venerdì 28 ottobre 2022

Sul Potere. VI parte. Il tiranno criminale e la difesa del falso sciocco



Lucio Giunio Bruto
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Il tiranno. Bruto Maggiore: il falso sciocco, l'ossimoro vivente
 
Ma torniamo a Erodoto e alla tirannide. Tiranno per lo storiografo è  anche il mouvnarco" raffigurato da Otane, nel dibattito sulla migliore costituzione (III 79-84), come colui che invidia i migliori, si compiace dei peggiori, ed è pronto ad accogliere le calunnie. Infatti dai beni che possiede gli deriva l' u{bri" , mentre fin dall'origine gli è innato lo fqovno" . Siccome ha questi due vizi, e[cei pa'san kakovthta, detiene ogni malvagità (III, 80, 4).  Dunque egli: "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou"" (III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza giudizio. "Così il persiano Otane riassume ciò che è in sostanza il motivo comune fra i Greci per l'opposizione alla tirannide"[1]. 
 
 Nelle tragedie il tiranno è il paradigma mitico della negatività del potere.
La mancanza di controllo ne fa l'antitesi del capo democratico. Tale  è Edipo finché non comprende, tale il Creonte dell'Antigone di Sofocle, tale Serse nei  Persiani  di Eschilo, il grande re il quale, pur se sconfitto, " oujc uJpeuvquno" povlei" (v. 213), non è tenuto a rendere conto alla città, come invece lo è uno stratego eletto dal popolo. Anche se il grande re perderà la guerra, si consola la madre Atossa, dopo avere raccontato il sogno premonitore della sconfitta e il brutto segno dato dagli uccelli "swqei;~ d j oJmoivw~ th'sde koiranei' cqonov~" (v. 214), basta che si salvi e continuerà comunque a comandare su questa terra.
 La logica del tiranno non può permettergli alcuna “opra pietosa”[2]. Lo dichiara Agamennone nell’Aiace di Sofocle: “tov toi tuvrannon eujsebei'n ouj rJa/dion” (v. 1350), non è facile che un tiranno sia anche una persona pia. Insomma tirannide e pietà sono incompatibili.  
 
Un  personaggio tragico che afferma l'insindacabilità del potere assoluto è lady Macbeth nella scena del sonnambulismo:"What need we fear who knows it, when none can call our power to account it?" (V, 1), perché dovremmo temere chi lo sappia, quando nessuno può chiamare la nostra potenza a renderne conto?
Adesso questo potere insindacabile sta dentro tutte le case :"La televisione è diventato un potere incontrollato e qualsiasi potere non controllato è in contraddizione con i princìpi della democrazia"[3].
La televisione, come il tiranno, esige il livellamento delle teste.
 
 Eschilo contrappone al potere assoluto il sistema democratico di Atene  quando la regina Atossa domanda ai vecchi dignitari   chi sia il pastore e il padrone dell'esercito. Allora il corifeo risponde:"ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi"  (Persiani, v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi né sudditi.
Nelle Supplici di Eschilo il re, siccome greco, nega di gestire un potere assoluto: Pelasgo, sovrano di Argo, si rifiuta di fare qualsiasi promessa prima di essersi consultato con tutti i cittadini (vv. 368-369). La decisione di aiutare le Danaidi viene presa dopo l’alzata di mano affermativa degli Argivi.
 
 Un padrone assoluto è  Zeus nel Prometeo incatenato :"tracu;" movnarco"
oujd j uJpeuvquno" kratei'" (v. 324), un sovrano rigido, né impera obbligato a rendere conto. Ma Zeus è un dio.  Per giunta è costretto alla durezza dal fatto che il suo regno è nuovo: " :"a{pa" de; tracu;" o{sti" a}n nevon[4] krath'/", ogni potere che comanda da poco tempo è duro" dice Efesto (v. 35).
E' uno dei tanti arcana imperii. Lo rivela anche Didone la quale anzi se ne scusa con i Troiani:"Res dura et regni novitas me talia cogunt/ moliri" (Eneide, I, 563-564), la dura condizione e la novità del regno mi costringono a tali precauzioni.
Una condizione svelata "alle genti"[5] pure da Machiavelli:"Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli" (Il Principe, XVII).
Nelle Supplici[6] di Euripide, Teseo[7] è il Pericle in vesti eroiche il quale elogia la costituzione democratica dialogando con l'araldo mandato da Creonte re, anzi tiranno di Tebe. Atene dunque non è comandata da un uomo solo come la città beota, ma è libera (ejleuqevra povli" , v. 405).
 
