Pompeo Batoni, Teti richiama Achille dal Centauro Chirone |
Achille, Tetide e Chirone nell’Achilleide di Stazio
Ai genitori dei bambini pigri e obesi
Un’altra
parte della conferenza che terrò il 3 febbraio nella biblioteca Pezzoli di
Bologna dalle 17
In questo
poema Achille è figlio spirituale di Chirone
Nel secondo
poema, incompiuto, di Stazio, l’ombra come rifugio dei vili e paralisi della
virtù dell’eroe, viene rinfacciata da Ulisse a Tetide che aveva imboscato il
figlio dal re Licomede nell’isola di Sciro dopo averne fatto un travestito:
“ Nimis o suspensa nimisque/ mater! An haec tacitā
virtus torperet in umbra,/quae vix audito litui clangore refugit/et Thetin et
comites et quos suppresserat ignes? ” (Achilleide, II, 37 - 40),
troppo ansiosa e troppo madre! poteva paralizzarsi nell’ombra, in silenzio questa
virtù che appena udito uno squillo di tromba è fuggita via da Tetide e dalle
compagne e da quelle fiamme[1] che aveva represso?
Achille
stesso ricorda poi ai Greci, che si accinge a seguire verso Troia, come lo
aveva educato Chirone: “visisque docebat/adridere feris nec fracta ruentibus
undis/saxa nec ad vastae trepidare silentia silvae” (Achilleide, II,
103 - 105), mi insegnava a sorridere nel vedere le fiere e non temere le rocce
spezzate dal precipizio delle cascate né i silenzi delle immani foreste.
Il più
giusto dei Centauri[2] dunque insegnava all’allievo la
letizia e il coraggio.
Inoltre lo
induceva a essere sempre competitivo: avevo appena compiuto dodici anni,
racconta il Pelide, “volŭcris cum iam praevertere cervos/et Lapĭthas cogebat
equos praemissaque cursu/tela sequi” (II, 111 - 113), quando mi spingeva a
battere nella corsa i cervi veloci e i cavalli dei Lapiti e a inseguire
correndo le frecce lanciate prima. Dopo queste fatiche, Chirone, che
accompagnava il ragazzo finché glielo permise l’età, elogiava lieto l’allievo e
lo sollevava sulle proprie spalle: “laudabat gaudens atque in sua terga
levabat” (II, 116).
Gli
insegnava anche a non camminare pesantemente ma con leggerezza: “Saepe etiam
primo fluvii torpore iubebar/ire supra glaciemque levi non frangere planta”
(II, 117 - 118), spesso poi al primo gelarsi del fiume mi ordinava di
camminarci sopra e con passo leggero di non rompere la crosta di ghiaccio.
La caccia
doveva essere pericolosa e leale: Achille non doveva inseguire e
abbattere inbelles…damnas…aut timidas…lyncas (II, 121 - 122),
imbelli caprioli o linci paurose, ma stanare orsi inferociti e cinghiali
fulminei (tristes turbare cubilibus ursos/fulmineosque sues II,
123 - 124), o, se si dava il caso, una tigre enorme o una leonessa che aveva
appena figliato.
Poi Achille
si impratichiva nell’arte della guerra tra uomini. Non gli rimase ignoto nessun
aspetto di Marte crudele.
Chirone gli
insegnava anche a saltare enormi fossati, a correre su per le montagne veloce
come in pianura, a respingere i macigni con lo scudo, a entrare in capanne
incendiate a fermare una quadriga lanciata. Lo faceva entrare nel fiume tessalo
Sperchìo quando era in piena e trascinava tronchi e macigni: Achille doveva
respingere i flutti. Il ragazzo rimaneva in piedi con grande fatica: “ ferus
ille minari/desŭper incumbens verbisque urgere pudorem” (II, 150 - 151),
quello minacciava con durezza dall’alto e con le parole sollecitava l’orgoglio.
Anche un alto amore di gloria, oltre un così grande testimone motivava Achille
che reggeva a ogni fatica: “sic me sublimis agebat/gloria, nec duri tanto
sub teste labores” (II, 152 - 153). Il lancio del disco, o la lotta o il
pugilato, continua il giovane “ludus erat requiesque mihi” (II, 156) per
me era gioco e ristoro, e questi esercizi non lo affaticavano più che il canto
delle imprese degli antichi eroi. Inoltre Chirone insegnò al ragazzo la
medicina “sucos atque auxilantia morbis/gramina, quo nimius staret medicamine
sanguis/quid faciat somnos, quid hiantia vulnera claudat,/quae ferro cohibenda
lues, quae cederet herbis/edocuit” (II, 159 - 163), i succhi e le erbe che
curano le malattie, con quale rimedio si ferma il sangue eccessivo, che cosa si
confà al sonno, cosa chiuda le ferite spalancate, quale male si deve aggredire
col ferro, quale cede alle erbe.
Cfr. il
Chirone dell’Ifigenia in Aulide il quale
Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[3], il più giusto dei Centauri, "nodrì
Achille"[4] insegnandogli quella naturalezza e
semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione nobile. Il figlio
di Peleo nell'Ifigenia in Aulide riconosce tale alta paideia
all'uomo piissimo che l'ha allevato insegnandogli ad avere semplici i
costumi:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou
trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'"
e[cein" (vv.
926 - 927).
In tal modo
il figlio di Peleo si abituò a scartare gli usi degli uomini malvagi (v.
709).
La madre
però poi lo imboscò a Sciro presso il re Licomede. Ulisse lo scopre mettendo in
mostra delle armi e gli dice:
“o
scelus! En fluxae veniunt in pectore vestes.
Scinde puer
scinde et timide ne cede parenti (Achilleide, I, 533 - 534)
Interessante
in questo poema i versi ecologici: per costruire le navi da guerra e il legno
dei giavellotti:
“Nusquam
umbrae veteres: minor Othrys et ardua sinunt
Taygeta,
exuti viderunt aëra montes.
Iam natat
omne nemus: caeduntur robora classi
Silva minor
remis” (I, 426 -
429), non ci sono più in nessun luogo le ombre antiche, è più piccolo l’Otri e
si abbassa l’erto Taigeto, i monti spogliati vedono l’aria. Oramai galleggia
nel mare ogni bosco: si abbattono le querce per la flotta, la selva viene
diradata per fare i remi
Nel secondo
canto, incompleto, Achille ri ribella alla madre con queste parole:
“Paruimus,
genetrix, quamquam haud toleranda iuberes,
Paruimus
nimium: bella ad troiana ratesque
Argolicas
quesitus eo” (II, 17 -
19), ho obbedito, madre, sebbene tu dessi ordini intollerabili, ti ho troppo
obbedito, salgo sulle navi greche dove sono richiesto per la guerra di Troia.
La madre
dovette cedere davanti a tanta risolutezza.
Nelle Nuvole[5] di Aristofane il
Discorso ingiusto (Lovgo" a[diko" ) sostiene che Tetide lasciò
Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv" , v. 1067) e non era piacevole
passare la notte con lui, mentre la donna gode a essere sbattuta. Qui è
notevole il capovolgimento del significato di u{bri", la prepotenza, che, applicata alla
libidine della donna, diviene un valore.
Un'idea
non tanto peregrina e paradossale: la ritroviamo in Machiavelli:"Io
iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la
fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E
si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente
procedano. E però, sempre, come donna, è amica de' giovani, perché sono meno
respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano"[6].
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