Evelyn de Morgan, Elena di Troia |
Seconda
parte della conferenza sulla Bellezza che terrò a Varese nell’aula magna
dell’Università dell'Insubria la mattina dell’11 dicembre
La bellezza di Elena
"In un colloquio con Priamo essa si
definisce kuvnwpi",
"svergognata"[1]. Eppure! Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani stanno
immobili, come le cicale, seduti presso le porte della città: essi, i saggi, i
bravi oratori, immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare,
accompagnata dalle sue due fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si
potevano distinguere, perché essa era involta in un luminoso velo bianco - gli
anziani esclamano tra di loro:"Ouj nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano da
tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee
immortali"[2]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia
per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto della bellezza dal peccato"[3]. La bellezza giustifica tutto.
Elena del resto può essere anche Nemesi (sdegno, ira,
vendetta).
Nel secondo
stasimo dell'Agamennone di
Eschilo (458 a. C.) il coro presenta i diversi aspetti di questa
splendidissima donna: " Chi mai diede un nome così del tutto vero (…)
ad Elena le cui nozze furono causa di guerra, donna oggetto di contesa
poiché chiaramente distruggitrice di navi (eJlevna" ), di uomini (e[landro"), di città (eJlevptoli")?” (vv. 681ss.).
Secondo la credenza antica del nomen -
omen Eschilo etimologizza in maniera fantasiosa il nome dell'adultera
connettendone la prima parte con il radicale eJl - (cfr. l'aoristo ei|lon di aiJrevw, "tolgo di mezzo"). Nella
seconda parte vengono ravvisate, non senza forzatura, le parole nau'~, ajnhvr e ptovli".
Quando
giunse a Ilio, la splendidissima era come :"un pensiero di bonaccia senza
vento, un tranquillo ornamento di ricchezza, un tenero dardo degli occhi, un
fiore d'amore che morde l'animo; ma poi, mutata, compì l'amaro fine del
matrimonio, funesta compagna e funesta amante, scagliatasi contro i Priamidi
scortata da Zeus protettore degli ospiti, Erinni che reca pianto alle
spose" (Agamennone, vv.739 - 749).
Nelle Troiane di Euripide Ecuba
rinfaccia la sensualità e l'avidità per le quali vanamente la donna fatale ha
cercato di incolpare una o più dèe:" Mio figlio era di bellezza sovrumana,
e l'animo tuo, vedendolo, si fece Cipride: infatti tutte le stoltezze sono
Afrodite per gli uomini; e il nome della dea comincia giustamente come quello di
follia (ta; mw'ra ga;r pavnt' ejsti;n jAfrodivth brotoi'" - kai; tou[nom' ojrqw'" ajfrosuvnh" a[rcei brotoi'") .
E tu, dopo averlo visto fulgente nell'oro delle vesti
barbare, divenisti frenetica nell'anima. Infatti ti aggiravi in Argo con poca
roba e, abbandonata Sparta, sperasti di affondare nelle spese - katakluvsein
dapavnaisin - la città dei Frigi dove l’oro scorreva a fiumi: non
ti era sufficiente la casa di Menelao per abbandonarti alle tue
dissolutezze" ( Troiane,
vv.987 - 997).
Isocrate celebra la potenza della bellezza
incarnata in Elena.
Elena ebbe
la maggior parte delle prerogative della bellezza che è il più venerando - semnovtaton - il più prezioso - timiwvtaton - e il più divino - kai; qeiovtaton - dei beni (Encomio di Elena,
64, del 390 ):.
Le cose che
non hanno bellezza non possono essere amate; anzi vengono piuttosto disprezzate
La bellezza
è superiore a tutte le cose esistenti (55). Verso chi porta altre qualità
possiamo provare invidia; mentre verso i belli siamo benevoli (eu\noi, 56 ) al primo vederli e li
onoriamo come gli dèi.
Preferiamo
asservirci a uno bello che comandare agli altri (57)
Anche Zeus
il kratw`n pavntwn (59)
il signore dell’Universo, divenne umile - tapeinov" - nell’accostarsi alla bellezza e
prese varie forme per unirsi a lei: pioggia con Danae (e nacque Perseo), cigno
con Nemesi (Elena), Anfitrione con Alcmena (Eracle)..
Elena
dimostrò la sua potenza (duvnamn) a Stesicoro (VII - VI sec.) - che scrisse la Palinodia
dopo avere usato parole irriverenti verso di lei che lo rese cieco.
[1]Il. III, 180. Noi l'abbiamo
trovato nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo tradotto "faccia di
cagna".
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