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mercoledì 17 gennaio 2024

Storia Greca. Da Egospotami (405 a.C.) a Cheronea (338 a.C.): dall'egemonia spartana all'egemonia macedone. Di Giuseppe Moscatt

Rilievo funebre per l'ateniese Pancahres,
probabilmente caduto nella battaglia di Cheronea
Storia Greca. Da Egospotami (405 a.c.) a Cheronea (338 a.c.):
dall'egemonia spartana all'egemonia macedone
di Giuseppe Moscatt 


E' noto che prima della battaglia navale di Egospotami (405 a.C.) sita nella Tracia di fronte a Lampsaco, la flotta ateniese chiamò a battaglia quella spartana guidata da Lisandro proprio alla fonda nel porto di Lampsaco. Nei quattro giorni di quel confronto navale, gli Ateniesi disobbedirono ad Alcibiade, comandante in capo delle forze ateniesi. Questi aveva vietato di sbarcare truppe pur di avere i necessari rifornimenti alimentari, perché temeva un accerchiamento delle forze di terra spartane. Cosa che avvenne però e che portò alla distruzione quasi totale della superba ed indisciplinata flotta ateniese. Unico superstite dei generali su una singola navale fu Conone, che, nella Atene sgomenta per essere stata vinta in mare da una flotta spartana, addirittura sostituì Alcibiade alle elezioni del 407. Il mostro - termine con cui le oligarchie ateniesi chiamavano Alcibiade - non si ripresentò alle elezioni e sparì nelle sue tenute nell'Ellesponto, morendo in un'attentato dei Persiani con cui ancora trafficava. Conone riuscì a riorganizzare le truppe e la flotta, ma la città più grande della Grecia trepidava per essersi ormai sguarnita di fronte all'inevitabile rappresaglia spartana. Un lungo assedio era imminente ed il rischio di una seconda e più grave epidemia di peste era all'orizzonte. Lisandro dopo aver occupato le ultime colonie di Atene dell'Egeo (Sesto, Bisanzio e Mitilene), finalmente si attestò al Pireo. Pausania, Re di Sparta, invase l'Attica e la lega antiateniese del Peloponneso ormai stava sulle alture dell'Accademia a guardare Atene chiusa in assedio.
Al solito gli oligarchi, guidati dal retore Cleofonte, si chiusero a difesa dietro le lunghe mura. Ma Teramene, democratico e imprenditore aperto al dialogo, di nascosto si recò da Lisandro per trattare la pace. Dopo mesi di assedio e di stallo, Cleofonte, di fatto divenuto un Tiranno, venne processato e giustiziato. Teramene rientrò ad Atene e propose il progetto di pace. La città lo accettò, anche se temeva la rappresaglia spartana per i fatti della strage di Milo dove gli ateniesi avevano fatto a pezzi quella popolazione alleata di Sparta. Gli spartani però di fronte allo stremo degli antichi nemici, non infierirono: mantennero per Atene il possesso della sola Attica; abbatterono le gloriose mura di Pericle e le concessero però una flotta minima di 12 navi. Lasciarono la città autonoma, salvo l'obbligo di alleanza in politica estera ed obbligarono i vecchi esuli filospartani ad essere riammessi. Troppa era la fama cultuale assunta da Atene nei due secoli di rivalità! Ma non c'era ancora unità: a nord cresceva la Macedonia; ad Ovest Siracusa invadeva buona parte della Sicilia e si affacciava sull'Adriatico. Il particolarismo politico della Polis era nel DNA della Grecia antica: ad Atene spettava di diritto la primazia culturale in tutto il bacino del Mediterraneo, tanto che il romano Orazio dichiarerà nel secondo secolo, al momento che l'Attica e la penisola cadevano sotto Roma, che Graecia capta ferum victorem coepit.
