Erano necessarie delle spiegazioni. Era la solita Bonadea “coi ricciolini che, secondo la moda, coprivano e scoprivano la fronte non molto intelligente” p 851. Bonadea doveva spiegare a Ulrich perché avesse avvicinato Diotima raccontandole i fatti loro.
L’ex amante rispose eludendo quanto Ulrich voleva sapere: “E’ così carina con me. Mi dimostra tanta simpatia!”
Non rispondere a una domanda è offensivo.
Ulrich fa dell’ironia: “Ti sei messa a lavorare con lei per Il Bello, il Buono e il Vero?”
“Mi ha spiegato che ogni donna deve fare il suo dovere nel luogo dove l’ha posta il destino” Quindi; “far andare bene il matrimonio secondo lei è molto più nobile che tradire il marito. E in fondo anche io l’ho sempre pensata così”.
Questo pensiero però non toglieva l’azione dei tradimenti perpetrati da Bonadea.
Quindi segue una battuta di Ulrich: “era verissimo, infatti non avevi mai pensato diversamente, avevi solo agito diversamente”
Bonadea lo baciò, un poco più in giù della fronte.
Poi disse: “Tu, vedi, turbi il mio equilibrio poligamo”.
Sono fiero di non avere mai posto fine alla poliandria delle mie amanti. Dovevo difendere la mia monogamia con me stesso.
Poi Bonadea spiegò che con poligamo intendeva poliglandolare “Insomma una questione di glandole. E’ tranquillizzante il fatto che non ci si può fare niente. Ma quando l’equilibrio si turba ne conseguono sempre esperienze sessuali mal riuscite. Tu sei un’esperienza sessuale fallita, dice tua cugina. Lei del resto predica la monogamia però ha in riserva tre o quattro uomini, mentre io per la mia felicità non ne ho nemmeno uno”.
Questo si potrebbe chiamare relativismo dei doveri matrimoniali.
Intanto la donna contemplava “il suo riservista disertore”. Ulrich non faceva più il riservista rispetto al marito.
Penso con sdegno contro me stesso a quando mi lasciavo pungere a sangue dal tafano della gelosia invece di tenermi una o più riserviste e spassarmela con loro. Invece del sano spasso, permettevo a un tarlo di rodermi il cervello. Ero poco esperto allora: un giovane oca maschio.
Bonadea confessa che lei e Diotima hanno parlato di lui, l’amico comune. C’era anche il generale Arnheim il quale ascoltava con dignità il dialogo delle nobili signore.
Invero Ulrich aveva parlato a Diotima di Bonadea come di una ninfomane e la cugina ne aveva provato tanta curiosità quanto orrore. Bonadea però si era comportata in modo ineccepibile e Diotima aveva fatto di quella “sorella traviata” una sua protetta.
Diceva alla confidente quasi coetanea in tono didattico e consolatore: “lo so bimba mia: nulla di più tragico che abbracciare un uomo di cui non si è intimamente persuase!” e la baciava sulla bocca impura con uno sforzo di coraggio che sarebbe bastato a farle premerle labbra sui baffi insanguinati di un leone” (p. 854).
Invero la cosa più tragica per chi ama e desidera l’altro sesso è quando si diradano le occasioni di corteggiare con qualche possibilità di successo la persona desiderata e si soffre rimpiangendo i bei tempi, quando le opportunità erano numerose, però con ingeatitudine verso il buon Dio non le sfruttavamo tutte per un impegno di fedeltà preso con chi non lo rispettava. Questo è il mio catechismo di vecchio donnaiolo entrato nell’ottantesimo anno di vita. Sono pentito di non avere amato tutte quelle disponibili quando ero puellis idoneus.
Diotima era in posizione media tra il marito Tuzzi e il nababbo Arnheim. Ulrich l’aveva visitata che non stava bene: aveva la testa fasciata e i panni caldi. Ella indovinava che il malessere derivava dalle proteste del corpo nei confronti delle le istruzioni contraddittorie che esso riceveva dall’anima.
E’ una buona diagnosi di tante malattie: il corpo si risente per le pretese della mente superiori alle proprie energie somatiche e per giunta contraddittorie.
Diotima con nobile risolutezza voleva essere diversa da una donna qualunque. Era incerta tra Arnheim e Tuzzi ma l’andazzo del mondo le venne in aiuto. Non riusciva a comprendere, ad afferrare l’anima con i suoi enigmi amorosi che le sfuggivano come un pesce afferrato con la mano nuda. Agguantò il proprio destino identificandolo con il marito. Leggeva libri che riflettevano lo spirito del tempo, un tempo che aveva smarrito il concetto della passione amorosa, concetto piuttosto religioso che sessuale, un tempo che sdegnava come puerile occuparsi dell’amore e svolge i suoi sforzi verso il matrimonio.
