NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 13 dicembre 2019

La Bellezza. Ottava parte


autore ignoto, Nietzsche

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Nietzsche e l’Apollineo

Nietzsche parla di giustificazione estetica della vita data dall’arte. Senza questa ci sarebbe la sapienza silenica e la negazione buddistica della volontà, per l’impossibilità, denunciata da Amleto di rimettere in sesto un mondo uscito dai cardini. Ma l’arte trasforma l’atroce in sublime e l’assurdo in comico
L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.

Nietzsche mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella sfera dell'apollineo: "Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[1].

“Il culto dell’immagine che è proprio della cultura apollinea, quale si manifesta nel tempio, nella statua o nell’epos omerico, aveva il suo scopo più alto nell’esigenza etica della misura, che corre parallela all’esigenza estetica della bellezza (…) La misura, sotto il cui giogo si muoveva il nuovo mondo di dèi (a fronte di un distrutto mondo di Titani), era quella della bellezza: il limite, cui il greco doveva attenersi, quello della bella apparenza”[2].
La bella apparenza spesso può nascondere il profondo ma può anche significarlo: “Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorreva arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali  - per profondità! E non facciamo appunto ritorno a essi, noi temerari dello spirito (…) Non siamo esattamente in questo - dei Greci? Adoratori delle forme, dei suoni, delle parole? Appunto perciò (…) artisti”[3].
“E’ cosa abbastanza strana, per quanto ben comprensibile, che la prima forma in cui lo spirito europeo si è ribellato all’età borghese sia stato l’estetismo. Non a caso ho nominato insieme Nietsche e Wilde come ribelli, e propriamente ribelli in nome della bellezza”[4].
“La vita può giustificarsi soltanto come fenomeno estetico”[5].
Confutazione e inversione della sapienza silenica.
Non bisogna trascurare la componente estetica della civiltà ellenica che si distingue dalle altre anche per il culto della bellezza; secondo Nietzsche i Greci hanno vinto l'orrore del caos e rovesciato la triste sapienza silenica, la quale rifiuta la vita, attraverso la giustificazione estetica ed eroica dell'esistenza umana:
"Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l'avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschifu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo senz'altro immaginarlo così, che dall'originario ordinamento divino titanico del terrore fu sviluppato attraverso quell'impulso apollineo di bellezza, in lenti passaggi, l'ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo che le rose spuntano da spinosi cespugli (…) Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi - la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie[6], per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[7]Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode"[8].
Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la comprensione ma anche la bellezza, una sorta di tw/' pavqei kavllo" :"Una questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore…la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla privazione, dalla malinconia e dal dolore…quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[9].
Con il termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso l'"individuo" tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte (…) Lo sviluppo ulteriore dell'arte è legato all'antagonismo di queste due forze artistiche della natura così necessariamente come lo sviluppo ulteriore dell'umanità è legato all'antagonismo dei sessi. La pienezza della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa: l'apollinismo della volontà ellenica"[10].
Nel fondo del Greco c'è la mancanza di misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella lotta con il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica, della naturalezza dei costumi - esse sono conquistate, volute, strappate - sono la sua vittoria"[11]..
L’apollineo è, riassumendo, la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.
Grazie al mondo olimpico l’esistenza diventa sopportabile, anzi desiderabile, per quel popolo incline a soffrire. Così gli dèi giustificano la vita umana, vivendola loro stessi.
Allora la sapienza silenica si ribalta
La misura apollinea e omerica dunque costituisce un antidoto a tale pessimismo: Omero giustifica le difficoltà e gli inganni della vita con l'eroismo e la bellezza; allora vivere, vivere comunque, diventa il bene supremo, e Achille nell'Ade chiede a Odisseo di non volere consolarlo della morte ("mh; dh; moi qavnaton ge parauvdaOdissea , XI, 488)

Vediamo quindi il rovesciamento della sapienza silenica
Odissea
Achille nella Nevkuia dice al figlio di Laerte "non consolarmi della morte, splendido Odisseo./Io preferirei essendo un uomo che vive sulla terra servire un altro,/presso un uomo povero, che non avesse molti mezzi per vivere,/piuttosto che regnare su tutti i morti consunti"(Odissea , XI, 488 - 491).
Essere vivi diventa il valore supremo. "Per esprimere con impressionante efficacia il suo rimpianto per la vita, il morto Achille dice a Odisseo che lo incontra nell'oltretomba: vorrei lavorare come un thes ( qhteuevmen[12], Od. XI, 489)"[13].
Già nel IX canto dell’Iliade Achille aveva detto che niente ha lo stesso valore della vita: “ouj ga;r ejmoi; yuch`~ ajntavxion (v. 401): non le ricchezze di Ilio prima della guerra, non quanto racchiude la soglia di pietra del tempio di Apollo.
Buoi e grassi montoni si possono rapire, i tripodi si possono comprare e pure bionde criniere di cavalli, ma la vita di un uomo (ajndro;~ de; yuchv) non la puoi rapire né afferrare perché torni indietro, quando ha superato la chiostra dei denti (405 - 408).
“Un atteggiamento passeggero e dettato dall’odio verso Agamennone e gli Achei…Poi Achille torna in battaglia per riconquistare il suo statuto e il suo destino, torna alla sua scelta per una vita breve e gloriosa: il dubbio, dettato dall’odio temporaneo verso i compagni, è il pensoso chiaroscuro introdotto da un grande poeta”[14].