Era cioè il secolo ellenico, di Socrate, Aristotele e di tutta la filosofia filoplatonica, sfidata poi dal Cristianesimo di Paolo di Tarso e poi integrata dal giudaismo e dallo storicismo romano, operazione di sincretismo culturale analogo a quello che avverrà nel mondo occidentale nel'900 quando si affaccerà nel Mediterraneo il melting pot nordamericano. Ma torniamo alla politica spartana. La conclamata gelosia delle polis greche veniva a limitarsi quando compariva il barbaro persiano, o in Sicilia il barbaro cartaginese, visto che il vizio isolazionista era stato importato nella Magna Grecia. Ma in tempo di pace riguardava interessi, la politica locale, come fu per Atene, lo fu all'inizio del 407 per Sparta e lo sarà nella metà del 2° secolo a.c. per la Tebe di Epaminonda. Sappiamo come Cartagine in Sicilia e Roma nell'Italia meridionale stavano in attesa di annettere le città greche, senza contare le prime esperienze aggressive della Macedonia. Le tensioni interne di Sparta ed i fuochi democratici di Atene e Tebe fra le classi sociali, il loro scontro dialettico e politico, alimentavano la vecchia conflittualità interna. Mancava tuttavia una classe dirigente che promuovesse la domanda di unità, magari di ricchi capitalisti che Canfora vorrebbe ritrovare nel processo analogo avvenuto nel Risorgimento italiano (vd. un suo articolo nel Corriere della sera del 17 settembre 2023). A Sparta, la doppia monarchia portava alla divisione, come sarà nella Roma tardo-repubblicana, col binomio Cesare-Pompeo.
Infatti il controllo a Sparta era affidato agli Efori e non bastava ad impedire iniziative di uno dei due Re. E poi in quella città crescevano gli immigrati e gli schiavi venuti come esuli da tutte le città vicine dopo decenni di guerre, come sta avvenendo oggi in Europa, terra di arrivo di popolazioni africane dilaniate da guerre infinite ed epidemie. Com'era avvenuto anche ad Atene dopo la dittatura di Pisistrato: il popolo domandava una nuova Costituzione ed arrivò l'uomo che doveva risolvere i mali della città, Pericle, riconosciuto il miglior mediatore politico di quell'epoca, ormai quasi dimenticato dopo le deviazioni di Alcibiade, le cui evoluzioni politiche trasformiste produssero la decadenza politica del Paese che aveva raggiunto col primo un ampio consenso fra le città della Grecia. Ora era la volta di Sparta e la classe dirigente vincitrice della grande guerra con Atene guardava a Lisandro, l'uomo nuovo, più simile a Pericle che non ad Alcibiade. La vittoria di Egospotami, causata del suo genio militare, non bastò a confermargli a lungo il potere.
Gli Efori - espressione della conservazione tradizionalista ed oligarca - lo estromisero per ragioni religiose, nascondendo la paura che la classe agraria aveva per chi aveva dato spazio alla democrazia economica e commerciale in espansione. Lisandro come Pericle voleva dare spazio all'economia aperta, al mercato commerciale, a quella classe di imprenditori piccoli e e medi che avevano sorretto la politica mediterranea e terrestre di Pericle, che aveva nell'età dell'oro attica - dal 478 (Confederazione di Delo) al 429 (morte di Pericle) - garantito la difesa e la gestione dell'impero ateniese dalla Magna Grecia all'Asia Minore, dall'Egeo allo Ionio. Come potere organizzare quel vastissimo territorio e mare con la cultura oligarchica e militarista, con la neutralità oligarchica ed un mercato statico, senza alcuna alleanza con la classe produttiva paleocapitalista che permetteva anche fiscalmente un'amministrazione più ampia fra proprietà ed impresa, fra agricoltori ed armatori, fra commercianti ed industriali? In fondo, era lo spirito trasformista di Alcibiade, che aveva governato con l'appoggio di parte di oligarchici progressisti e di non pochi democratici che avevano bisogno di materie prime in mano agli agrari.
