lunedì 31 ottobre 2022

Sul potere. XIII parte. Il senso della misura e la teoria della classe media

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Il senso della misura e la teoria della classe media
 
 Le Fenicie vennero scritte intorno al periodo del colpo di Stato oligarchico del 411, ma il rifiuto dell’eccesso è una posizione topica molto diffusa. Vediamone alcune occorrenze.
 
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della misura.
“In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine?  E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 9).
 
La formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro  gli fece vedere i suoi cospicui tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui,  il legislatore ateniese nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni".  Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle  domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[1].
Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del nulla di troppo, condannano spesso la dismisura.
Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone di Sofocle" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato  avrà vigore/ questa legge: nulla di grande del tutto-oujde;n pampoluv/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 613-614). Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn-ajnovmou t  j ajfrosuvna"-to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi  nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387-389), di bocche senza freno, di stupidità senza misura, il termine è sventura.
 
Il Coro della Medea  di Euripide nella prima strofe del secondo stasimo  biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole- oijk a[lla qeo;~ eu[cari~ ou{tw~-./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).
 
Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[2].
 
Werner Jaeger  afferma che "Lo sviluppo dell'idea greca della misura quale valore supremo si può contemplare,  collocandosi sul punto dove è Sofocle, come da una vetta"[3].
 
Ebbene, tale misura è quella delfica del "nulla di troppo" e del "conosci te stesso"; è l'ingrandimento dell'Io a spese dell'Es, che, per dirla con Freud, va bonificato al pari di una palude:"Rafforzare l'Io rendendolo più indipendente dal Super Io, ampliare così il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell'Es, è il compito della psicoanalisi: dove era l'Es deve subentrare l'Io. E' un'opera di civiltà, come, ad esempio, il prosciugamento dello Zuiderzee"[4].
 
Viceversa, come scriveva Oscar Wilde In carcere et vinculis :" Il vero stolto, quello che gli dèi scherniscono o riducono in rovina, è colui che non conosce se stesso"[5]. 
 
 
Perfino nel vestire la via di mezzo è la migliore. Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De officiis [6]": quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est  " ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza villana e incivile. Bisogna conservare la medesima regola nel vestirsi, dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore.
 
Anche Seneca suggerisce la via di mezzo:"non splendeat toga, ne sordeat quidem" (Epist., 5, 3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia. Gli atteggiamenti estremi possono riuscire "ridicula et odiosa" (5, 4). Il proposito del filosofo stoico è vivere secondo natura:"Nempe propositum nostrum est secundum naturam vivere: hoc contra naturam est, torquere corpus suum et faciles odisse munditias et squalorem adpetere et cibis non tantum vilibus uti sed taetris et horridis. Quemadmodum desiderare delicatas res luxuriae est, ita usitatas et non magno parabiles fugere dementiae. Frugalitatem exigit philosophia, non poenam ; potest autem esse non incompta frugalitas" (5, 4-5), evidentemente il nostro progetto è vivere secondo natura: è contro natura questo tormentare il proprio corpo e odiare l'eleganza a portata di mano, e cercare lo squallore e fare uso di cibi non solo a buon mercato ma disgustosi e ripugnanti. Come è segno di dissolutezza desiderare le raffinatezze, così è segno di pazzia evitare i beni comuni e procurabili a prezzo non grande. La filosofia reclama la semplicità non la tortura; del resto la semplicità può essere non disadorna.
 
Pure Ovidio cui  non spiace il cultus, la cura della persona, suggerisce la via di mezzo: " nelle sue oscillazioni poco tormentate si ferma alla proposta di un cultus  misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars  I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio fra la mundities  e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga . Dunque, né rusticitas  né effemminatezza"[7]. L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511-512).
Inoltre i denti siano senza tartaro (careant rubigine dentes, Ars, I, 513), i piedi abbiano calzari della loro misura[8], il taglio di barba e capelli sia buono, le unghie siano ben limate e senza sporcizia (Et nihil emineant et sint sine sordibus ungues, 517), non ci siano peli nella cavità delle narici, non ci siano cattivi odori nel fiato né addosso alla persona.
"Cetera lascivae faciant concede puellae/et si quis male vir quaerit habere virum " (521-522), il resto lascia che lo facciano le donne lascive e chi, uomo presunto, desidera possedere un uomo.
 
 La qualità della moderazione appartiene anche al Catone Uticense della Pharsalia,  celebrato da Lucano come uomo ricco di virtù in testa alle quali c'è quella serbare la giusta misura ("servare modum ", II, 381). Conseguono a questo mos altri non meno buoni:" finemque tenere/naturamque sequi patriaeque impendere vitam/nec sibi sed toti genitum se credere mundo" (II, 381-383), attenersi al giusto limite, seguire la natura, spendere la vita per la patria, e credersi nato non per sé ma per tutto il mondo.
 
Il quarto coro dell'Oedipus di Seneca raccomanda di evitare ogni eccesso:" Quidquid excessit modum,/pendet instabili loco " (vv. 909-910), tutto ciò che ha oltrepassato la giusta misura, vacilla su un appoggio instabile.
 