Anche Plutarco attribuisce a Teseo la promessa ai  potenti, poi mantenuta, di un governo senza re e democratico, nel  quale egli si sarebbe riservato solo il comando dell’esercito e la custodia delle leggi, mentre avrebbe offerto a tutti uguaglianza di diritti (Vita di Teseo, 24, 2). Poco più avanti (25, 3)  Plutarco aggiunge che di questa rinuncia alla monarchia dà una testimonianza  Omero quando nel catalogo delle navi chiama dh'mo" solo gli Ateniesi (Iliade, 2, 547).
 
Nella poesia amorosa di Catullo e Ovidio Teseo è invece il perfido seduttore di Arianna che poi abbandona
La figlia di Minosse, piantata in asso mentre dormiva nell'isola di Dia, al risveglio si dispera, corre come una puledra, e impreca contro il perfido amante:"Sicine me patriis avectam, perfide, ab aris,/ perfide [8], deserto liquisti in litore, Theseu?/Sicine discedens neglecto numine divum/inmemor a! devota domum periuria portas? " ( Catullo, 64, vv. 132-135)  è così che tu, traditore, condottami via dal focolare paterno, mi hai abbandonata in una spiaggia deserta, Teseo, traditore? E' così che tu, fuggendo dopo avere disprezzato il potere dei numi, dimentico ah! porti a casa i tuoi maledetti spergiuri?
 
Nell' Ars Amatoria di Ovidio Arianna abbandonata gridava la crudeltà di Teseo alle onde che non ascoltavano:"Thesea crudelem surdas clamabat ad undas "(I, 529), , e piange, senza tuttavia diventare più brutta per le sue lacrime:"non facta est lacrimis turpior illa suis " (v. 532). La variante delle lacrime belle che attireranno Dioniso non impedisce a Ovidio l'uso dell'aggettivo topico[9] che marchia la slealtà del principe ateniese:"Perfidus ille abiit:quid mihi fiet?" ait;/"Quid mihi fiet?" ait; sonuerunt cymbala toto/litore et attonita tympana pulsa manu" (, I, 534-536), quel traditore se n'è andato. Cosa sarà di me? dice, cosa sarà di me?, dice; risuonarono i cembali su tutta la spiaggia e tamburelli battuti da mani frenetiche.
  
 L'araldo tebano delle Supplici di Euripide ribatte che il governo di un solo uomo non è male: infatti il monarca esclude i demagoghi, i quali, gonfiando la folla con le parole, la volgono di qua e di là a proprio profitto.  Del resto come potrebbe pilotare uno Stato il popolo che non è in grado di padroneggiare un discorso? Chi lavora la terra non ha tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche:" oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou" -kreivssw divdwsi (vv. 419-420), è infatti il tempo che dà un sapere più forte, invece della fretta.
 
Ecco perché la burocrazia ci fa perdere tanto tempo.
 
Nel Duvskoloς  (del 316) di Menandro, Gorgia diffida Sostrato dal cercare di sedurre la sorella approfittando della sua superiorità economica che gli consente tempo libero
"non è giusto
che il tuo tempo libero (th;n sh;n scolhvn) danneggi noi
che tempo libero non abbiamo (toi`~ ajscoloumevnoi~). Sappi che il povero il quale
subisce ingiustizia è l'essere più arrabbiato del mondo" (vv.293-296). E' questo un invito a non esasperare il malessere dei poveri attraverso la loro umiliazione che invece va attenuata con il rispetto e la filantropia.
 
Teseo non controbatte la critica ai demagoghi, che condivide, ma risponde che il tiranno è l'entità più ostile alla polis:" oujde;n turavnnou dusmenevsteron povlei" (Euripide, Supplici, v. 429). Egli infatti uccide i migliori, quelli dei quali considera la capacità di pensare, in quanto teme per il suo potere:"kai; tou;" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n-kteivnei, dedoikw;" th'" turannivdo" pevri" (vv. 444-445). Sicché la città si indebolisce: come potrebbe essere forte  la polis quando uno miete i giovani come da un campo di primavera si porta via la spiga a colpi di falce? (vv. 447-449). Inoltre il despota si impossessa dei beni altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva acquistare ricchezze per i propri figli. Per non parlare delle figlie che l'autocrate vuole rendere strumenti del suo piacere.
 
l'Elettra di Euripide recitando il biasimo funebre di Egisto allude, con pudica e verginale aposiopesi, alle porcherie che l'usurpatore faceva con le donne:"ta; d j eij" gunai'ka", parqevnw/ ga;r ouj kalo;n-levgein, siwpw' " (Elettra, vv. 945-946).
 Sono gli stessi motivi della storiografia sulla quale torneremo tra poco. Del resto non sono molto diversi i tiranni bolliti sonoramente, con "alte strida", nel Flegetonte dell'Inferno di Dante:"Io vidi gente sotto infino al ciglio;/e 'l gran Centauro disse:" E' son tiranni/che dier nel sangue e nell'aver di piglio" (XII, 103-105). 
 