Excursus dotto. Se vi annoia, saltatelo
Le nozze come ascesa della mente verso la Filosofia
Mi viene in mente un testo latino di Marziano Capella (360-428)
E’ un trattato didattico, misto di prosa e di versi in metro vario, indirizzato al figlio. Quest’opera ebbe una grande importanza in tutto il Medio Evo. Venne commentata da Giovanni Scoto[1]
Il De nuptiis Philologiae et Mercurii ha esercitato un’influenza determinante “sull’iconografia delle artes liberales, dai rilievi del campanile di Giotto fino, in pieno Umanesimo, a quelli di Agostino di Duccio nel tempio albertiano di Rimini.
A noi qui interessa brevemente analizzarla come possibile icona di quel nesso tra filologia e filosofia che ci sembra centrale per intendere il pensiero dell’Umanesimo” (M. Cacciari, La mente inquieta Saggio sull’Umanesimo, p. 37)
Filologia ha nascita terrena ma ha preso dalla madre Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero e Orfeo. Filologia simbolizza l’umano capax dei. Quindi ella deve rappresentare l’insieme delle arti liberali. Filologia è amore per ogni forma del logos.
Scoto legge le nozze in chiave neoplatonica e vede Mercurio come interprete della mente divina, colui che conduce al Nous.
La filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma, colei che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensum in supera”. Filologia dovrà sposare l’interprete Mercurio che conduce a comprendere la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le nozze.
Per ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al sole, platonicamente chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile, Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce, prima però deve vomitare “coactissima egestione” (2, 135) tutto ciò di cui è piena, ossia della erudizione umana, troppo umana.
“Marziano dice questo mystice poiché fino a quando l’animo umano è gonfio della scienza terrena e ne è oppresso non può in alcun modo essere capace della vera sapienza che eleva al cielo” (Remigio di Auxerre, IX secolo).
Poi quella nausea ac vomitio si trasforma in un’abbondanza di lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia diventa sapienza. “passa, per così dire, da potenza ad atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera, soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”. (Massimo Cacciari, La mente inquieta, Saggio sull’Umanresimo, cap. terzo Philosophica Philologia, p. 38)
Dunque Filologia corre da Filosofia omni studio affectuque, e Filosofia la affida a Mercurio perché le faccia da guida e da sposo.
Scoto commenta “Nemo intrat in caelum nisi per philosophiam”.
Filologia subisce una metamorfosi dalla facies terrestre che vomita la disordinata congerie di tecniche a colei che riceve il dono delle arti dalle Muse.
Mercurio interpreta le arti con una esegesi orientata verso la filosofia. Dal cumulo di saperi le arti si trasfigurano in Armonia. E Filologia terrestre diventa celeste. Ermete è metaxuv tra Filologia e Filosofia “dialettizza l’ordine dei grammata con quello della philìa o eros per la sapienza del Bene, che costituisce la timé di Donna filosofia”. (M. Cacciari, La mente inquieta, p. 39).
Le nozze dunque devono portare alla Filosofia, non all’amore ma a quello della sapienza.
La mia prassi amorosa non discorda toppo da questo: ho sempre studiato per piacere alle donne che ho sempre considerato le mie borse di studio. Quando mi portavano il cibo nelle mense dei collegi dove entravo con borse di studio: guardavo quei piatti pur appetitosi e mi ponevo una domanda retorica: “è questa la borsa di studio, può essere questa?” Quindi adocchiavo una borsista carina e mi rispondevo: “no, è quella lì: sarà poco bellina!”. E se mi guardava, le sorridevo. Se rispondeva al sorriso andavo a parlarle, a invitarla.
Fine excursus
Diotima dunque aveva scoperto che anche le deprimenti spiacevolezze del matrimonio si potevano trattare con spirito superiore. Le si aprì l’animo alla speranza di poter trattare come un’arte e una scienza i suoi rapporti con il coniuge che finallora non erano stati per lei altro che sofferenza (p. 855)
Bologna 8 gennaio 2024 ore 17, 53
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Conosciuto anche con l'epiteto di Doctor Subtilis (Duns, 1265/1266 – Colonia, 8 novembre 1308), è stato un filosofo e teologo scozzese
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