NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 15 gennaio 2020

Umano e disumano. Parte 7

Signorelli, Pia donna in pianto
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Il pianto. La dolcezza delle lacrime. Consolarsi nel dolore è cosa umana

Le lacrime manifestano commozione e la creano. Alcuni autori hanno simpatia per le lacrime: Euripide è stimolato a comporre dal carattere patetico del soggetto: al drammaturgo ateniese, come a Virgilio[1], interessano le situazioni che grondano pianto. Il piangere, come scarso controllo delle situazioni, come uscita dalla realtà, può essere consolatorio :"come sono dolci le lacrime per quelli che vivono male (wJ" hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsi )/e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore " afferma il coro delle Troiane (vv. 608 - 609).

La razionalità viene sopraffatta dal patetico e dal pianto che può essere pure piacevole:"avanti, ridesta lo stesso lamento/solleva il piacere che viene dalle molte lacrime (a[nage poluvdakrun aJdonavn)", si esorta Elettra nella tragedia euripidea di cui è eponima (Elettra, vv. 125 - 126).

 Nell'Elena di Euripide, Menelao che ha ritrovato Elena dichiara il suo amore e la sua felicità con il pianto: "le mie lacrime sono motivo di gioia: hanno più/dolcezza che dolore"(654 - 655).

La confusione e la mescolanza dei sentimenti, la voluttà delle lacrime è reperibile pure in D'Annunzio: Tullio Hermil, ebbro di sentimenti buoni e amorosi per Giuliana prima di scoprirla impura, ne beve le lacrime con felice voluttà:" - Oh, lasciami bere - io pregai. E, rilevandomi, accostai le mie labbra ai suoi cigli, le bagnai nel suo pianto"[2].

L’emotività prevalente è cosa umana
"Tutto ciò che si pensa è simpatia o antipatia, si disse Ulrich" (L'uomo senza qualità, di Musil, p.210)
La funzione pedagogica della sofferenza. Imparare dalla sofferenza è cosa umana
Certo, dalla donna che ci fa soffrire si impara anche.
 Su questo possiamo sentire Proust: "Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere (...) Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col riuscire ben spossante!"[3].

Dal dolore della sapienza silenica tra i Greci si è sviluppata la bellezza
 Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la sofferenza ma anche la bellezza, una sorta di tw/' pavqei kavllo :"Una questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore (…) la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla privazione, dalla malinconia e dal dolore (…) quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[4].

La storia universale e l'idea dell'unità del genere umano, in Polibio Posidonio, Cicerone, Hermann Hesse.
Un’idea molto umana se non è viziata dall’imperialismo.

 Polibio (II sec. a. C.) afferma l'universalità della sua storia polemizzando con le scelte più o meno monografiche degli altri storiografi: per esempio condanna Teopompo (378 - 306) per le Storie Filippiche.
Queste del resto scoprono la "centralità di Filippo, in tutto analoga alla 'scoperta' polibiana della centralità dell'espansionismo romano".
Così Canfora che poi aggiunge:" E' dunque quella polibiana, una disputa alquanto nominalistica nei confronti dei predecessori. Oltre tutto, nonostante le insistenti proclamazioni, il racconto polibiano finisce ben presto col suddividersi in teatri di operazioni; ed in particolare le vicende della lega achea danno corpo ad un racconto minuzioso e settoriale (veri e propri jAcaikav) quanto mai stridente con l'organicismo di grande respiro del programma generale. Il fatto è che Polibio ripercorre la strada tucididea. Replica la 'scoperta' tucididea (manifestata nel proemio) del convergere - come Tucidide si esprime - di "quasi tutti gli uomini" nell'ingranaggio di un unico evento "grandissimo". Per Tucidide tale evento è la guerra peloponnesiaca (...) per Polibio tale evento è l'espansione romana tra la seconda punica e Pidna (con una "introduzione" costituita dalla prima punica). Dunque Polibio non 'inventa' la ricetta per risolvere le aporie in cui si dibatte chi tenti la strada della storia universale, sì piuttosto constata che in certi momenti della storia politico - militare delle nazioni si determina un annodamento (sumplevkesqai[5]) degli eventi"[6].
Tale annodamento è avvenuto dal momento in cui la storia ha assunto un aspetto organico e gli affari dell’Italia e dell’Africa si sono intrecciati con quelli della Grecia e dell’Asia, scrive Polibio e tendono a ub unico fine. Prima i fatti del mondo erano dispersi e non c’era nulla che li teneva insieme

