domenica 16 ottobre 2022

Satyricon. Il denaro onnipotente prepondera e prevale sulle leggi

"Quid faciant leges, ubi sola pecunia regnat/ aut ubi paupertas vincere nulla potest?/ipsi qui Cynica traducunt tempora pera,/non numquam nummis vendere vera solent./ ergo iudicium nihil est nisi publica merces,/atque eques in causa qui sedet, empta probat" (Satyricon, 14, 2), cosa possono fare le leggi dove solo il denaro comanda o dove la povertà non può mai vincere? Perfino quelli che passano il tempo con la bisaccia cinica talora hanno l'abitudine di vendere le verità per denaro. Quindi anche la sentenza del giudice non è altro che merce in vendita, e il cavaliere che siede in giudizio approva  sentenze comprate.-ubi sola pecunia regnat: è il lamento che si trova anche nel XVI idillio di Teocrito: l'autore lamenta l'avarizia dei signori che tengono stretto il denaro invece di donarlo, quali committenti, ai poeti perché li celebrino: infatti non più come prima gli uomini desiderano essere lodati per le imprese gloriose, "nenivkhntai d j uJpo; kerdevwn" (v. 15), ma sono dominati dal lucro. “Probitas laudatur et alget” (Giovenale, I, 74), l’onestà è lodata ma sente freddo. Il filosofo cinico Diogene che  girava con la sola bisaccia lodava l’onestà e la povertà. Ma molti dei sui seguaci vendevano la verità per denaro.

 Pure Tacito non dà alcun credito alle leggi di Roma :"corruptissima re publica plurimae leges " (Annales  III, 27) più corrotto è lo stato, più numerose sono le leggi.
Anche nell'Urbe di Nerone  tutto è rovesciato: lo afferma Tacito dopo avere raccontato l'assassinio di Ottavia ventenne:"Quicumque casus temporum illorum nobis vel aliis auctoribus noscent, praesumptum habeant, quotiens fugas et caedes iussit princeps, toties grates deis actas, quaeque rerum secundarum olim, tum publicae cladis insignia fuisse " (Annales , XIV, 64), chiunque conoscerà le vicende di quei tempi da me o da altri autori, tenga per certo che tutte le volte che l'imperatore ordinò esili e stragi, altrettante volte si resero grazie agli dèi, e quelli che una volta erano segni di prosperità, allora lo furono di calamità pubblica. Isocrate nell' Areopagitico , del 356, sostiene che la gran quantità delle leggi e la cura con cui sono state elaborate (tav ge plhvqh kai; ta;" ajkribeiva" tw'n novnwn, 40)[1] è segno che la città è mal governata. E poco più avanti :"ouj ga;r toi'" yhfivsmasin, ajlla; toi'" h[qesin kalw'" oijkei'sqai ta;" povlei""(41), infatti le città si governano bene non con i decreti ma con la bontà dei costumi
Sallustio nel Bellum Catilinae , rimpiange i boni mores  dell'antica Repubblica, quando cives cum civibus de virtute certabant , i cittadini gareggiavano per il valore con i cittadini, e  ricorda che:"ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat " (9), il diritto e l'onestà da loro aveva forza non più per le leggi che per natura.
Nella Vita di Solone di Plutarco troviamo una derisione delle leggi scritte da parte di Anacarsi che fu ospite e amico del legislatore Ateniese. Lo Scita dunque derideva l’opera di Solone che pensava di frenare l’iniquità dei cittadini con parole scritte le quali, diceva, non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde;n tw`n ajracnivwn diafevrein, 5, 4), ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi (uJpo; de; dunatw`n kai; plousivwn diarraghvsesqai).


Bologna 15 ottobre 2022 ore 18
giovanni ghiselli
 
p. s
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[1] "La moltitudine e la minuta squisitezza delle leggi" traduce Leopardi.

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