morte: un attimo dura il frutto
di
giovinezza, per quanto sulla terra si diffonde un raggio di sole.
Ma quando
questo termine di tempo sia trapassato,
subito
essere morto è meglio della vita:
infatti
molti mali sopraggiungono nell'animo: talora la casa va in rovina e ci sono le
vicende dolorose della povertà:
a un
altro poi mancano figli, di cui soprattutto
sentendo il
desiderio va sotto terra nell'Ade;
un altro ha
una malattia che gli consuma il cuore: non c'è nessuno
degli
uomini, cui Zeus non dia molti mali". Distici elegiaci
[12] infinito atematico con desinenza - men (considerato un eolismo come
vedremo) del verbo qhteuvw che significa "lavoro come salariato, qhv""; ebbene, commenta M. Finley,
"Un thes , non uno schiavo, era l'ultima creatura sulla
terra che Achille potesse pensare. Il terribile per un thes era il
fatto di non avere legami, di non appartenere a nulla" (Il mondo di
Odisseo , p. 39).
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