Il diritto del più forte.
Alessandro rispose a Dario: "leges autem a victoribus dici, accĭpi a victis" (IV, 5, 7).
Altrettano fanno gli Ateniesi di Tucidide dialogando con i Meli: affermano il principio che il diritto, nel pensiero umano, si giudica partendo da una pari necessità ("divkaia me;n ejn tw'/ ajnqrwpeivw/ lovgw/ ajpo; th'" i[sh" ajnavgkh" krivnetai"), se no i più forti fanno secondo il loro potere e i deboli cedono (" dunata; de; oiJ prouvconte" pravssousi kai; oiJ ajsqenei'" xugcwrou'sin", V, 89).
Nietzsche ribadisce questo concetto con altre parole:"Laddove domina il diritto, è mantenuto in piedi un certo stato e grado di potenza, e sono impediti una diminuzione e un accrescimento. Il diritto di altri è la concessione che il nostro sentimento di potenza fa al sentimento di potenza di questi altri. Se il nostro potere si mostra profondamente scosso e infranto, cessano i nostri diritti: al contrario, se noi siamo divenuti molto più potenti, cessano i diritti degli altri nei nostri riguardi, come glieli avevamo riconosciuti fino a questo momento".[1]
Nel primo libro della Repubblica di Platone il sofista Trasimaco, un altro rappresentante della filosofia di potenza, sostiene che la giustizia coincide con la convenienza di chi comanda. Egli, raggomitolatosi come una fiera, si dirige contro Socrate come se volesse sbranarlo (336b). Quindi afferma che il giusto non è altro che l'utile di chi è più forte:"fhmi; ga;r ejgw; ei\nai to; divkaion oujk a[llo ti h] to; tou' kreivttono" suvmferon" (338c).
Arriano
Poi c’è Gaza (estate/autunno 332), l’ultima città prima dell’Egitto, all’inizio del deserto (2, 26, 1). Era su un colle inaccessibile del quale Alessandro riteneva che dovesse essere preso quanto più inaccessibile era: aiJretevon ejdovkei ei\nai o{sw/ ajporwvteron (2, 26, 3), Infatti l’azione, tw`/ paralovgw/ con il suo essere inaspettata, avrebbe atterrito i nemici, mentre il non prenderla sarebbe stato vergognoso per lui.
Il paràlogo dunque può essere impiegato e reso funzionale al successo da un lovgo~ più alto di quello comune. L’eroe non è ortodosso, è imprevedibile in quanto sovverte i luoghi comuni, come fa il genio.
Il paravlogon talora è un lovgo" originale e preveggente, più lungimirante del lovgo~ comune che spesso è un calcolo sbagliato.
A proposito del paralogo l’irrazionale è un errore di calcolo non un capriccio del caso.
Il Pericle di Tucidide chiede ai suoi concittadini che non si ceda agli Spartani (mh; ei[kein Peloponnhsivoi", I, 140, 1) proponendo l'atteggiamento eroico di Achille cedere nescius [2], e pure motivandolo con ragioni pratiche e razionali. L'irrazionalità infatti esiste, tanto negli esiti delle azioni quanto nel pensiero degli uomini, e noi siamo soliti accusare la fortuna per quello accade contro il ragionato calcolo (para; lovgon, I, 140, 1). In questo caso il lovgo~ è stato insufficiente. A. Maddalena ne inferisce che Pericle " mentre afferma l'esistenza del paralogo nella storia, mostra di giudicare superabile la cattiva fortuna quando l'animo sia costante, e dunque mostra di giudicare la razionalità preminente sulla fortuna"[3]. Vera irrazionalità sarebbe il cedimento, infatti: “se cederete alle loro richieste, vi sarà ordinato qualche cosa di ancora più grande”(140, 5).
Altro prodigio: un rapace fece cadere un sasso in testa ad Al mentre sacrificava. Aristandro disse: prenderai la città di Gaza, aujtw`/ dev soi fulakteva ejstivn (2, 26, 4) ma oggi devi badare a te stesso. Quando poi venne ferito a una spalla da un proiettile di catapulta, ejcavrh (27, 2) ne fu contento, poiché così la profezia si avverava.
