Università dell'Insubria |
Sono in partenza per Varese dove domani dalle 11, 15 alle 13 presenterò
il percorso sulla Bellezza agli studenti del liceo Cairoli nell’aula magna
dell’Università dell'Insubria. Credo sia aperta al pubblico
Il bello - to; kalovn - e l’utile
- to; sumfevron -
Aristotele Politica 1311a
Lo scopo del
tiranno è il piacere (to; hJduv), quello
del re to; kalovn, la
bellezza.
Nella Retorica (1389b) Aristotele, sparlando
a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti
più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva,
meschinità: kai; pro;~ to;
sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per
il fatto di essere egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il
bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n
aJplw'~).
Secondo Jaeger nella cultura
greca"la considerazione dell'utile è indifferente o ad ogni modo
accessoria e l'elemento decisivo è invece il kalovn, cioè il Bello, col valore impegnativo d'un miraggio,
d'un ideale...Dai poemi di Omero alle opere filosofiche di Platone e Aristotele
la parola kalovn, "il bello" denota una delle più
significative forme del valore personale. In contrasto a parole come hjduv o sumfevron, il piacevole o l'utile, kalovn significa l'ideale... Un'azione è fatta dia; to; kalovn, ogni volta che esprime semplicemente un ideale umano
come fine a se stesso, non quando serve a un altro fine."[1]
Nel romanzo I demoni di Dostoevskij, Stepan Trofimovič, del
resto un personaggio negativo, liberal - occidentalista, afferma che l’umanità
potrebbe vivere senza la scienza “solo senza la bellezza non potrebbe, perché
non ci sarebbe nulla da fare al mondo! (...) La stessa scienza non resisterebbe
un minuto senza la bellezza!”
(p. 524).
Bellezza e didattica. Dalla
mia metodologia
59. 4. Le frasi belle sono la luce del pensiero e colpiscono la sfera
emotiva. Bettini: la citazione antologizza il classico fino alla carne viva. Fellini, Seneca, Leopardi e Carlyle. Manzoni: l’utile, il vero e l’interessante.
La bellezza eleva anche la virtù. Dobbiamo scegliere testi che piacciano prima di tutto a noi. Borges: non
ho insegnato la letteratura inglese ma l’amore per certe frasi. Tolstoj.
Luperini e la scelta libera dei testi. La Mastrocola e il piacere della
condivisione. Alfieri aveva la testa “antigeometrica” e, invece, “genio per le
cose drammatiche”. Nietzsche e l’arte che anestetizza il dolore. Proust: il
lavoro dell’artista è un rivelamento di noi stessi.
Vanno
segnalate, possibilmente citate a memoria, le frasi belle che sono la luce del
pensiero, la sua parte poetica e artistica che, colpendo la sfera emotiva, si
presta a essere ricordata. Citare non è saccheggiare: “Agli occhi dell’artista
un pensiero in quanto tale non avrà mai un gran valore di proprietà. A lui
importa che possa funzionare nell’ingranaggio spirituale dell’opera”[2].
“Esiste
comunque un metodo sicuro, e soprattutto molto rapido, per rendere sfizioso
qualsiasi classico: quello della citazione. La citazione infatti antologizza il classico fino alla carne viva,
gli attribuisce una tale misura minimale che a questo punto la sfiziosità è
comunque garantita. Questo spiega perché, negli ultimi tempi, le raccolte di
citazioni si sono moltiplicate (mettendo inaspettatamente in buona compagnia la
gloriosa Ape Latina di Fumagalli) : tanto che in alcuni paesi,
come gli Stati Uniti, le grandi librerie dispongono addirittura di un apposito
settore in cui sono allineati i libri di citazioni di ogni possibile
letteratura. Il fatto è che, nella
citazione, il classico diventa talmente piccolo da poter entrare persino in una
“battuta”.[3]”
Sentiamo Fellini: "Il bello sarebbe meno
ingannevole e insidioso se cominciasse a venir considerato bello tutto ciò che dà un'emozione,
indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e
questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che da quello
estetico. Il bello è anche buono. L'intelligenza
è bontà, la bellezza è intelligenza: l'una e l'altra comportano una liberazione
dal carcere culturale"[4].
Un'idea
simile si trova in una epistola di Seneca:"advocatum
ista non quaerunt: adfectus ipsos tangunt et natura vim suam exercente
proficiunt (… )erigitur virtus cum tacta est et inpulsa"
(94, 28 e 29), queste parole belle[5] non hanno bisogno di un
difensore: toccano direttamente la parte emotiva e giovano grazie alla natura
che esercita la sua forza…la virtù si drizza quando viene toccata e stimolata.