Crimini e  vizi del tiranno. Erodoto. Euripide. Platone.
L'uomo che sa pensare si pone il problema di come resistere alla volontà di omologazione del potere, tentando di salvare la propria unicità.
 La  prima caratteristica del despota è  l'insofferenza dell'opposizione.
La mania della distruzione delle intelligenze fa parte dalla mente autocratica:  sappiamo da Erodoto  che la scuola dei tiranni insegna a uccidere gli oppositori in generale, e prima di tutti chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza. Periandro di Corinto, quando era ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era  scatenata, accolse il suggerimento di Trasibulo di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto ()tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte i cittadini che si distinguevano ( Storie , V, 92 h) . Il despota esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano.
Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").
 Abbiamo visto che già Otane nel dibattito costituzionale del terzo libro aveva usato l'espressione pa'san kakovthta che, secondo il nobile persiano fautore dell' ijsonomivh, è conseguenza dell' u{bri", la prepotenza, a sua volta originata dall'invidia e dai beni a disposizione del monarca  ( "uJpo; tw'n parevontwn ajgaqw'n", III, 80, 3).
 
 Dante individua la presenza del vizio dell'invidia  soprattutto nei luoghi del potere:""La meretrice che mai dall'ospizio/di Cesare non torse li occhi putti,/ morte comune, delle corti vizio"[10].
 
La ricchezza e il potere dunque sono occasioni per la malvagità.
 E pure per la stupidità: il Coro dell'Eracle di Euripide, dopo la punizione del tiranno Lico, afferma che l'oro, e il successo, spingono i mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere ingiusto:" oJ cruso;" a[ t j eujtuciva-frenw'n brotou;" ejxavgetai-duvnasin a[dikon ejfevlkwn" (vv. 774-776).
 
Su questa linea si trova anche Platone il quale  chiama in causa Omero che ha rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn {Aidou to;n ajei; crovnon timwroumevnou"" ( Gorgia, 525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"") non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" ( 526a) quelli malvagi assai.
Nel mito di Er, il buffone (gelwtopoiov~, Repubblica 620c) Tersite assume la natura di una scimmia.
 
Dai capitoli erodotei (III, 80-82) ricordati sopra derivano i modelli costituzionali della filosofia ( Platone, Aristotele ) e della storiografia (Polibio) successive. E non solo la storiografia greca.
Tito Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il Superbo il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza parole:" rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "( Storie, I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei papaveri.
 Il tiranno è invidioso. Infatti l'invidia personificata da Ovidio "exurit herbas et summa papavera carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei papaveri.
Un altro tiranno di pessima fama è Falaride che dominò Agrigento tra il 570 e il 555: metteva le sue vittime ad arrostire nella pancia di un toro di bronzo cui sottoponeva un fuoco. Le grida del condannato uscivano dalla bocca del toro come muggiti.
Pindaro scrive che una fama odiosa (ejcqravfavti~) tiene in pugno ovunque Falaride to;n de; tauvrw/ calkevw/ kauth`ra nhleva  novon (Pitica I, vv. 95-96), la mente spietata che metteva a bruciare nel toro di bronzo.  
 
Il falso sciocco. Bruto e Amleto, gli ossimori viventi.
Bruto, per salvarsi, aveva stabilito di non lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato:"Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto. “Perché non vi è nulla di più pericoloso di un uomo che rifiuta di sottomettersi alla tirannia”[11].
 
Ma quella che sembrava pazzia agli stupidi era invece genio. Quando l'oracolo delfico infatti preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che per primo avesse baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet  quod ea communis mater omnium mortalium esset " I, 56, 12, come se fosse caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente poiché quella era la madre comune di tutti i mortali.
 