E’ la logica dell’occīdat dum imperet. Agrippina, avvisata dai Caldei, aveva presofferto la sua fine:"Nam consulenti super Nerone responderunt Chaldaei fore ut imperaret matremque occideret; atque illa "occīdat" inquit, "dum imperet " (Tacito, Annales, XIV, 9), infatti a lei che li consultava su Nerone, i Caldei risposero che sarebbe divenuto imperatore e avrebbe ucciso la madre, ed ella disse "la uccida, purché diventi imperatore.
Di fatto to; trau'ma ejqerapeuveto calepw`~ (2, 27, 3), la ferita veniva curata con difficoltà. I Macedoni conquistarono Gaza gareggiando tra loro e[ri~ pollh; h\n (27, 6) per vedere chi avrebbe preso per primo il muro. Tiro e Gaza vennero ripopolate con i perieci del luogo che rimasero sotto la supervisione di una guarnigione macedone.
Polibio elogia la città di Gaza per questa resistenza ad Alessandro. Essi sono superiori agli altri abitanti della Celesiria per la compattezza nell’agire e nel mantenere la parola data (ejn koinwniva/ pragmavtwn kai; tw/' threi'n th;n pivstin, 16, 22a). Dopo la distruzione di Tiro furono i soli in tutta la Siria a resistere ad Al. e a mettere alla prova tutte le loro speranze
Curzio Rufo.
Quindi A. va verso Gaza estate 332. I Greci ai giochi istmici di Corinto decretarono una corona d’oro per Alessandro autorizzato dalle vittorie. Dario si prepara a combattere in Babilonia e raccoglie le truppe orientali. Convoca Besso, governatore della Battriana, del quale però non si fidava.
Eppure in genere era ammirevole la fedeltà dei Persiani: Al. non riusciva a scoprire da quale parte si dirigeva Dario “more quodam Persarum arcana regum mirā celantium fide (IV, 6, 5) per un costume dei Persiani che nascondevano i segreti dei re con straordinaria lealtà.
Infatti un’antica legge della monarchia aveva consacrato il silenzio con il rischio della vita: vetus disciplina regum-silentium- vitae periculo- sanxerat 4, 6, 6.
Beti difendeva Gaza. Alessandro ebbe un presagio di ferita da un corvus (11) che gli fece cadere una zolla in testa poi l’uccello rimase impegolato. Et erat non intactae a superstitione mentis (4, 6, 12).
Aristandro cui maxima fides habebatur , nel quale era riposta la massima fiducia, pronosticò la vittoria e una ferita. Quel giorno dunque si mise la corazza “lorīcam tamen, quam raro induebat, amicis orantibus sumpsit” 4, 6, 14.
Inevitabile fatum.
Ma venne ferito ugualmente : “ut opinor, inevitabile est fatum” 4, 6, 17
Il fatum è inevitabile perché è la conseguenza di una serie di cause, miliardi di cause dall’inizio dei tempi.
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Tacito, a proposito delle minacce del cielo che preannunciarono la morte a Galba (69 d. C.), senza che egli potesse evitarla, scriverà " quae fato manent , quamvis significata, non vitantur " (Historiae , I, 18) ciò che spetta al destino, sebbene rivelato non si evita.
Al. si batté come un leone. Poi se la prese con Betis il difensore eroico di Gaza. Eppure altre volte era stato ammiratore della virtù anche in un nemico alias virtutis etiam in hoste mirator (4, 6, 26). Ma già allora con il subentrare dell’inaudita fortuna, l’ira si mutava in rabbia e alterava i suoi costumi: “Ira deīnde vertit in rabiem iam tum peregrinos ritos nova subeunte fortuna” (4, 6, 29) . Fece patire a Betis vivo il trattamento riservato dal suo avo Achille al cadavere di Ettore.
Nel film Alexander Aristotele biasima Achille che mancava di senso della misura ed era profondamente egoista: l’eccesso in ogni cosa è la rovina dell’uomo.
Libro III. Arriano
Quindi Al. arriva a Pelusio in Egitto (332). Poi Eliopoli e Menfi senza trovare resistenza. A Menfi sacrificò agli altri dèi e ad Api[4] differenziandosi dal grande re matto Cambise[5] e organizzò una gara.
“Sottomettere non gli bastava. I popoli dovevano riconoscere ch’egli veniva a casa loro con uno scopo di liberazione e di edificazione, che ne avrebbe rispettato la fede, i costumi, le usanze (…) Il rispetto che manifestò ai sacerdoti egiziani gli attirò facilmente la simpatia di tale casta, ch’era stata crudelmente oppressa dall’intolleranza asiatica. Alessandro, impadronendosi dell’Egitto, aveva completato la conquista delle coste mediterranee poste sotto il dominio dei Persiani. La più audace idea politica di Pericle-liberare l’Egitto per consolidare la potenza navale e commerciale di Atene-non era soltanto attuata, ma largamente superata”[6].