“qual altro
è il proprio uffizio e scopo della poesia se non il commuovere, così o così, ma
sempre commuover gli affetti…Bello effetto[6] di un dramma, di una
rappresentazione, di una poesia; lasciare di sè tal vestigio negli animi degli
spettatori o uditori o lettori, come s’e’ non l’avessero né veduta né letta.
Meglio varrebbe essere stato a uno spettacolo di forze, di giuochi equestre, e che
so io, i quali pur lasciano nell’animo alcuna orma di maraviglia o di diletto o
d’altro”[7].
“Da questo
punto di vista, anche una frase di Goethe, tra le altre, che ha molto stupito
parecchi, può avere un significato: “Il Bello - egli dichiara - è più alto del
Bene; il Bello avvolge in sé il Bene”. Il vero Bello, come del resto ho detto
altrove, “differisce dal falso come il cielo differisce dall’inferno”[8].
La bellezza
dunque è spesso morale, eleva anche la virtù, e comunque, quale strumento
didattico, serve a catturare l'attenzione degli studenti, degli ascoltatori in
genere; senza l'attenzione di chi ascolta, il lovgo" di chi
parla si degrada a un verso di papero.
L'attenzione
si ottiene con racconti interessanti, quindi belli, e non inutili. Lo
dichiarano Tucidide e Polibio nelle loro Storie, e pure Manzoni nella Lettera a Cesare
d'Azeglio[10]:"Il principio di necessità
tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo: che la
poesia e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero
per soggetto e l'interessante per mezzo".
Interessante
è la bellezza. Negli scritti come nelle donne e negli uomini.
Orazio : “aut prodesse volunt aut
delectare poetae,/aut simul et iucunda et idonea dicere vitae” (Ars poetica, 333 - 334), i poeti vogliono o giovare o dilettare, e dire cose
insieme piacevoli e appropriate alla vita.
Inoltre
il poeta di Venosa suggerisce la brevità (esto brevis, v. 335), la
verosimiglianza e, di nuovo, l’unione di utilità e piacevolezza: “omne tulit punctum qui miscuit utile
dulci,/lectorem delectando pariterque monendo” (343 - 344), ha preso
punteggio pieno chi ha mescolato l’utile al piacevole, dilettando il lettore e
nello stesso tempo, ammaestrandolo.
I testi che
scegliamo devono piacere innanzitutto a noi. Se non piacciono a noi tanto meno
potranno piacere a quanti li racconteremo
A questo proposito sentiamo J. L. Borges : "Nel mio
testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto,
ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di
leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure
il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per
voi… Non ho insegnato agli
studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O
meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora
di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[11].
Un consiglio
del genere dà pure Tolstoj:
"Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila,
e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei
il primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non
eserciterà nessuna azione educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro
russo, sono i migliori giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo:
"E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare
o non ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa,
cioè essi soli possono decidere se il maestro conosce e ama la sua
materia"[12].
“Non si può
fare leggere dei testi solo per obbedire a una costrizione e cioè perché sono
imposti da un programma o da un canone; l’insegnante deve invece mostrare,
agendo all’interno della comunità ermeneutica della classe, che tali testi sono
letti perché hanno un significato e un valore per noi (…) Né si può escludere a
priori che un insegnante e la sua classe arrivino a conclusioni opposte
rispetto ai presupposti iniziali, e cioè alla presa d’atto che un determinato
testo o autore non abbia oggi un particolare valore e un significato e che sia
perciò giusto leggere altre opere o altri autori”[13].
“Una cosa ti
piace? Bene, la condividi. Io direi che esattamente questo è insegnare, niente
di più: il piacere immenso della condivisione”[14].
Credo pure
che non sia necessario, e nemmeno opportuno, che ciascuno studi tutte le
discipline: ognuno deve dedicarsi presto a quelle per le quali è portato.
Vittorio Alfieri non era incline alla
geometria: “Di quella geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati
i primi sei libri di Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta
proposizione; come neppure la intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa
assolutamente anti - geometrica” ( Vita, 2, 4).
Il
maestro deve aiutare il discepolo a scoprire i suoi talenti e incoraggiarlo a
farli fruttare: “Mi capitarono anche allora[15] varie commedie del Goldoni, e
queste me le prestava il maestro stesso; e mi divertivano molto. Ma il genio
per le cose drammatiche, di cui forse il germe era in me, si venne tosto a
ricoprire o ad estinguersi in me, per mancanza di pascolo, d’incoraggiamento, e
d’ogni altra cosa. E, somma fatta, la ignoranza mia e di chi mi educava, e la
trascuraggine di tutti in ogni cosa non potea andar più oltre (Alfieri, Vita,
2, 4).
