NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 4 dicembre 2019

La bellezza. Seconda parte

 
Evelyn de Morgan, Elena di Troia
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Seconda parte della conferenza sulla Bellezza che terrò a Varese nell’aula magna dell’Università dell'Insubria la mattina dell’11 dicembre

La bellezza di Elena
"In un colloquio con Priamo essa si definisce kuvnwpi", "svergognata"[1]. Eppure! Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani stanno immobili, come le cicale, seduti presso le porte della città: essi, i saggi, i bravi oratori, immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare, accompagnata dalle sue due fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si potevano distinguere, perché essa era involta in un luminoso velo bianco - gli anziani esclamano tra di loro:"Ouj nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano da tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee immortali"[2]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto della bellezza dal peccato"[3]. La bellezza giustifica tutto.

Elena del resto può essere anche Nemesi (sdegno, ira, vendetta).
Nel secondo stasimo dell'Agamennone di Eschilo (458 a. C.) il coro presenta i diversi aspetti di questa splendidissima donna: " Chi mai diede un nome così del tutto vero (…) ad Elena le cui nozze furono causa di guerra, donna oggetto di contesa poiché chiaramente distruggitrice di navi (eJlevna" ), di uomini (e[landro"), di città (eJlevptoli")?” (vv. 681ss.).
 Secondo la credenza antica del nomen - omen Eschilo etimologizza in maniera fantasiosa il nome dell'adultera connettendone la prima parte con il radicale eJl - (cfr. l'aoristo ei|lon di aiJrevw, "tolgo di mezzo"). Nella seconda parte vengono ravvisate, non senza forzatura, le parole nau'~, ajnhvr e ptovli".
Quando giunse a Ilio, la splendidissima era come :"un pensiero di bonaccia senza vento, un tranquillo ornamento di ricchezza, un tenero dardo degli occhi, un fiore d'amore che morde l'animo; ma poi, mutata, compì l'amaro fine del matrimonio, funesta compagna e funesta amante, scagliatasi contro i Priamidi scortata da Zeus protettore degli ospiti, Erinni che reca pianto alle spose" (Agamennone, vv.739 - 749).

Nelle Troiane di Euripide Ecuba rinfaccia la sensualità e l'avidità per le quali vanamente la donna fatale ha cercato di incolpare una o più dèe:" Mio figlio era di bellezza sovrumana, e l'animo tuo, vedendolo, si fece Cipride: infatti tutte le stoltezze sono Afrodite per gli uomini; e il nome della dea comincia giustamente come quello di follia (ta; mw'ra ga;r pavnt' ejsti;n jAfrodivth brotoi'" - kai; tou[nom' ojrqw'" ajfrosuvnh" a[rcei brotoi'") .
E tu, dopo averlo visto fulgente nell'oro delle vesti barbare, divenisti frenetica nell'anima. Infatti ti aggiravi in Argo con poca roba e, abbandonata Sparta, sperasti di affondare nelle spese - katakluvsein dapavnaisin - la città dei Frigi dove l’oro scorreva a fiumi: non ti era sufficiente la casa di Menelao per abbandonarti alle tue dissolutezze" ( Troiane, vv.987 - 997).
Isocrate celebra la potenza della bellezza incarnata in Elena.
 Elena ebbe la maggior parte delle prerogative della bellezza che è il più venerando - semnovtaton -  il più prezioso - timiwvtaton - e il più divino - kai; qeiovtaton - dei beni (Encomio di Elena, 64, del 390 ):.
Le cose che non hanno bellezza non possono essere amate; anzi vengono piuttosto disprezzate
La bellezza è superiore a tutte le cose esistenti (55). Verso chi porta altre qualità possiamo provare invidia; mentre verso i belli siamo benevoli (eu\noi, 56 ) al primo vederli e li onoriamo come gli dèi.
Preferiamo asservirci a uno bello che comandare agli altri (57)
Anche Zeus il kratw`n pavntwn (59) il signore dell’Universo, divenne umile - tapeinov" - nell’accostarsi alla bellezza e prese varie forme per unirsi a lei: pioggia con Danae (e nacque Perseo), cigno con Nemesi (Elena), Anfitrione con Alcmena (Eracle)..
Elena dimostrò la sua potenza (duvnamn) a Stesicoro (VII - VI sec.) - che scrisse la Palinodia dopo avere usato parole irriverenti verso di lei che lo rese cieco.



[1]Il. III, 180. Noi l'abbiamo trovato nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo tradotto "faccia di cagna".
[2] Iliade, III, 156 - 158.
[3]K. Kerényi, Miti e misteri , p. 54.

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