Giunto a Canòpo il sito gli sembrò bellissimo per fondare una città e[doxen aujtw'/ oJ cw'ro" kallisto" ktivsai ejn aujtw'/ povlin, la futura Alessandria. Egli stesso indicò dove fondare l’ajgorav e i templi degli dèi, dèi greci ma anche Iside (3, 1, 5). Politica e religione con tolleranza. Non avendo altro con cui segnare i tracciati, lo fecero con la farina della truppa e Aristandro disse che la città sarebbe stata prospera soprattutto ejk gh`~ karpw`n ei[neka (3, 2, 2).
“Allora da tutti i lati dell’orizzonte giunsero innumerevoli uccelli per mangiare la farina: ciò che l’indovino di Alessandro interpretò come presagio della futura prosperità della città[7].
I desideri del re vennero presto esauditi: la popolazione crebbe con sorprendente rapidità, il commercio collegò il mondo occidentale con le Indie nuovamente aperte. Alessandria diventò, durante i secoli successivi, il centro della vita ellenica, il più durevole monumento del suo illustre fondatore”[8].
Chio e Tenedo passarono dalla sua parte.
Quindi (inverno 332-331) volle andare da Ammone in Libia per interrogare il dio ed emulare Perseo che ci andò, quando, costretto da Polidette innamorato di Danae, dovette lottare con la Gorgone, e per emulare Eracle che aveva consultato l’oracolo quando andò in Libia contro Anteo e in Egitto contro Busiride, 3, 3, 1.
Ci vuole molta delicatezza d’animo per essere Perseo.
La prima delle Lezioni americane[9] di Calvino si intitola Leggerezza e segnala un atto di delicatezza da parte di Perseo nelle Metamorfosi di Ovidio: il figlio di Danae, dopo avere ucciso la Gorgone anguicrinita, ne appoggia la testa al suolo ma, usandole un premuroso riguardo, ammorbidisce la terra con foglie e stende verghe nate nel mare:"anguiferumque caput dura ne laedat harena " (IV, 741), perché la sabbia scabra non sciupi il capo che porta serpenti. "Qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri…Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l'eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell'essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile e fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla Medusa"[10].
Insomma la Gorgone svanisce nel nulla ma come canta Ariele in La tempesta di Shakespeare :"Of his bones are coral-corallum, koravllion- made;/Those are pearls that were his eyes-oculus o[sse-:/Nothing of him that doth fade-vapidus, svanito-,/But doth suffer-suffĕro, subisco- a sea-change-cambio., as-/Into something rich-rex- and strange –extraneum-" (The Tempest , I, 2), delle sue ossa si sono formati coralli, sono perle quelli che furono I suoi occhi, nulla in lui svanisce ma subisce un cambiamento marino in qualche cosa di ricco e strano.
C'è grande bisogno di delicatezza: "e[gw de; fivlhmm' ajbrosuvnan"[11], io amo la delicatezza.
Pur volendo confrontarsi con Perseo, non sempre Al. ebbe tanta delicatezza.
Al. provava filotimiva (3, 3, 2), rivalità con gli eroi che risalivano a Zeus. Voleva sapere se anche lui discendeva da Ammone/Zeus, o per lo meno voleva dire di saperlo. Arriano non sa se A. ci credesse davvero. Ci furono segni: cadde acqua dal cielo e, secondo Tolomeo, due serpenti guidarono la marcia lanciando dei suoni, Aristobulo invece afferma che furono due corvi a guidare l’esercito.
Arriano dice di poter affermare con forza “e[cw ijscurivsasqai” che qualche cosa di divino qei'ovn ti lo assisté (xunepevlaben aujtw`/) in quanto è verosimile eijkov" (3, 3, 6).
Sono le interpretazioni diverse a togliere certezza.
L’acqua dell’oasi cambia la temperatura dal giorno alla notte. Alessandro disse di avere sentito dal dio quello che gli stava a cuore (3, 4, 5). Arriano è meno critico di Curzio Rufo riguardo a questa autoapoteosi.