E' una constatazione, aggiungo, dalla quale partono o cui arrivano anche diversi autori di drammi, di romanzi e di film che nelle loro opere mostrano intrecci o “annodamenti” degli eventi causati dal destino cieco o provvidenziale, a seconda delle fedi o delle ideologie. La visione dei nessi è imprescindibile dal fare politica o fare arte,
Quello dell'intreccio insomma è un criterio dal quale non può prescindere chi scrive.
Aggiunta questa nota personale, do ancora la parola a Canfora:" Ma questo criterio operava di fatto anche per la storiografia post - tucididea, che, a partire da Senofonte, orientava il racconto secondo il filo conduttore delle vicende riguardanti la potenza volta a volta egemone: le Elleniche appunto (di Senofonte, di Teopompo, di Callistene[7]) tutte ruotanti su di un asse narrativo costituito dalla grande potenza che - allo stesso modo di Roma nel racconto polibiano - svolge un ruolo dominante e perciò, anche sul piano della narrazione, orientativo. Tutte storie 'universali' dunque e tutte illusoriamente tali. Quando, alla fine del I secolo d. C., Pompeo Trogo, uno storico originario della Gallia Narbonese, tentò per la prima volta un esperimento di storia universale in lingua latina (Historiae Philippicae ), non fece che mettere in ordine una successione di egemonie a partire dall'antico Oriente fino alla vittoria di Augusto in Ispagna. Polibio dunque - che proclamava di riconoscere solo Eforo come proprio predecessore (V, 33) - lasciava irrisolta l'aporia"[8].

La concatenazione e l'intreccio in ogni caso rimandano all'idea dell'unità che è una meta inseguita, anche come scopo personale, da altri autori che ci sono familiari o dovrebbero esserlo: Hermann Hesse per esempio che scrive:" In nulla al mondo, infatti, io credo così profondamente, nessun'altra idea mi è più sacra di quella dell'unità, l'idea che l'intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso. Molto dolore avevo sofferto in vita mia"[9].

 A questo punto diamo di nuovo la parola a Canfora che individua in un "geniale continuatore" di Polibio, Posidonio di Apamea, filosofo stoico e storico" maestro di Cicerone "la soluzione ad un livello ben più alto, dell'aporia della 'storia universale'.
Le Storie dopo Polibio di Posidonio[10] non sono conservate, ma ve ne è traccia notevole nella benemerita Biblioteca di Diodoro: e soprattutto nel proemio diodoreo sono sviluppati pensieri che sembrano risalire appunto al proemio posidoniano. Innanzi tutto l'idea stoica della storia universale come proiezione della fratellanza universale che collega in un nesso solidale - come membra di un unico corpo, secondo l'espressione senecana - tutti gli esseri umani. La storia universale "riconduce ad un'unica compagine gli uomini, divisi tra loro nello spazio e nel tempo, ma partecipi di un'unica reciproca parentela" (Diodoro, I, 1, 3).
Oltre che "strumento della provvidenza divina (uJpourgoi; th'" qeiva" pronoiva) ", perciò gli storici sono anche benefattori del genere umano: e la storiografia - prosegue Diodoro - oltre ad essere profh'ti" th'" ajlhqeiva" è anche "madrepatria della filosofia (mhtrovpoli" th'" filosofiva")" (I, 2, 2).
 Allora se le leggende mitiche relative all'Ade contribuiscono al sentimento religioso, bisogna supporre che la storia possa preparare i caratteri umani alla kalokajgaqiva (i, 2, 2).