 Molto interessante è il commento di Bettini alla finta scivolata del falso sciocco. Questo particolare non irrilevante si trova anche in altri autori. "Il racconto di Dionigi[12] appare, in questo episodio, leggermente variato[13]. Egli infatti ambienta la scena non direttamente nel tempio di Delfi, come Livio, ma la ritarda sino al momento dello sbarco in Italia: in questo modo, la terra mater assume simultaneamente anche il connotato della terra patria. Ancora, in Dionigi manca il tema della caduta simulata: Bruto, semplicemente, si china a baciare la terra, compiendo un gesto rituale antico e frequente, in coloro che tornano a casa dopo un lungo viaggio[14] (…) Ovidio, al contrario, resta fedele al tema della simulazione nell’oracolo delfico:"ille iacens pronus matri dedit oscula terrae,/creditus offenso procubuisse pede"[15] ( giacendo disteso al suolo dette un bacio alla terra madre, dando l'impressione che fosse caduto per aver inciampato). Qui Bruto inciampa, non scivola come altrove: però si tratta ugualmente di una caduta, e di una falsa caduta"[16].
Bettini procede facendo notare che la stupidità, vera o simulata, tira al basso. "In generale la poca stabilità sulle gambe, l'attrazione verso la terra - la tendenza, insomma, a mutare la posizione eretta umana e normale con quella a terra - sembra costituire un tratto tipico dello sciocco e del buono a nulla: ovvero di colui che finge di esserlo. Dell'imperatore Claudio si sottolinea frequentemente l'andatura vacillante, il "dexterum pedem trahere" (trascinare il piede destro), e così via[17]. Il carattere tardus dell'intelletto sembra avere il suo corrispettivo nella tardità fisica"[18]. Questa caratteristica di Claudio può entrare del resto anche nella rubrica "la zoppia del tiranno" che aprirò tra poco avvalendomi della guida di J. P. Vernant. Per ora torniamo a Bettini e ad altri finti sciocchi che traballano. " David, comunque, fingendosi pazzo alla corte di Achis "si lasciava cadere fra le loro mani e inciampava nei battenti della porta"[19]. Dunque anche David scivolava giù e inciampava, come Bruto a Delfi.
Ma anche Amelethus, quando lo incontriamo la prima volta nella reggia di Fengo, giace "abiectus humi" (buttato a terra), sporco[20]... Lo stupido, tendendo al basso, alla terra, con la sua andatura incerta e le sue cadute, il suo inciampare, la sua amletica posizione di humi abiectus, di disprezzato Ceneraccio, riconferma invece la propria natura animalesca, il suo essere brutus: come gli animali che, com'è noto, "natura (…) prona finxit"[21] (la natura ha creato proni verso terra). Del resto…il valore originale dell'aggettivo brutus è proprio quello di "pesante"[22]: chi è brutus ha un ingegno che tira al basso. Cadendo a terra Brutus - per fare un gioco etimologico caro ai poeti antichi - diventa "realmente" brutus. I cugini Tito e Arrunte, nel tempio del dio di Delfi, non si saranno certo meravigliati del suo gesto, lo avranno trovato normale. E' stupido, è brutus, e quindi cade. Magari avranno riso di lui"[23].  
Livio racconta pure che Bruto aveva portato in dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo fatto a questo scopo, recando immagine enigmatica del suo carattere:"aureum baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per ambagem effigiem ingenii sui"[24]. "L'offerta funziona dunque come un indovinello, che simbolicamente rappresenta la falsa stoltezza dell'eroe. Il falso sciocco si configura come un involucro di materia vile che nasconde un'anima aurea…Dunque Bruto offre al dio un'immagine di se stesso, e della sua intelligenza fasciata di stoltezza. Come il Sileno platonico-l'astuccio ligneo, e di aspetto rozzo, che cela al suo interno la statua della divinità[25]-anche il bastone di Bruto manifesta simultaneamente i contrari. In questo senso si potrebbe anche dire che l'oggetto che Bruto offre al dio funziona alla maniera di un ossimoro, quella figura retorica che fa coincidere in uno stesso sintagma due perfetti contrari: come l'oraziana "concordia discors"[26], o il miltoniano "darkness visible"[27]. La materia più nobile e desiderata -l'oro- e quella più vile e mal augurante - un legno scadente e infelix- sono poste forzatamente una dentro l'altra. L'oggetto è ossimorico proprio come ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia. Diciamo meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che il significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle figure retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[28] .
Amelethus è Amleto nei Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (1140 ca-1210 ca).
Vediamo un aspetto della sua pazzia con altre considerazioni di Bettini:"L'eroe ha appena fatto all'amore con la futura Ofelia shakespeariana, e gli viene chiesto: su quale cuscino? E lui:" Su uno zoccolo di giumenta, una cresta di gallo e le travi del tetto"[29]. Ma il falso stolto deve anche farne, di sciocchezze, oltre che dirne. Odisseo a Itaca, davanti a Menelao e Agamennone, aggioga all'aratro un bue e un cavallo e se ne va in giro con in capo il berretto (pileus) dello stolto[30]. Peccato che non possiamo più vedere un celebre dipinto di Eufranore che stava a Efeso, forse nel santuario di Artemide. Plinio lo descriveva così:"Ulisse, fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un cavallo: vi sono anche uomini pensosi vestiti col pallio, e un comandante che rinfodera la spada"[31]. Ecco che le plateali insensatezze del (falso) sciocco suscitano il dubbio e lo sconcerto dei cogitantes, i personaggi "pensosi" che lo osservano. Solone, per parte sua, se ne uscì invece in pubblico "deformis habitu more vecordium" (tutto malvestito alla maniera dei pazzi), ovvero con in testa il famoso berretto[32]. David, alla corte di Achis, contraffaceva il volto, si lasciava cadere, inciampava nei battenti della porta, e la saliva gli correva lungo la barba[33]. Ancora Amelethus, alla corte di Fengo, giace per terra sporco di cenere, intento a indurire nel fuoco dei bastoncini ricurvi[34]; poi lo vediamo salire su un cavallo a rovescio, reggendo naturalmente la coda al posto delle redini"[35].   
     