La dismisura è svantaggiosa: commodus, “vantaggioso” e commodum, “vantaggio”, sono connessi etimologicamente a modus (cum, modus).
 
Un altro esempio più recente troviamo nel Parini il quale sostiene che, solo, ama la Musa:"Colui cui diede il ciel placido senso/e puri affetti e semplice costume;/che, di sè pago e dell'avito censo,/più non presume"[9]; e uno successivo nel Manzoni che ne fa un precetto:" Sentir, riprese, e meditar: di poco/esser contento...de le umane cose/tanto sperimentar, quanto ti basti/per non curarle: non ti far mai servo"[10].
 
A questa idea della misura è collegabile  la teoria della classe media.  La troviamo nelle Supplici [11] di Euripide. Qui Teseo[12] non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione, il precursore di Pericle. I fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417-418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte  l'araldo per quel che riguarda la critica ai demagoghi"[13], ma propugna  la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più; quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti. In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ  jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j  a]n tavxh/ povli"",  (vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
 
Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli fondò la democrazia dell’Attica e unificò la popolazione ma non permise che questa, risultante da una massa  riversatasi là, fosse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).  
 
 La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone  negli  anni successivi.  Nell'Elettra[14] di Euripide, Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male
 Nell'Oreste  (del 408) "infatti, egli[15] vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[16]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[17].
 
he turned away from the actual Demos, which surrounded
him and howled him down ,to a Demos of his imagination, pure and uncorrupted, in which the heart of the natural man should speak. His later plays break out more than once into praises of the unspoiled countryman, neither rich nor poor, who works with his own arm and whose home is "the solemn mountain " not the city streets (cfr. especially Orestes, 920 aujtourgov~, as contrasted with 903 ff. ;also the Peasant in the Electra ; also Bac,717)[18], Euripide si scostò dal Demos contemporaneo che lo circondava e lo disapprovava ululando, e si volse al Demos della sua immaginazione, puro e incorrotto, nel quale potrebbe parlare il cuore dell’uomo incorrotto. Le sue ultime tragedie esplodono più di una volta in lodi del contadino incontaminato, né ricco, né povero, che lavora con le sue braccia e la cui casa è la “solenne montagna”, non le strade della città (cfr. specialmente Oreste 920 aujtourgov~, in contrapposizione a 903ss.; anche il contadino dell’Elettra; anche le Baccanti 717).
 
Nell’Oreste prima del coltivatore parla un ajnhvr ajqurovglwsso~ (v. 903). E’ un personaggio negativo che probabilmente allude a Cleofonte, l’ultimo grande demagogo della guerra del Peloponneso, contrario alla pace  : “ajnhvr ti~ ajqurovglwsso~, ijscuvwn qravsei,- jArgei'o~ oujk jArgei'o~, hjnagkasmevno~,-qoruvbw/ te pivsuno~ kajmaqei' parrhsiva/ ” (vv. 903-905), un uomo dalla bocca sempre aperta (lett. “senza porta”), forte della sua arroganza, Argivo non Argivo, impostosi con la forza, fidente nel tumulto e in una brutale licenza di parola. Ebbene costui propose la lapidazione di Elettra e di Oreste.
 
Il contadino marito di Elettra, solo di nome, è pevnh~ ajnh;r gennai`o~ (v. 253), un uomo povero ma nobile. Discendeva da veri Micenei, ma poveri, per cui la razza si perde.   
 
Nelle Baccanti dà cattivi consigli ti~ plavnh~ kat j a[stu kai; trivbwn lovgwn (717).
 E un vagabondo della città, uno consumato nei discorsi
disse a tutti:" o voi che abitate i sacri
pascoli dei monti, volete che andiamo a caccia
di Agave la madre di Penteo e la togliamo
dalle orge e facciamo cosa gradita al re?”.


Bologna 31 ottobre 2022 ore 11, 55
p. s.

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[1] Plutarco , Vita di Solone , 27.
[2] La nascita della tragedia, cap. 4
[3]Paideia (I vol. p. 482)
[4]Introduzione alla psicanalisi , in Freud Opere , Volume 11, p. 190.
[5]De Profundis , in Wilde Opere , p. 635.
[6] Del 44 a. C.
[7]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201.
[8] Nec vagus in laxa pes tibi pelle natet " (v. 514), Mentre l' a[groiko" del IV dei Caratteri di Teofrasto è un tipo capace di portare la scarpa più larga del piede:" a[groiko" toiou'tov" ti" oi|o" meivzw tou' podo;" ta; uJpodhvmata forei'n.
[9]Ode Alla Musa , vv. 17-20.
[10]In morte di Carlo Imbonati , vv. 207 e sgg.
[11] Del 422 a. C.
[12] Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[13]V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società , p. 180.
[14] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[15] Euripide.
[16]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi swv/zousi gh'n.
[17]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[18] G. Murray, Euripides and his age, pp. 194-195.

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