Vediamo alcune altre parole di Diodoro[11]:"e[peita pavnta" ajnqrwvpou", metevconta" me;n th'" pro;" ajllhvlou" suggeneiva", tovpoi" de; kai; crovnoi" diesthkovta", ejfilotimhvqesan uJpo; mivan kai; th'" aujth;n suvntaxin ajgagei'n, w{sper tine;" uJpourgoi; th'" qeiva" pronoiva" genhqevnte" " (1, 1, 3), poi essi[12] aspirarono a ricondurre tutti gli uomini che partecipano ad una comunanza di stirpe tra loro, ma sono separati da luoghi e da tempi, a un solo e medesimo sistema , come se fossero in un certo senso aiutanti della divina provvidenza.

L'idea della fratellanza tra tutti gli uomini si trova anche in Cicerone, allievo latino di Posidonio, e, indirettamente, di Panezio che fu maestro di Scipione Emiliano, e dal 129 a. C. primo maestro della Stoà. Cfr . De Officiis III, 25 citato sopra

Disumana è la pena di morte come pure i sacrifici umani

Contro la disumanità dei sacrifici umani
Contro i sacrifici umani si esprime umanamente la vecchia regina troiana nell'Ecuba di Euripide che accusa la disumanità dei politici demagogici rappresentati da Odisseo: "Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano/presso una tomba (ajnqrwposfagei'n - pro;" tuvmbon) , dove sarebbe più adatto il sacrificio di un bue?( e[nqa prevpei bouqetei'n ma'llon prevpei; vv. 254 - 261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.

Nelle Troiane di Seneca, Agamennone prende una posizione analoga davanti allo spietato Pirro che esige il sacrificio di Polissena:"Quidquid eversae potest/superesse Troiae, maneat: exactum satis/poenarum et ultra est. Regia ut virgo occĭdat/tumuloque donum detur et cineres riget/et facinus atrox caedis ut thalamos vocent,/non patiar. In me culpa cunctorum redit:/qui non vetat peccare, cum possit, iubet " (vv.285 - 291), tutto ciò che può sopravvivere di Troia sconvolta, rimanga: è stato fatto pagare abbastanza in fatto di pene e anche troppo. Non permetterò che la ragazza figlia della regina muoia e la sua vita sia donata a una tomba e spruzzi di sangue le ceneri e che il misfatto atroce dell’assassinio chiamino cerimonia nuziale: la colpa di tutti i misfatti ricade su me: chi non impedisce un delitto, quando può, è come se lo avesse ordinato.
Se deve essere fatto un sacrificio in onore di Achille, continua il dux "caedantur greges/fluatque nulli flebilis matri cruor" (vv. 296 - 297), si ammazzino animali del gregge e scorra il sangue che non faccia piangere nessuna madre umana.

Disumano è non ascoltare
L’umanità dell’ascolto.
Infatti "il primo peccato mortale, ora credo, è il tradimento della cortesia. Il venir meno dell'ascolto"[13].

 Edipo a Colono, da cieco, impara ad ascoltare:"Egli chiede informazioni sul luogo in cui si trova, sulla natura e gli usi che sono propri di tale luogo, nonché sui modi di adeguarsi ad essi. "Nascondimi nel bosco, finché abbia sentito che cosa diranno" (vv. 114 - 115), dice ad Antigone, quindi :"alla voce, vedo" (fwnh'/ ga;r oJrw' v. 138).. E il coro si rivolge a lui per la prima volta con queste parole:"Odi, o infelice errante? (v. 165). Antigone lo avverte:"E' meglio che entriamo ora, e che li ascoltiamo (v. 171). Essere vivi è ascoltare: il Coro descrive la morte come una situazione "senza imenei senza lira senza cori" (v. 1222).

