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Seconda parte della conferenza che terrò il 3 febbraio alle 17 nella biblioteca Pezzoli di Bologna
Elena di Troia
Elena nel III canto dell’Iliade rappresenta al suo apparire la bellezza in sé; (kalo;n autov).
La sua
avvenenza colpisce i vecchi compagni di Priamo che per l’età avevano smesso la
guerra ma erano ajgorhtai; esqloiv (III,
150) oratori abili, simili alle cicale - tettivgessin ejoikovte" - che nel bosco stando su una pianta mandano voce di giglio (151).
Ebbene questi anziani, come la vedono, dicono che non è nevmesi~[1] (v. 156) non è motivo di sdegno che per una donna siffatta tanti uomini
soffrano a lungo dolori: terribilmente somiglia alle dèe immortali a vederla.
Tuttavia il prezzo di quella visione è troppo alto, quindi i vecchi
aggiungono; “ma anche così, vada via sulle navi: non rimanga a Troia
quale ph`ma (sciagura, danno v. 160) per
noi e per i nostri figli.
Però Priamo, più coraggioso[2] e più affascinato degli altri, la protegge: le chiede di sedersi
vicino a lui, poiché non lei è colpevole - ajtivh - ma gli dei sono colpevoli (qeoi; ai[tioi, v, 164): sono
stati loro a muovere la funesta guerra dei Danai.
Nell’Iliade
Elena del resto è per lo più una pentita: nel III canto a Priamo - venerando e
terribile - aijdo'io" - e terribile deinov" 172 - risponde: oh se mi fosse
piaciuta la morte - wJ" o[felen qavnato" moi aJdei'n - , 173, quando seguii tuo figlio
abbandonando mia figlia. Quindi dalle mura dà indicazioni sui capi degli Achèi.
Agamennone alto, Odisseo meivwn kefalh'/ rispetto all’a[nax (III, 193) ma più largo di spalle.
Poi Aiace gigante rocca degli Achei - e{rko" jAcaiw'n. Idomeneo cretese, Castore ijppovdamon e e Polluce pu;x ajgaqovn - suoi fratelli, 237.
Dopo il
duello tra Menelao e Paride salvato da Afrodite, la dea spinge Elena verso il
letto del perdente salvato apunto da lei. Ma la figlia di Zeus risponde che non
andrà a servire il letto di Paride; tutte le Troiane dietro le spalle mi
biasimeranno: Trwai; dev m’j ojpivssw - pa'sai mwmhvsontai (III, 410 - 411)
Afrodite
allora si infuria ed Elena deve obbedire
Comunque
quando arriva sul talamo la bellissima dice a Paride wJ"
w[fele" aujtovq j ojlevsqai , vinto da un uomo forte come era il io primo
marito.
Paride si
giustifica dicendo che Menelao è stato aiutato da Atena, poi la corteggia
enfatizzando il proprio desiderio: non l’ha mai desiderata tanto, nemmeno a
Sparta, e la porta a letto.
Nel VI canto Ettore
va nelle stanze della coppia fatale per sollecitare Paride a muoversi verso la
battaglia. Il fratello donnaiolo si scusa dicendo che si stava preparando e,
aggiunge, anche la sposa con parole tenere mi ha spinto alla guerra - me a[loco"
malakoi'" ejpevessin - o{rmhs j ej" povlemon - 337 - 338 . Poi chiede a Ettore di aspettarlo
o di andare avanti, io ti seguo: h] i[q j, ejgw, de; mevteimi - 341.
L’eroe non
gli risponde, mentre Elena parla a Ettore chiamandolo cognato mio, di una cagna
che fabbrica mali, agghiacciante - da'er - voc di dahvr lat. levir, i - ejmei'o
kuno;" kakomhcavnou ojkruoevssh" (344) - kruvo" - ou" tov freddo e gelo.
Le dispiace
addirittura essere nata.
La figlia di Leda accusa se stessa davanti a Ettore, soprattutto per la
scelta sbagliata che ha fatto: io ho avuto sciagure ma almeno fossi stata in
seguito la moglie di un uomo migliore (ajndro;~ e[peit j w[fellon
ajmeivnono~ ei\nai a[koiti~ , VI, 350) che conoscesse
l’indignazione.