Ciò aveva consentito di continuare il solco democratico di Pericle. Ma dopo la vittoria, la nuova lega spartana pretendeva una gestione amministrativa che partiva da governatori militari di formazione autoritaria, esosi e poco amanti di innovazione economiche. Cioè di meri esattori d'imposta, esponenti conservatori incolti e mediatori politici di interessi limitati. Insomma, pensiamo agli agrari della Germania imperiale di fine '800, che perfino Bismarck fu incapace di contenere nella fase finale del secolo, trasformando l'impero tedesco in una gigantesca macchina da guerra pronta nel 1914 a scatenare la Grande Guerra. In breve, la differenza fra il capitalismo finanziario dell'Atene di Alcibiade e quello autarchico del successore di Lisandro, il re Pausania, era quella che considerava la classe democratica poco più che schiavi, mentre alla funzione di governatori arrivavano o rancorosi vendicatori di precedenti esili, oppure avventurieri che desideravano solo arricchimenti personali. Una classe dirigente non lontana dalla prassi vendicativa nel periodo della dittatura fascista nella Repubblica di Salò. Anzi Tucidide - ma anche Plutarco e Senofonte, l'uno nella biografia su Lisandro, l'altro nelle Elleniche - scolpì così quel non edificante periodo di transizione: Noi siamo sicuri che qualora qualche storico studierà il nostro impero. sarà ben chiaro quanto sia sta immensa la nostra politica nella sua avvedutezza rispetto a quella spartana caratterizzata da un'aura di autoritarismo incompatibile con l'acquisita realtà culturale di Atene. Infatti, la riforma costituzionale avviata da Lisandro e Teramene di Atene, prevedeva una assemblea - l'Ecclesia - cui potevano partecipare i rappresentanti di 3000 cittadini solo della classe più abbiente.
Fu il terrore: Trenta Commissari non solo ebbero il potere di riforma legislativa, ma anche una sorte di Comitato di Salute Pubblica che condannò, esiliò e confiscò uomini e beni di tutti gli oppositori democratici, acquisendo a titolo personale i loro patrimoni. Le condanne a morte fioccarono come al tempo di Robespierre. Erano guidati dall'ex discepolo di Socrate Crizia, un democratico passato all'oligarchia più arrabbiata. Questi divenne il maggior esponente della Commissione - i cc. dd. Trenta tiranni - che insieme al Governatore spartano Callibio ed i suoi 700 opliti - istallati nell'Acropoli, come sarà Kappler a Roma nel 1944 - operarono il massacro di tutti i dissidenti, tanto che Alcibiade fuggì in Frigia e morì ucciso da Farnabazo, Satrapo persiano che eseguì il mandato di cattura internazionale di Lisandro e Crizia. Anche Teramene - come Danton nell'89 - venne giustiziato come tanti altri oppositori anche di parte oligarchica. Ma anche all'epoca ci fu un Termidoro: Trasibulo e Anito - fuoriusciti a Tebe - con un commando di 70 volontari penetrò al Pireo e alla testa di emigrati e di partigiani prese l'Acropoli. La guerra civile casa per casa insanguinò le vie di Atene, come avvenne a Parigi nel 1871 in occasione della Comune. Crizia e Trasibulo morirono fra le opposte barricate. Il re Pausania di Sparta finalmente intervenne a mediare. E nel 403 la democrazia ritornò ad essere la legge politica di Atene. Un'amnistia per tutte le parti, varie commissioni miste per riattivare la Costituzione di Pericle, nuovi amministratori di uffici di parte democratica ed espulsione degli oligarchi troppo compromessi col regime di Crizia, e così si riportò la pace in città. La nuova classe di Trasibulo e Anito pensava di ritornare allo statuto di Pericle perché si illudeva che Atene poteva risorgere pur nella strettezza dello spazio politico e territoriale e si potesse ricostruire quella età dell'oro di buona parte del V° secolo. Sembrava l'epoca della Repubblica di Weimar, dopo gli orrori della Grande Guerra, quando la rinascita della Germania sembrava rifiorire nell'Europa del primo dopoguerra. Era il secolo IV: malgrado la sbiadita egemonia di Sparta, si vedevano lungo quel secolo pensatori del calibro di Antistene, Euclide, Platone, Teofrasto, Cratete, Zenone ed Epicuro. Ma anche di fronte a tali luci, un'ombra oscurò quella promettente ripresa: la morte di Socrate, l'uomo che aveva illuminato il pensiero con una semplice considerazione scolpita all'entrata del tempio di Apollo a Delfi: Conosci te stesso.