Al. poi divise tra molti il governo dell’Egitto poiché aveva ammirato la natura della regione, kai; th;n ojcurovthta (3, 5, 7) e la posizione forte. I Romani impararono, e non assegnarono l’Egitto a un governatore tratto dal senato ajpo; boulh`~ ma a uno dei cavalieri.
E’ uno dei pochi accenni di Arriano ai Romani.
Curzio Rufo IV 7. Gli Egiziani aspettano A. come un liberatore. I Persiani si arresero. Alessandro si dirige al santuario di Giove Ammone perché si credeva, o voleva farsi credere, figlio del dio. L’immagine del dio è umbilico maxime similis 4, 7, 23, tenuto insieme da gemme e smeraldi. L’oracolo di Ammone viene assimilato a quello di Delfi.
Cfr. i vv.897-902 del secondo stasimo dell’ Edipo re :"Non andrò più all'intangibile/ ombelico della terra (oujkevti to;n a[qikton ei\-mi ga'" ejp j ojmfalo;n sevbwn) a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a Olimpia, /se queste parole indicate a dito/ non andranno bene a tutti i mortali".
In Tito Livio, Tito Manlio Torquato Imperioso (IV secolo) chiama Delfi “commune humani generis oraculum, umbilicum orbis terrarum” (38, 48, 2).
Quando si va a chiedere un responso, i sacerdoti lo portano su una navicella d’oro. Questi santi uomini lo assecondarono e adularono Alessandro. I responsi erano falsi, ma la buona fortuna spinge gli uomini a credere solo in se stessi e ad essere più avidi che capaci di gloria (Curzio, 4, 7, 29).
Al. con questa mossa guastò la sua gloria e disgustò i Macedoni.
Plutarco sostiene che il profeta il quale non conosceva bene il greco gli disse w\ pai-diov~ credendo di dire w\ paidivon, ajnti; tou' nu' tw'/ sivgma crhsavmenon (Vita, 27, 9) e Al. ne fu ben lieto.
Qui Curzio Rufo assume un atteggiamento da razionalista che non ha quando crede nella inevitabilità del fato.
Tornando indietro, Al fondò Alessandria (4, 8, 2), aprile 331. Così anche Diodoro (XVII, 52) e Giustino XI, 11, 13.
Secondo Plutarco e Arriano invece Alessandria fu fondata prima della consultazione dell’oracolo.
Arriano. Ad Arpalo, che aveva già dato segni di infedeltà dopo Isso, Al affidò di nuovo crhmavtwn th;n fulakhvn (3, 6, 4), la custodia del tesoro[12].
Arpalo aveva un fisico ej~ ta polevmia ajcrei`on (6) inutilizzabile per la guerra, e alla carica di tesoriere lo raccomandava il fatto che, come Tolomeo e Nearco, era stato esiliato da Filippo poiché era pistov~ ad Alessandro che non andava d’accordo con il proprio padre.
“o{ti u{popta[13] h\n jAlexavndrw/ ej~ Fivlippon, ejpeidh; Eujrudivkhn gunai`ka hjgavgeto Fivlippo~ , jOlumpiavda de; th;n jAlexavndrou mhtevra hjtivmase” (3, 6, 6), poiché Alessandro aveva dei sospetti verso Filippo, da quando Filippo aveva sposato Euridice[14], e aveva sdegnato Olimpiade madre di Al.
Olimpiade è un poco come la Medea di Euripide:“E Medea l'infelice donna oltraggiata (hjtimasmevnh) /rinfaccia con grida i giuramenti, reclama il sommo impegno/della mano destra, e chiama gli dèi a testimoni/ di quale contraccambio ella riceva da Giasone. (Medea, vv. 20- 23).
Queste donne sono come Achille, il modello di Al. Senza onore non si può vivere.
Plutarco nella Vita di Alessandro (10, 5) racconta che Olimpiade fu accusata di avere sobillato e aizzato Pausania a uccidere Filippo che si era innamorato di Cleopatra, una ragazza che il re intendeva sposare. Pausania, un giovane nobile macedone era stato oltraggiato da Attalo e dalla stessa fidanzata di Filippo senza ottenere giustizia. Una qualche accusa toccò anche ad Al. il quale avendo incontrato Pausania dopo che quello aveva subito l’oltraggio, e vedendo che si lamentava, gli disse citando di Euripide: “to;n dovnta kai; ghvmanta kai; gamoumevnhn”.
