La filosofia
La filosofia non rimane estranea al riconoscimento dell'eroe avido di gloria: Platone nel V libro della Repubblica , che presenta il codice della guerra, prescrive premi onorifici per i prodi in guerra :"divkaion tima'n tw'n nevwn o{soi ajgaqoiv" (468d), è giusto onorare tra i giovani quanti sono valenti. Viene fatto l'esempio di Aiace che nell'Iliade (VII, 321) riceve in dono intere terga di bue. Omero, che altrove è confutato dal filosofo ateniese, nel campo militare costituisce comunque la massima autorità.
Nel Simposio, Platone fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti infatti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale fama gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'""). Gli eroi con la vita e con la morte devono essere esemplari. Aristofane nelle Rane, poi Nietzsche nel saggio La nascita della tragedia accusani Euripide di avere reso peggiore lo spettatore dei suoi dammi degradando l’eroe.
Ma è una critica in buona parte sbagliata. Il coro dell'Alcesti di Euripide, il cosiddetto filosofo della scena, elogia l'eroina morente con queste parole:" i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"(vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa",v. 290), poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292). Certamente nelle tragedie di questo drammaturgo il graeculus meschino non manca però sussistono gli eroi e pure le eroine come Ifigenia, Polissena, e pure Medea non è una donnicciola.
Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele "quale emanazione d'un amor di sé elettissimo, la filautiva". L'espressione si trova nell'Etica Nicomachea che séguita con questo brano:"Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti"[1]. L'autore di Paideia conclude così:" In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo"[2].
L’esempio della letteratura sulla letteratura (e sulla vita))
Sentiamo Citati su Leopardi e l’eroismo. Secondo il Recanatese l’eroe è più umano e più poetico se mostra momenti di debolezza e di irrazionalità. Achille gli piace più di Enea e Omero più di Virgilio.
“Leopardi aveva un esempio famoso. Quando conosce la morte di Patroclo, Achille si imbratta il capo di polvere e cenere, giace in mezzo alla cenere, con le mani si strappa i capelli, non si lava, non mangia,non dorme, continua a piangere l’amico sulla riva del mare, come se compiangesse se stesso e la propria morte”[3].
Traduco qualche verso di Omero: “con entrambe le mani presa la cenere bruna-se la versava giù dalla testa, e deturpava il bel volto;-sulla tunica profumata di nettare si sparse la nera cenere.-e lui nella polvere, grande, per ampio tratto disteso,-giaceva, e con le sue mani deturpava i capelli, strappandoli” (Iliade, XVIII, 23-27).
Torno a Citati[4]: “Quest’esempio sublime non abbandonò mai la mente di Leopardi: lo paragonava ad altri gesti antichi: lo ritrovava in Archiloco, Aristofane, Euripide, Curzio Rufo: riemergeva nelle sue lettere; e infine, quando ogni effetto della dolce e chiara luce lunare si era spento, riaffiorava nel cuore della Sera del dì di festa (vv. 21-23)
“Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo”.
Leopardi dunque imita i gesti disperati del Pelide.
L’eroismo del contadino
Del resto l'eroismo può essere individuato anche in gare non propriamente epiche né olimpiche: per esempio nella lotta tenace che conduce il contadino di Esiodo con una terra avara per strapparle i frutti estremi, o anche negli agricoltori poveri e scorbutici tipo il Duvskolo" di Menadro:"tw'n dunamevnwn ta;" pevtra" -ejnqavde gewrgei'n"(vv. 3-4), uno di quelli capaci di coltivare le pietre in questa zona.
Cnemone del resto è uno stravagante nella sua misantropia-uomo disumano assai "uomo disumano assai, (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")
intrattabile (duvskolo" appunto) con tutti, che non sta bene con la gente"(vv. 6-7). Così lo definisce nel prologo il dio Pan.
Cnemone non si vergogna della propria diversità, ma la rivendica:
"Belve assassine! Bussano qui senza complimenti
come da un amico! Se prendo uno di voi che
si avvicina alla mia porta,
e non ne faccio un esempio per tutti,
pensate di vedere in me uno dei tanti (nomivzeq j e{na tina; oJra'n me tw'n pollw'n)."(481-485). Questo però secondo Menandro è uno dei peccati di Cnemone: volere essere uno straordinario. E' u{bri". Nel prologo della Samìa il protagonista giovane, Moschione, si presenta come uno dei tanti ("tw'n pollw'n ti" w[n" v. 11).
Il Duvskolo~ del resto alla fine del dramma comprenderà che l’autarchia assoluta non è possibile.
L’eroe perdente
Né manca l'eroe perdente, anzi, forse anzi il più bello: Ettore che sente l'amor patrio e dice:"ei|" oijwno;" a[risto" ajmuvnesqai peri; pavtrh""[5] , uno è l'auspicio ottimo: difendere la patria, destinata comunque a cadere dopo la morte del suo migliore, unico vero difensore.
Il massimo eroe troiano risponde all’indovino Polidamante che lo ha avvertito di un brutto segno dato da due uccelli e gli ha dato il consiglio di ritirarsi. Un segno di laicismo non trarre auspici dagli aves.
L’eroe tragico sportivo
Per giunta l'eroismo, soprattutto quando siamo bambini, possiamo individuarlo anche in campioni dello sport. Nei primi anni Cinquanta[6] vedevo l’eroe della bicicletta in Fausto Coppi vicino al tramonto del resto: identificavo "il campionissimo" con Ettore, per il quale, pure, tenevo. Ho trovato di recente questo paragone in un libro :" diceva Paolo Volponi:" Io sentivo Bartali come un uomo quieto, appagato di un certo tipo di società, di società minore. Insomma me lo figuravo come un democristianone. Coppi, invece, lo vivevo come uno dell'opposizione, uno che sfidava le circostanze, la realtà, i suoi stessi limiti fisici. Aveva cuore e polmoni prodigiosi, ma era anche un pò rachitico. Non aveva l'aria di uno nato per vincere. Ero coppiano perché mi sembrava uno non immediatamente vincitore, uno non sicuro di sé, non creato per trionfare, ma che trionfava con un grande alone di passione, di fatica. Vinceva clamorosamente smentendo anche se stesso, con un impegno molto duro sul piano psicologico. Io tenevo per Coppi come, da ginnasiale, tenevo per Ettore contro Achille. Tenevano per Ettore, forse, quelli meno felici, meno sicuri di sé, meno integrati. Ettore era l'eroe che doveva soccombere, umano, dotato di grandi qualità, di grande passione. Doveva soccombere perché non aveva l'aiuto degli dei. Era l'uomo in lotta contro il destino. Ecco: Coppi era Ettore. Aveva quella faccia da uomo dolente, da uomo vero, da uomo di fatica. Anch'egli in lotta contro il destino"[7].
Bologna 4 gennaio 2024 ore 20, 12
giovanni ghiselli
p. s.
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[1]IX, 8, 1169 a 18 sgg.
[2]Paideia , I vol., pp. 46 e 47.
[3] P. Citati, Leopardi, p. 38
[4] Op. cit., pp. 38-39.
[5]Iliade , XII, 243. In risposta a Polidamante
[6]"E qualcuno ora è vecchio-e ti parla-...". C. Pavese: Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti
[7]Orio e Guido Vergani, Caro Coppi , p. 78.
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