E' noto da Platone e da Senofonte, che la filosofia socratica si era lungamente soffermata sulle idee progressiste della scuola sofista, di cui razionalizzò lo spirito universale, fondato sul linguaggio adeguato alla rivoluzione sociale figlia dei nuovi mercati dall'Asia Minore, dell'Egitto e del Mediterraneo occidentale. Socrate fu un ottimo cittadino, difensore delle tradizioni, ma non un rigido conservatore, piuttosto un elastico interprete delle libertà dell'Uomo. Tale spirito critico - molto simile alla predicazione di Gesù all'interno della società ebraica - andò a cozzare con la società conservatrice isolazionista chiusa alle innovazioni sia sociali che scientifiche. I giovani si estraniarono alla naturale reazione del buon cittadino classico, oggi diremmo al political correct e Socrate sembrò quasi un underdog solo perché approvava - a dire di Platone nei suoi dialoghi - le azioni di Alcibiade. Insomma, per tornare all'esempio della Repubblica di Weimar, come le novità culturali di quella società favorirono la reazione nazionalsocialista che aveva nel popolo tedesco tante recriminazioni; così gli ateniesi ne avevano altrettante contro gli spartani, proprio nel momento in cui il silenzio operoso e la fraternità fra le fazioni, senza divisive fughe in avanti, esigeva la rinascita economica della città! Di qui la denunzia di un intellettuale conservatore, il poeta tragico Mileto, che col vecchio costituente Anito, accusò Socrate di essere un corruttore di giovani, un ateo ed un portatore di dubbi pericolosi per la città, accuse simili a quelle di Cristo al Sinedrio. E come Cristo - e oggi diremmo come Giordano Bruno - Socrate non evitò con compromessi vari la condanna a morte, ritorcendo sui giudici l'iniquità della loro sentenza (399).
Allo scoccare del IV secolo a.C. i politici ateniesi intanto avevano compreso che il vecchio loro avversario - la Persia - sembrava essere ritornato minaccioso. Malgrado la pace di Pallia del 470 - dove Atene e Persia si erano date un accordo di non aggressione in caso di guerra contro terze potenze analogo al Patto Ribbentrop-Molotov del maggio del 1939 - l'attività diplomatica e di intelligence dei Ministri dell'imperatore Dario - Farnabazo e Tissaferne - sosteneva alternativamente Sparta ed Atene di volta in volta; aveva incrinato la pace del 470, come avvenne per l'Italia del 1915 che per quasi un anno si era prima dichiarata neutrale per la Triplice Alleanza allo scoppio della Grande Guerra nel 1914 e poi fece la scelta improvvisa a favore della Triplice Intesa col patto di Londra nell'aprile del 1915. Durante la guerra del Peloponneso nelle sue varie declinazioni (459-404) si assistette al balletto delle alleanze e delle guerre a corrente alternata della Persia di Dario, Ciro e Artaserse contro ora Sparta, ora Atene. Quando ormai la pace di Callia divenne uno Chiffon de Papier - un pezzo di carta straccia secondo il cancelliere tedesco von Bethmann-Hollweg che la usò il 14.8.1914 nel suo colloquio con l'ambasciatore britannico, in merito ai trattati di garanzia della neutralità col Belgio, violati dalla Germania aggredendo quel Paese - nella Primavera del 397, Sparta, di nuovo a guida di Lisandro, comprese che l'ultimo cambio di fronte dei Persiani sarebbe stato esiziale, perché ancora in guerra con Atene. E dunque si scelse la classica spedizione a domicilio nel paese estero più infido, come fu per Siracusa e la Sicilia ai tempi di Nicia ed Alcibiade.