Le donne che
possono scegliere non perdonano l’insuccesso.
Del resto
l’uomo in preda all’amore è giudicato male in parte non piccola della
letteratura europea. Si pensi a Orfeo di Virgilio.
Dante mette
Paride all’inferno con Elena, Semiramide, Cleopatra, Achille, Tristano e più di
mille peccator carnali che la ragion sommettono al talento (V canto).
Elena
continua a insultare l’imbelle privo di frevne"
e[mpedoi, stati
d’anomo saldi.
Paride era già stato insultato dal fratello nel III canto che propone il
contrasto tra apparenza e sostanza.
In testa
all'esercito troiano si fa vedere Paride con l'aspetto di un dio (qeoeidhv" , v. 16), con pelle di pantera
sopra le spalle, arco ricurvo e spada, e, per giunta, squassando due lance a
punta di bronzo.
Il
bellimbusto sfidava tutti i campioni degli Achei. Ma quando Menelao, contento
della preda, saltò a terra dal carro per affrontarlo, il seduttore di Elena
sbigottì in cuore e si ritirò presso i compagni. Allora Ettore lo assalì con
parole che vogliono essere infamanti: gli diede del donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav v. 39), poi lo accusò di
smentire l' aspetto splendido (ei\do" a[riste) con un cuore senza forza né valore (45), in quanto
era uomo capace di portare via le donne agli uomini bellicosi ma non di
affrontarli.
Allora Paride
gli risponde di non biasimarlo e non rinfacciargli i doni amabili dell'aurea
Afrodite (mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono
spregevoli i magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65) che del resto nessuno può
scegliersi.
Quindi il
donnaiolo si presta ad affrontare in duello il rivale Menelao. Se la caverà
solo in quanto salvato da Afrodite
Paride
dunque è bello ma non vale niente secondo il fratello.
Eppure la bellezza giustifica la vita. Senza
bellezza non si può vivere.
La giustificazione estetica della vita umana, il culto della bellezza, è
un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma Polissena
quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore:"to; ga;r zh'n
mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Torniamo al VI canto dove Elena si scusa con Ettore per i molti travagli da lui sofferti a
causa mia, la cagna e[nek j ejmei'o kunov" 356 e per l’acciecamento e[nek j
a[th" di
Alessandro. Elena invita il cognato a sedere accanto a lei, ma il grande eroe,
bravo marito e caro padre deve andare da sua moglie e suo figlio, poi a combattere
Nel XXIV canto Elena piange su Ettore morto e dice “ fossì morta prima” (wJ~ pri;n
w[fellon ojlevsqai ,
XXIV, 764)
Elena che a tratti disprezza Paride e lo rigetta, stima Ettore e prova
affetto per lui.
Nel compianto funebre dice che solo Ettore e Priamo, il suocero, eJkurov~ furono buoni con lei, mentre i cognati e le cognate e pure la
suocera hJ eJkurhv, la
rimbrottavano ( XXIV, 770).
“Ma quando cominciavano
a farlo, tu li trattenevi con la tua dolcezza e con parole dolci”, dice la
donna fatale all’eroe troiano.
Più avanti vedremo quali aspetti assume la maliarda in altre opere. Elena, come
una parola del vocabolario, e, al pari di altri personaggi del mito, assume
significati diversi in diversi contesti.
[1] Il pittore Zeusi (V - IV sec.) dopo averla dipinta per il tempio di Era non aspettò il
giudizio della critica, ma scrisse sulla tela ouj nevmesi~.
Leopardi, quando
tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443 - 3444), riporta
questi della Canzone XIV di Petrarca ( Rime ,
CXXVI, 53 - 55):
"Quante
volte diss'io allor pien di spavento
Costei per
fermo nacque in paradiso!".
Quindi
fa seguire un commento relativo alla paura suscitata dalla bellezza:" E'
proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la
veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il
principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello
che più si distingue e si nota e risalta."
[4] Nel III libro
Afrodite aveva sottratto Paride alla furia di Menelao che stava per ucciderlo.
Il perdente si era salvato dunque con una fuga vergognosa secondo la morale
degli eroi i cui motti sono “non cedere” e “primeggiare sempre”
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