 Tacere e dissimulare è un modo per resistere alla stupidità della tirannide. Così avviene in 1984  di Orwell dove gli slogan del Partito sono:" La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza, (p. 8)...Non si possedeva di proprio se non pochi centimetri cubi dentro il cranio...Non era col farsi udire ma col resistere alla stupidità (by staying sane) che si sarebbe potuto portare innanzi la propria eredità di uomo" (p. 31). 
Falso sciocco è anche Demo (Popolo) nei Cavalieri di Aristofane (del 424). Il coro lo accusa di dabbenaggine: sei uno facile da ingannare (eujparavgwgo" , v. 1115), gli dice, ti piace troppo essere adulato. E il vecchietto irritabile, sordastro (duvskolon gerovntion-uJpovkwfon, vv. 42-43) risponde: non avete senno sotto le vostre zazzere, se credete che io non capisca “ejgw; d  j eJkw;n -tau't  j hjliqiavzw”, vv. 1123-1124), io mi comporto da sciocco apposta, e così me la godo a farmi portare da bere. Il Popolo insomma ha permesso ai demagoghi, Paflagone in testa, di essere ladri, per poi costringerli a vomitare fuori (pavlin ejxemei'n, v. 1148) quello che gli hanno rubato usando l’urna elettorale per provocare il vomito.   
 Anche Amleto  di Shakespeare si finge pazzo
 E anche nella sua follia c'è  metodo (II, 2) tanto che il re sentenzia che la pazzia nei grandi deve essere vigilata (III, 1).
 
Torniamo su Amleto 
Pirandello sostiene che l'Oreste dell'Elettra  di Sofocle diventerebbe Amleto quando si producesse "uno strappo nel cielo di carta del teatrino (...) quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia"[36]; Amleto dunque sarebbe un personaggio paralizzato dalla consapevolezza che tutto è finto, recitato, contraffatto: che ci troviamo nella caverna platonica.
 
 Amleto anzi secondo O. Wilde fu l'inventore del pessimismo che incupisce la terra:"il mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica"[37]. 
 
Ebbene un Oreste amletico, come personaggio "terribilmente sconcertato" e consapevole, è già presente nella tragedia greca ed è il protagonista dell' Oreste  di Euripide. Infatti a Menelao che gli domanda:"tiv crh'ma pascei"; tiv" s j ajpovllusin novso" ;"(v. 395) che cosa soffri? quale malattia ti distrugge?, egli risponde:" hJ suvnesi", o{ti suvnoida deivn j eijrgasmevno"" (v. 396) l'intelligenza, poiché sono consapevole di avere commesso cose terribili. 
E se Amleto dice a Guildestern "Denmark's a prison " (II, 2)  la Danimarca è una prigione, Oreste fa a Pilade:"oujc oJra" ; fulassovmeqa frourivoisi pantach'" (v. 760), non vedi? siamo sorvegliati da sentinelle da tutte le parti.
 