Stavolta andò bene a Lisandro sul suolo anatolico a Sardi (336), benché la seconda armata subisse una sconfitta a Cnido (394). In verità, un braccio destro di Lisandro era passato al nemico adescato dal Satrapo Farnabazo, un magnate persiano che aveva già tradito Alciabiade e che in nulla differisce dal Presidente Assad nelle vicende della Siria di oggi, sconvolta in una guerra civile molto sanguinosa. Tornando alla guerra con Artaserse, questa si continuò su suolo greco fra Sparta e Corinto, alleata della Persia insieme ad Atene, fra il 395 ed il 386. Anni di guerra inconcludenti che spensero le speranze di rinascita politica autonoma di Atene e che portarono per stanchezza alla Pace di Antalcida, dal nome del plenipotenziario spartano che nel 386 finalmente chiuse quella disgraziata contesa. Sebbene il suolo greco rimanesse integro, Artaserse ottenne per la Persia tutte le città greche dell'Asia Minore. Anzi tale accordo vide di fatto la sottomissione politica di tutta la Grecia al monarca persiano. Salamina era stata vendicata. Ma Chios, città della Calcidia greca, meditava vendetta come la Francia dopo Sedan. Qui, nella piccola città di Olinto, si era formata una piccola lega di borghi calcidici decisi ad aggredire la confinante Macedonia, scossa da disordini di successione nella casa dinastica. Da buon poliziotto di frontiera, Sparta intervenne sulla predetta città e sciolse quella Lega (379). In quella campagna militare, emerse il consueto generale, ora spartano, tale Febida, che d'accordo con Tebe - prosperosa città agraria della Beozia tra il golfo di Corinto e lo stretto di Eubea a nord dell'Attica - occupò Olinto e l'aggregò al territorio di Sparta sotto il beneplacito del Re spartano Agesilao (operazione simile a quella pensata da Putin nel febbraio del 2022 per l'Ucraina, poi fallita ma causale dell'attuale guerra). Un'operazione di esercizio di influenza che fu la sveglia per la rivolta delle città greche della Beozia, la cui città principale, Tebe durante la guerra del Peloponneso aveva tifato e collaborato con Sparta. Però Sparta non fu riconoscente: la pace di Antalcida la considerò né più né meno come Atene, una semplice città satellite soggetta, al governatore di Sparta.
Un esule democratico, Pelopida ed un altro generale di belle speranze, Epaminonda - come Bonaparte nell'età del Direttorio - ordirono a Tebe un colpo di stato (379) e cacciarono il presidio spartano. Quindi ripristinarono una costituzione democratica, dove tutti i nuovi governanti erano esuli formatosi nella nuova repubblica ateniese di Teramene. Sfodria, re di Sparta, scatenò la sua rabbia allora su Atene e tentò di entrare nella sacra Acropoli di Pericle. Respinto l'assalto spartano, Atene e Tebe tornarono all'unità antispartana e formarono la seconda lega marittima rispolverando la lega di Pericle (378). Risparmio al lettore le vicende della seconda lega, invitandolo all'opera di Arnaldo Momigliano nella nota bibliografica citata in conclusione. Fatto fu che nelle solite alleanze che si formavano e si disfacevano, con l'accordo più o meno occulto dei Persiani e la vigile attesa di un intervento del regno Macedone, il re spartano Cleombroto attaccò la Beozia a Leuttra l'esercito tebano di Pelopida ed Epaminonda (371) e ne fu a sorpresa sconfitto, forse adottando tecniche persiane - il c.d . ordine di opliti schierati in modo irregolare - che pesarono sul numero dei morti della coorte spartiata, la c.d. vecchia guardia di 400 guerrieri, mai vinti in uno scontro frontale fin dai tempi delle Termopili. Fu uno scontro epocale che generò rivolte a catena nella Lega Peloponnesiaca: Argo e Messene cacciarono gli antichi alleati spartani e la città stessa venne occupata. Un po' come Berlino nel 1945.