L'educatore
deve essere un poco come l'artista e stimolare il pensiero: "Ogni parola,
espressa da un talento artistico, si tratta di Goethe o di Fed'ka, si
differenzia dall'espressione non artistica per il fatto che essa suscita una
quantità innumerevole di pensieri, di immagini e di interpretazioni"[16].
"L'arte deve far brillare ciò che è significativo
fra ciò che è inevitabilmente o invincibilmente brutto"[17].
L’arte è un antidoto alla pubblicità inevitabilmente
brutta.
L'arte deve riscattare, estetizzare e anestetizzare
l'atroce e l'assurdo della vita, salvare l'uomo terrorizzato o disgustato dal
pericolo della paralisi:" Ed ecco, in questo estremo pericolo della
volontà, si avvicina, come una maga che salva e risana, l'arte; soltanto
lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l'atrocità o l'assurdità
dell'esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono
il sublime come repressione artistica dell'atrocità e il comico come
sfogo artistico del disgusto per l'assurdo"[18].
“Questo lavoro dell’artista, vòlto a
cercar di scorgere sotto una certa materia, sotto una certa esperienza, sotto
certe parole, qualcos’altro, è esattamente inverso di quello che, in ogni
istante, allorché viviamo stornati da noi stessi, l’orgoglio, la passione,
l’intelligenza, e anche l’abitudine, compiono in noi, ammassando sopra le
nostre genuine impressioni, per nascondercele, le nomenclature, gli scopi
pratici, cui diamo erroneamente il nome di ‘vita’. Insomma, quest’arte così
complessa è davvero la sola arte viva”[19].
“Perché
l'esistenza offre interesse solo nelle giornate in cui alla polvere della
realtà viene a mischiarsi sabbia magica, in cui qualche volgare incidente della
vita diventa una molla fantastica"[20].
L’affettazione è brutta
“l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e
d’ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti
della vita umana, è la naturalezza (28. Feb. 1821)[21].
Il contrario della sprezzatura è l’affettazione. Il kakovzhlon (mala adfectatio) in Quintiliano e nel trattato Sul
sublime. Baldassarre Castiglione. Leopardi: affettazione e sprezzatura. Schopenhauer:
l’affettazione come spia del difetto. Lo “stile insieme rozzo e affettato” del
“buon secentista” induce Manzoni a “rifarne la dicitura”. L’affettazione di
Gruscenka in I fratelli Karamazov. Lo snobismo, ossia la mala
educazione, nella Ricerca di Proust.
Partiamo da
Quintiliano: “Kakovzhlon, id
est mala adfectatio, per omne dicendi genus peccat. Nam et tumida et pusilla et praedulcia et
abundantia et arcessita et exultantia sub idem nomen cadunt. Denique kakovzhlon vocatur, quidquid est ultra virtutem, quotiens
ingenium iudicio caret et specie boni fallitur, omnium in eloquentia vitiorum
pessimum. Nam et cetera parum vitantur, hoc
petitur[22] », la ricerca del brutto, cioè
la tendenza al brutto, è un difetto in ogni genere di eloquenza. Infatti le
parole ridondanti e le meschine e quelle molto sdolcinate e le ricercate e
quelle sopra le righe cadono nella medesima categoria. Infine si chiama ricerca
del brutto, tutto ciò che si trova al di là del valore, tutte le volte che
l’ingegno è privo di senso critico, e viene ingannato dall’apparenza del bene,
il peggiore di tutti i difetti nell’eloquenza. Infatti gli altri non si evitano
abbastanza, questo viene ricercato.
Il
vocabolo kakovzhlon (formato
da kakov~ e zh'lo~ ) si trova già nel trattato Sul sublime (3,
4): l’Anonimo denuncia i difetti nei quali può incorrere chi compone opere
letterarie. Tra gli altri l’enfasi o gonfiezza stonata (to; para; mevlo~ oijdei'n) e la puerilità (to; meirakiw'de~) che è una mentalità scolastica (scolastikh; novhsi~) la quale per pedanteria va a finire nella
freddezza; scivolano in questo genere quelli che tendono allo straordinario,
all’artificioso e soprattutto alla volontà di piacere, arenandosi
nell’insignificante e nell’affettato (eij~ to; rJwpiko;n kai; kakovzhlon).