Edipo impara la preghiera dal Coro ascoltando (ajkou'sai bouvlomai[14], v. 485). Se nel Tyrannos non riusciva a smascherare con lo sguardo l'inganno di Creonte, nell' Epi Kolonoi ci riesce con l'udito (ajkouveq', v. 881)"[15].

“Compresero che un vero uomo è un fenomeno raro quanto una vera donna. Un uomo che non vuole dimostrare nulla alzando la voce e facendo risuonare la spada, un uomo che vuole soltanto dare e ricevere, senza fretta e senza avidità, perché ha dedicato l’intera esistenza, ogni sua fibra, ogni barlume della sua coscienza e ogni muscolo del suo corpo al richiamo imperioso della vita: un uomo simile è un fenomeno estremamente raro”[16].

“E’ duro avere a che fare con un vero uomo, mia cara, perché ha un’anima”[17].

Nella letteratura latina la morale degli uomini ordinari viene enunciata dallo schiavo Birria dell'Andria [18] di Terenzio: "Verum illud verbumst, volgo quod dici solet,/ omnis sibi malle melius esse quam alteri " (vv.426 - 427), è vero quel proverbio che si dice spesso tra la gente: tutti preferiscono il bene per sé piuttosto che per altri. Più avanti il suo padrone Carino ribadisce, polemicamente, il concetto:"Heus, proxumus sum egomet mihi " (636), ehi, il prossimo per me sono io stesso.
Humanitas dunque è interesse per l'uomo "con tutto il suo bagaglio di qualità e debolezze"[19], l'apertura mentale nei confronti dell'essere umano, il prossimo e pure quello lontano.

Disumana è l’intelligenza priva di sensibilità, come il sapere privo di sapienza
L'abulico Oblomov di Gončarov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità:"Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"[20].

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[1] Cfr.: " sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt" (Eneide, I, 462), ci sono lacrime per le sventure e le vicende mortali toccano il cuore.
[2]L'Innocente.p. 145.
[3]M. Proust, Il tempo ritrovato , pp. 239 e 242.
[4] F. Nietzsche, La nascita della tragedia (1872), p. 7 e p. 163.
[5]I, 3, 4.
[6]L. Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 527.
[7] Discepolo e nipote di Aristotele, scrisse, oltre le Gesta di Alessandro di cui era storico ufficiale, Storie Elleniche che andavano dalla pace di Antalcida del 386 allo scoppio della guerra sacra (356). La storia encomiastica del re di Macedonia non gli risparmiò il supplizio; fu esposto in una gabbia e fatto sbranare da un leone (Diogene Laerzio, v, 5) poiché rifiutò la proskuvnhsi" ad Alessandro e venne accusato di complicità nella "congiura dei paggi" ( 327 a. C.) , i giovani aristocratici macedoni contro il loro re. Plutarco nella Vita di Alessandro (52 e sgg.) ci dà una versione di questa storia e, secondo Canfora, il biografo greco " che ha visto i regni di Nerone e Domiziano, non sembra ignaro dell'affinità evidente tra il destino di un Callistene... e il destino della nobiltà senatoria romana divisa tra servilismo e repugnanza di fronte al dispotismo neroniano. La ribellione alla proskuvnhsi" è una specie di suicidio al pari di quello del Petronio di Tacito" (Storia Della Letteratura Greca , p. 440).
[8] Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 527.
[9]H. Hesse, La Cura , p. 77.
[10] di Apamea, 135 - 50 a. C. ca.
[11] Primo secolo a. C.
[12] Gli autori di storie universali cui tutti gli uomini devono gratitudine (1, 1, 1).
[13] F. Frasnedi, La lingua, le pratiche, la teoria , p. 55.
[14] Ascoltare voglio.
[15] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 129.
[16] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 31.
[17] S. Màrai, La donna giusta, p. 62.
[18] Rappresentata nel 166 a. C.
[19] G. B. Conte, Scriptorium classicum 1, p. 92.
[20] I. Gončarov, Oblomov (del 1859), p. 53.

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