Come Atene a sud, anche Sparta a Nord aveva perso la recente egemonia sulla Grecia. Il vecchio proverbio fra i due litiganti è il terzo a godere, sembrò essere la nuova regola della geopolitica del quarto secolo. Gli Staterelli del sud, da Corinto ad Atene, dall'Istmo a Samo, tremarono. E addirittura Sparta tornò ad essere amica di Atene, firmando un altro patto di alleanza (369). Proprio ad Atene nel 373 troviamo uno degli ultimi generali che tentò di riaprire la pratica di Atene in senso imperiale, Timoteo, figlio di Conone. Timoteo era stato il braccio destro di Alcibiade nel 410 a. c., e nel 373, al comando di una nuova flotta, non solo occupò Corfù, ma raccolse nell'Egeo nuovi uomini da mettere in campo contro Tebe e Sparta. I nemici oligarchi filospartani o filotebani temevano il solito colpo di Stato e lo misero sotto accusa. Senofonte ne descriva le peripezie giudiziarie: mentre Atene, Sparta e Tebe si incontravano per rimettersi in pace (371); i Greci del nord - Epiroti e Macedoni - lo presero sotto custodia perché la sua fama di uomo onesto e di assoluto servitore dello Stato lo favoriva alla corsa alla dittatura. Timoteo espatriò quindi in Persia, dove da mercenario di Artaserse II combatté contro i Satrapi ribelli del sud. Durante le sue campagne d'Asia, Timoteo occupò buona parte delle città greche della odierna Turchia (per es. Samo, Potidea, Pidna) e perfino parte della Tracia. Ricco dei bottini e da alleato di Bisanzio, mirava ad Atene, anticipando la figura moderna del capitano di ventura, per esempio Cromwell e Wallenstein. La sua piccola guerra personale contro Tebe per riconquistare Atene durò fino al 357 e Cornelio Nepote ci racconta che Timoteo morì nel 354 nella Calcide (Grecia centrale) senza potere rivedere la patria che lo ringraziò per il suo tentativo di riscossa con semplici cerimonie nell'Acropoli e all'Agorà.
Il grande storico tedesco Adolf Holm (1830-1900), al 3° volume della sua Storia greca (1889), lo ricorderà a proposito della biografia di Isocrate che ne aveva magnificato la perizia diplomatica e militare, ma che non ebbe fortuna, come fu per De Gaulle quando la Germania invase la Francia nel 1940. Durante la guerra del Peloponneso si è visto che, una città a Nord dell'Attica, Tebe, da tempo ribelle alla lega, approfittando della vicenda di quella guerra, nel 431 aggredì Platea, storica alleata di Atene. Poi nel 421 non aderì alla pace di Nicia e nel 404 si alleò con Corinto per distruggere Atene stessa. Peraltro, fra il 395 ed il 386, la politica tebana, da un iniziale filospartanismo, passò con Atene e con la Persia contro Sparta nella fase Corinzia della guerra del Peloponneso. Un ondeggiamento che crebbe nel 378, quando il presidio spartano in Cadmea fu cancellato da una spedizione congiunta tebano ateniese. Gli spartani reagirono e a Leuttra (371) e come si disse inaspettatamente furono sconfitti proprio dai Tebani, peraltro ormai retti dai democratici in rotta di collisione con Atene. Epaminonda e Pelopida - una coppia geniale di militare e politico in originale simbiosi - divennero dittatori di Tebe fra il 371 ed il 362, adottarono una politica estera espansiva sia verso la Tessaglia macedone, sia verso la laconia spartana, dove convulsioni interne erano scoppiate per l'alto numero di ex schiavi che si erano sistemati in città, emulando l'urbanesimo della vicina Messene retta da un regime meno militarista e più pacifista votato al commercio con l'Asia Minore e con l'Egitto di Tolomeo. Mentre a Sparta risorgeva un movimento oligarchico e nazionalista guerrafondaio; malgrado Dionigi il Vecchio tiranno di Siracusa convocasse a Delfi un Congresso di pace per evitare una nuova guerra del Peloponneso (368); tuttavia, i due tiranni di Tebe non solo occuparono il porto di Sicione - strategico militarmente perché bloccava l'uscita della flotta spartana - non solo abbandonarono il Congresso di Delfi, come fece Hitler nel 1934 che uscì dalla Lega delle Nazioni; ma anche rivolsero la loro attenzione alla Tessaglia, ora in mano ad Alessandro di Fere, alleato proprio di Sparta.