Creonte, il re di Corinto, dice a Medea: “Poi sento dire che tu minacci, a quanto mi riferiscono,/di fare qualcosa di male a chi ha dato la sposa, a chi l'ha presa in sposa/e alla sposata (Euripide, Medea, vv. 287-289).
Nel caso di Alessandro chi ha dato la nuova sposa a Filippo era Attalo, zio della ragazza, chi l’ha presa in sposa è Filippo, e la sposata Cleopatra –Euridice.
Alessandro Magno citò questo verso per spingere Pausania a uccidere Filippo. Olimpiade l’aveva aizzato e sobillato apertamente.
Comunque, dopo l’assassinio del padre, Alessandro fece ricercare i complici del complotto e li punì, e anzi si irritò con Olimpiade poiché aveva maltrattato Cleopatra.
Pesaro primo agosto 2024 ore 11, 12 giovanni ghiselli
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[1]Aurora II, 112
[2] Cfr., Orazio Odi , I, 6, 6:"Pelidae stomachum cedere nescii ", l'ira di Achille incapace di cedere ).
[3] In Thucydidis Historiarum Liber Primus , p. 61.
[4] Diodoro racconta che il toro Api sopravvisse ad Alessandro e anzi quando l’animale morì di vecchiaia (ghvra/ ) l’uomo che se ne occupava spese tutto il molto denaro tenuto a disposizione (hJtoimasmevnhn corhgivan) per la sepoltura; inoltre ricevette da Tolemeo un prestito di cinquanta talenti d’argento (I, 84, 8). Api venne identificato dai Greci con Epafo figlio di Europa e di Zeus. Il gesto di Alessandro dunque aveva una forte carica simbolica .
[5] Cambise dopo avere conquistato l'Egitto aveva profanato la tomba del faraone Amasi straziandone il cadavere ( Erodoto, III, 16), aveva ferito a morte il vitello Api, fatto flagellare i sacerdoti e uccidere i devoti (III, 29). Poi, sempre più pazzo, fece ammazzare il fratello Smerdi (III, 30) e la sorella, la quale era pure sua sposa (III, 31). Prima di questa del resto ne aveva sposata un'altra, e l'autore ci informa che "i Persiani non usavano affatto sposare le sorelle". Incestuoso e fratricida dunque. Uccise poi, trafiggendogli il cuore con una freccia, il figlio del dignitario Pressaspe il quale, richiesto, lo aveva informato del fatto che i Persiani lo criticavano per l'amore eccessivo del vino (III, 34-35). L'episodio è ricordato pure da Seneca che nel De Ira definisce Cambise "regem nimis deditum vino "(III, 14), re troppo dedito al vino. In questo Al. non si differenziò molto da Cambise. Inoltre il re persiano aveva cercato di uccidere Creso che lo aveva ammonito di non lasciarsi trascinare dall'ira (III, 36). Infine Cambise derideva e bruciava le immagini degli dèi nei santuari (III, 37).
Quindi (III, 38) Erodoto ribadisce che solo un pazzo (mainovmenon a[ndra) mette in ridicolo siffatti valori. Ebbene, conclude Erodoto, molto matto era Cambise (" ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh""( III 38) che bruciava le immagini dei santuari e scherniva religioni e costumi.
[6] J. G. Droysen, op. cit., p. 184.
[7] Droysen (op. cit., p. 186) in nota cita il racconto di Plutarco (Vita di Alessandro, 26, 8, 11)
[8] J. G. Droysen, op. cit, pp. 185-186.
[9] Tenute nel 1985-1986 e pubblicate postume nel 1988.
[10] I. Calvino, Lezioni americane, p. 10.
[11] Fa parte di un frammento di Saffo (58 Voigt) trasmesso dal Papiro di Ossirinco 1787.
[12] Arpalo nel 324 fuggì ad Atene. Corruppe con 20 talenti Demostene che si oppose alla consegna del tesoriere infedele. Arpalo venne arrestato ma lo lasciarono fuggire. La vicenda si concluse presto. Radunati i suoi mercenari al Tenaro Arpalo si mise a fare il condottiero a Creta. Ma in ottobre fu ucciso dal suo luogotenente Tibrone. Sull’acropoli di Atene si trovarono solo 350 talenti sui 700 depositati. Demostene venne attaccato: Iperide lo chiamò l’arbitro di tutti i nostri affari.
[13] Neutro plurale da u{povpto~-on, “che dà sospetto”.
[14] Viene anche chiamata Cleopatra.
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