Baldassarre Castiglione in Il
cortegiano[23] prescrive al gentiluomo di fuggire
sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale
l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve schivare "quanto più si pò, e
come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir
forse una nova parola, usar in
ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura,
un’apparenza di naturalezza "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa
e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che
derivi assai la grazia… " (I, 26).
Parimenti
la perfetta gentildonna "Non mostri inettamente di sapere quello che non
sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è
detto, l'affettazione in ogni cosa" . Infatti "somma disgrazia a
tutte le cose dà sempre la pestifera affettazione e per contrario grazia
estrema la simplicità e la sprezzatura" Quindi la gentildonna non deve
mostrare l'artificio :"questi vostri difetti di che io parlo vi levano la
grazia, perché d'altro non nascono che da affettazione, per la qual fate
conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio d'esser belle" (I,
40).
La bellezza può permettersi tutto: anche il tradimento.
Per quanto
riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle donne giovani e belle, Ovidio
negli Amores è
molto comprensivo: il tradimento
infatti non sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse
deos credamne? Fidem iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet (...) Longa decensque fuit: longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus ocelli,/per quos mentita est perfida
saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare puellis/di quoque concedunt,
formaque numen habet " (Amores , III, 3, 1 - 2 e 8 - 12),
devo credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola data,/eppure le rimane
l'aspetto che aveva prima...Era alta e ben fatta; alta e ben fatta
rimane./Aveva gli occhi espressivi: brillano come stelle gli occhi,/con i quali
spesso la perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi eterni permettono alle
ragazze/di giurare il falso, e la bellezza ha una potenza divina.
Bellezza e virtù. La bellezza purtroppo è fugace.
"Non
certo per i miei farmaci[24] ti odia lo sposo/ ma se non
sei adatta a vivere con lui./E' un filtro amoroso anche questo: non la bellezza, o donna,/ ma le virtù fanno
felici i mariti." (ouj to; kavllo", w\ guvnai - ajll j ajretai;
tevrpousi tou;" xuneunevta" Euripide, Andromaca,
vv. 205 - 208 ). Andromaca istruisce Ermione.
Alla fine del IV libro del De rerum natura,
Lucrezio riconosce che ci si può innamorare di una muliercula deteriore
forma (1279) quando piacciono i suoi modi affabili - morigeri modi
- et munde corpus cultum l’eleganza. Ci si abitua e consuetudo
concinnat amorem (1283) ciò che subisce colpi infatti prima o poi
cade. Le gocce d’acqua scavano i sassi
Ovidio
nei Medicamina faciei (1 d. C.) : scrive che l'aspetto piace
se anche il carattere è attraente (ingenio facies conciliante placet, v.
44), sicché il poeta raccomanda la tutela morum (v. 43), la cura del comportamento:"Certus amor morum est, formam populabitur
aetas,/ et placitus rugis vultus aratus erit " (45 - 46),
sicuro è l'amore del costume, la bellezza verrà devastata dall'età, e il volto
piacente sarà solcato da rughe.
Nella Fedra di Seneca il secondo coro ricorda a
Ippolito la precarietà della bellezza, un bene grande ma effimero:"Anceps forma bonum mortalibus,/exigui
donum breve temporis,/ut velox celeri pede labĕris!/Non sic prata novo vere
decentia/aestatis calidae despoliat vapor…ut fulgor, teneris qui radiat
genis,/momento rapitur, nullaque non dies/formosi spolium corporis abstulit./Res est forma fugax: qui sapiens
bono/confīdat fragili? Dum licet,
utĕre./Tempus te tacitum subrǔet, horaque/semper praeteritā deterior
subit" (vv. 761 - 765 e 770 - 776), la bellezza è un bene bifronte per i mortali, breve dono di
un tempo corto, come scivoli via con piede veloce! Non così l'afa della torrida
estate spoglia i prati dai bei colori all'inizio della primavera…come il
fulgore che splende nelle tenere guance viene rapito in un attimo, e non c'è
giorno che non rapini qualcosa a un bel corpo. La bellezza è roba fugace: quale
saggio potrebbe fidarsi di un bene fragile? Finché è possibile fanne uso. Il
tempo ti demolirà in silenzio, e subentra sempre un'ora più brutta di quella
passata.
[11] Dall'articolo di P.
Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole - 24 ore”
del 13 gennaio 2002, p. 33.
[24] Con i favrmaka (v.205)
e il fivltron (v. 207) Andromaca allude ai filtri e alle
droghe delle maghe del mito e della letteratura: Circe, Calipso, Medea.
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