In realtà, tutta l'Arcadia chiedeva a Sparta una maggiore autonomia, come pure Argo e Megalopoli, rappresentavano, una spina nel fianco nell'effimera egemonia di Tebe, perché gli ex schiavi liberatosi e concentratosi colà, rappresentavano un rischio di guerra civile che gli oligarchi di Tebe e Sparta, da Atene a Siracusa, costituivano in Grecia una nuova classe dirigente che non intendeva condividere il Potere con loro. Rischio che la Roma di Pompeo e Cesare correrà analogamente nel famoso caso di Spartaco nel 71 a. c. Sia come sia, il partito democratico di Tebe, sicuramente legato alla classe popolare di Messene e Megalopoli e legato ad Atene ormai in mano alla classe mercantile, accusò i due dittatori di tirannia per essere stati per un decennio al Governo. La loro assoluzione li spinse ancora in Macedonia, spaccata dalla lotta di successione del Re Aminta da parte dei suoi tre figli, fra cui il giovane Filippo. Fra il 369 ed il 367, Epaminonda e Pelopida occuparono la capitale della Macedonia Larissa e presero in ostaggio proprio Filippo, il probabile successore, conseguendo una fragile alleanza. Alessandro di Fere peraltro catturò in un agguato Pelopida e solo la perizia di Epaminonda lo salvò da morte (367). Ora i destini fra i due dioscuri di Tebe sembrarono dividersi: Pelopida raggiunse la Persia di Artaserse II per ottenere un alleato di peso contro Messene, Argo, Atene e Sparta che stavano rialzando la testa. Il persiano, infido come la tradizione insegnava, gli promise aiuto per riavere Messene e la guida della Grecia. Epaminonda intanto affrontò le predette città a Mantinea e sul punto di vincere, lo scontro si concluse senza una effettiva vittoria anche perché costui cadde in battaglia (362).
Nondimeno Pelopida, di ritorno della Persia con un accordo presto non rispettato dal Persiano, attaccò Alessandro di Fere e a Cinocefele ottenne un buon risultato, anche se anche egli perse la vita (364). La fine dell'egemonia tebana fu quasi parallela alla morte dei due tiranni. Del resto la ormai conclamata dispersione autonomistica, con le effimere egemonie di Sparta e Tebe lungo la prima metà del IV secolo a.c., trovò conferma negli esiti della guerra classica sacra per il controllo della lega delfica (355-346), quando Tebe chiese a Filippo II di Macedonia di intervenire al suo fianco contro i Focesi e che poi fu alleata di Atene per contrastare la stessa Macedonia, troppo invadente nel Peloponneso e nell'Attica. A Cheronea (338) i macedoni batterono l'ultima lega greca e la sottomissione della Grecia al regno del Nord di Filippo e poi di Alessandro Magno fu realtà. E' singolare che la stessa località della Tessaglia - Cinocefale, cioè testa di cane per la forma delle colline che la circonda - sia ricordata per due battaglie che segnarono di fatto la fine della Grecia classica. Infatti la mancata vittoria e la morte di Pelopida (346 a.c.) sull'Alessandro di Fere, tiranno tipico dell'epoca; nonché la netta vittoria di Tito Quinzio Flaminio, console romano, su Filippo V di Macedonia (197 a.c.) ridussero la Grecia a mera provincia Romana, lasciando però intatto la potenza culturale ellenistica che invaderà la Roma Repubblicana, prodromo essenziale per il futuro Impero.

Giuseppe Moscatt
 
 
Nota bibliografica:
- Per l'ultima fase della guerra del Peloponneso, vd. ARNALDO MOMIGLIANO, Storia e storiografia antica, Il Mulino, 1987; nonché LUCIANO CANFORA, Cleofonte deve morire, Laterza, 2018.
- Sugli anni di egemonia spartana, la guerra di Corinto e la Pace di Antalcida, vd. GAETANO DE SANCTIS, Storia dei Greci, vol. II, Firenze, 1939 e EVA CANTARELLA, Sparta e Atene, Einaudi, 2021.
Sulla figura in generale, vd. GIOVANNI REALE, Socrate alla scoperta della sapienza umana, Rizzoli, 2000.
Sulla supremazie tebana, cfr, CINZIA BEARZOT, Manuale di storia greca, Il Mulino, cap. IV, 2011.
Sulla figura di Epaminonda, cfr. MARTIN DREHER, La Sicilia antica, Il Mulino, 2008.

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