Nel III libro della Repubblica di Platone continua l’indice dei passi proibiti: “ejxaleivyomen a[rapavnta ta; toiau`ta” - ejxaleivfw Repubblica, 386c - cancelleremo dunque ogni passo siffatto. E cita la Nevkuia dove l’ombra di Achille dice che preferirebbe essere un servo di campagna (ejpavrouro~) ed essere uno qhv~ (qhteuevmen) un salariato di un uomo diseredato (ajklhvrw/) un indigente, piuttosto che dominare sulle ombre consumate dell’Ade.
Quindi bisognerà cancellare i vv. 64 - 65 del XX canto dell’Iliade, Ade, in seguito a un terremoto provocato da Poseidone, teme che l’Ade si scoperchi e appaiano a tutti, mortali e immortali le dimore spaventose, ammuffite che i numi hanno in odio. La morte infatti non deve essere aborrita poiché purifica l’anima dal corpo (cfr. Fedone, 67b - d).
Poi ancora i versi 103 - 104 di Iliade XXIII quando Achille che ha parlato in sogno con Patroclo vorrebbe abbracciarlo, ma l’anima sparì sotto terra come fumo, stridendo (hjΰte kapno;~ - w[/ceto tetrigui`a - trizw, strido); allora Achille esclama che nelle dimore dell’Ade c’è la yuchv che però è solo un ei[dwlon, senza mente (frevne~, v. 104).

Su questo ribaltamento sentiamo Leopardi: “La morte consideravasi dagli antichi come il maggiore de’ mali; le consolazioni degli antichi non erano che nella vita; i loro morti non avevano altro conforto che d’imitar la vita perduta; il soggiorno dell’anime, buone o triste, era un soggiorno di lutto, di malinconia, un esilio; esse richiamavano di continuo la vita con desiderio, ec. ec…. (14 Ottobre 1828)”[15].



[1] La nascita della tragedia, capitolo 4
[2]Nietzshe, La visione dionisiaca del mondo ( Die dionisische Weltanschauung, 1870), cap. 2. In Verità e menzogna e altri scritti giovanili, Newton Compton, Roma, 1981
[3] Nietzsche, Prefazione alla seconda edizioni di La gaia scienza (1886)
[4] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 838.
[5] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 813
[6] Cfr. Iliade, VI, 146:"oi[h per fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n", proprio quale la stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini. Glauco e Diomede (n. d. r.)
Passiamo a un frammento di Mimnermo: il 2 D.
Noi, Come le foglie (hjmei'~ dj oi|av te fuvlla) che genera la fiorita stagione
di primavera, quando crescono in fretta ai raggi del sole simili a quelle, per il tempo di un cubito, godiamo dei fiori
di giovinezza, senza conoscere dagli dèi né il male
né il bene. Destini neri ci stanno accanto
uno che ha il termine della vecchiaia tremenda,
l'altro di morte: un attimo dura il frutto
di giovinezza, per quanto sulla terra si diffonde un raggio di sole.
Ma quando questo termine di tempo sia trapassato,
subito essere morto è meglio della vita:
infatti molti mali sopraggiungono nell'animo: talora la casa va in rovina e ci sono le vicende dolorose della povertà:
 a un altro poi mancano figli, di cui soprattutto
sentendo il desiderio va sotto terra nell'Ade;
un altro ha una malattia che gli consuma il cuore: non c'è nessuno
degli uomini, cui Zeus non dia molti mali". Distici elegiaci
[7] Cfr. Odissea , XI, vv. 488 - 491. (n. d. r.)
[8] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. 3.
[9] F. Nietzsche, La nascita della tragedia (1872), p. 7 e p. 163.
[10] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888 - 14, p. 216.
[11] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888 - 14, p. 217.
[12] infinito atematico con desinenza - men (considerato un eolismo come vedremo) del verbo qhteuvw che significa "lavoro come salariato, qhv""; ebbene, commenta M. Finley, "Un thes , non uno schiavo, era l'ultima creatura sulla terra che Achille potesse pensare. Il terribile per un thes era il fatto di non avere legami, di non appartenere a nulla" (Il mondo di Odisseo , p. 39).
[13]F. Codino, Introduzione a Omero , p. 128.
[14] Franco Montanari, Prima lezione di letteratura greca, Laterza, 2003, p.p. 17 - 18,
[15] Zibaldone, 4399.

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