 Restando ancora su Amleto, Freud sostiene che Amleto piuttosto è paralizzato dalla coscienza che lo zio ha attuato quanto avrebbe voluto fare lui stesso:" Secondo la concezione tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d'uomo la cui vigorosa forza d'agire è paralizzata dalla forza opprimente dell'attività mentale ("la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero", III, 1). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra nell'ambito della nevrastenia. Senonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce nell'adempimento del compito che lo spettro del padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull'uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l'uomo che gli mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi"[38].

 
Bologna 28 ottobre 2022 ore 17, 05

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[1]C. M. Bowra, Mito E Modernità Della Letteratura Greca  , p. 170.
[2] Cfr. Alfieri, Antigone, V, 2, v. 76.
[3]K. R. Popper, J. Condry, Cattiva maestra televisione , p. 10.
[4] Di nuovo la difficoltà di quanto è nevon.
[5] Cfr. Foscolo, Sepolcri , 157.
[6] Data probabile: 422 a. C.
[7] Il re di Atene che del resto, nel carme 64 di Catullo e nella Fedra di Seneca è presentato come perfidus, sleale, dalle due sorelle figlie di Pasife e di Minosse, Arianna e Fedra appunto.
[8]"Il primo attributo del traditore nelle parole di Arianna fa riferimento al suo essere venuto meno alle promesse basate sulla fides , un principio cardine del carme" (G. B. Conte, Scriptorium Classicum  2, p. 63). Pure l'Arianna di Monteverdi-Rinuccini rinfaccia a Teseo la malafede:"Dove, dove è la fede,/che tanto mi giuravi?" (Arianna,  opera perduta di cui rimane solo il  Lamento di Arianna, pubblicato separatamente nel 1623)
[9] Cfr Catullo, 64, 132-133.
[10] Inferno , XIII, vv. 64-66.
[11] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 20.
[12] 60-7 a. C. Antichità Romane.
[13] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, 4, 69, 3.
[14] E. Fraenkel, Aeschylus. Agamemnon, Clarendon Press, Oxford, 1962, II, pp. 256 sgg. (nel commento al v. 503); Olgivie, A Commentary on Livy cit., p. 228: sul bacio alla terra vedi in particolare F. Lot, Le basier à la terre. Continuation d'un rite antique, in Pankrateia, Mélanges H. Grégoire, Bruxelles 1949, pp. 435 sgg.
[15] Ovidio, Fastorum libri, 2, 720. Così Valerio Massimo, 7, 3, 2:"perinde atque casu prolapsus, de industria se abiecit". Per il tema del "baciare la terra", cfr. J 1652; A 401.
[16] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, pp. 95-96.
[17] Seneca, Apocolocyntosis, 5, 1; Svetonio, Divus Claudius, 2; 21; Seneca, Apocolocyntosis, 1 e 5.
[18] M. Bettini, op. cit., p. 96.
[19] Il libro dei Re, 21, 11 (=Il libro di Samuele, 21, 11-13).
[20] Saxo, 3, 6, 6. Saxo Grammaticus 1160-1220 Gesta Danorum
[21] Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1.
[22] Cfr. Lucrezio, De rerum natura VI, 105. “nam cadere aut bruto deberent pondere pressae, infatti dovrebbero o cadere gravate dal  peso massiccio… Quindi Orazio carm. 1, 34, 9, bruta tellus, terra inerte. Ndr.
[23] M. Bettini, op. cit., p. 98.
[24] Livio, I, 56, 9.
[25] Platone, Simposio, 215b, 221d sg.; Lanza, Lo stolto, Einaudi, Torino 1997, pp. 32 sgg.
[26] Epistulae. I, 12, 19 Ndr.
[27] Paradise lost, I, 63.  E’ la tenebra dell’inferno dove è stato gettato il Serpente infernale  che accecato da invidia e vendetta trasse in inganno la madre di tutti gli uomini. Ndr.
[28] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 2000, p. 86.
[29] Saxo, 3, 6, 11.
[30] Igino, Fabulae, 95.
[31] Plinio, Naturalis historia, 35, 129.
[32] Giustino, 2, 7; Plutarco, Vita di Solone, 8, 1, sg.
[33] Il libro dei Re, 21, 11 (=Il libro di Samuele, 21, 11-13).
[34] Saxo, 3, 6, 6.
[35] M. Bettini, op. cit., p. 59.
[36]Il fu Mattia Pascal, p.173.
[37]La decadenza della menzogna  in Oscar Wilde, Opere, p. 224.
[38]S. Freud, L'interpretazione dei sogni , pp. 250-251.

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