Sul sublime |
Una caratteristica di Saffo è la delicatezza.
Nel fr. 58
Voigt Saffo nota delicatamente la sua sopraggiunta vecchiaia gh'ra" che toglie luce alla pelle e
colore ai capelli: “leu'kai d jj ejgenovnto trivce" ejk melaivnan”, i capelli da neri sono diventati biannchi. Quindi menziona Titono che
Aurora dalle braccia di rosa portò ai confini del modo. E infine: e[gw de; fivlhmm j ajbrosuvnan. io amo la delicatezza.
Eros mi ha fatto ottenere la bellezza e la luce del
sole.
Ricordo la
delicatezza di Euridice la quale non si lamenta poiché un’amante non può
lamentarsi di essere amata: “flexit amans oculos: et protinus illa relapsa
est/bracchiaque intendens prendique et prendere certans/nil nisi cedentes
infelix adripit auras./Iamque iterum moriens non est de coniuge quicquam/questa suo (quid enim nisi se
quereretur amatam?)/supremumque “vale”, quod iam vix auribus
ille/acciperet, dixit revolutaque rursus eodem est” (X, vv. 56-63), girò
indietro gli occhi l’amante: e subito lei cadde, e sebbene lui tendesse le
braccia lottando per essere preso e prendere, nulla afferrò l’infelice se non
soffi fugaci. E lei mentre già moriva per la seconda volta non emise un lamento
sul coniuge suo (di che cosa infatti si sarebbe lamentata se non di essere
amata?) e gli disse l’ultimo “addio” che oramai quello appena prendeva nelle
orecchie, poi cadde di nuovo nel luogo di prima.
Questi versi
vengono letti dalle due ragazze amanti reciproche del film Ritratto
della donna in fiamme
Si pensi
viceversa alla moglie della satira sesta di Giovenale: quando si trova sulla
nave dove l’ha fatta salire il marito, gli vomita addosso, se invece segue
l’amante, sta bene di stomaco, pranza in mezzo ai marinai, passeggia per la
poppa e gode nel maneggiare le dure funi: “quae moechum sequitur, stomacho
valet; illa maritum/convomit; haec inter nautas et prandet et errat/per puppem
et duros gaudet tractare rudentis” (vv.
100-102)
Ho l’anima mite
Il fr. 120 Voigt fa: non sono una di quelle dal furore
rinascente nel temperamento, ma ho l’anima mite
“Le persone
buone e miti non si oppongono a lungo e, anche se non subito, diventano poi
molto comunicative, non sanno evitare una conversazione: rispondono prima a
monosillabi, ma rispondono e rispondono sempre più facilmente”[1].
Il fr.2D è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo
trattato di estetica Sul sublime. del I secolo d. C. E' forse la
poesia più nota di Saffo poiché è stata tradotta da Catullo nel carme 51.
Cominciamo con il darne una traduzione nostra:
" Quello
mi sembra pari agli dei
essere l'uomo che
davanti a te
sta seduto e da vicino ti
ascolta
dolcemente parlare
e sorridere amabilmente,
cosa che a me certo 5
sconvolge il cuore nel
petto:
appena infatti ti guardo per
un momento, allora non
è permesso più che io dica
niente
ma la lingua mi rimane
spezzata
un fuoco sottile subito
corre sotto la pelle
e con gli occhi non vedo
nulla e mi
rombano le orecchie
e un sudore freddo mi cola
addosso, e un tremore
mi prende tutta, e sono più
verde
dell'erba, poco lontana
dall'essere morta
appaio a me stessa
ma bisogna sopportare tutto
poiché..."
strofe saffiche
Qui finisce
la citazione dell'Anonimo Sul
Sublime il quale si chiede (10) dove stia la grandezza di
Saffo e risponde:“Saffo prende le sofferenze che capitano nelle follie amorose
dai fatti conseguenti e dalla verità stessa in ogni occasione. Dove mostra la
sua capacità? Nel fatto che è straordinaria nello scegliere e collegare tra
loro i vertici e gli aspetti di massima tensione”.
Quindi cita
l'ode e ripete che il capolavoro è prodotto dalla scelta dei momenti più
intensi e dal loro collegamento. “ h J lh'yi~ d j wJ~ e[fhn
tw'n a[krwn kai; hJ eij~ taujto; sunaivresi~ ajpeirgavsato th;n ejxochvn”, la scelta, come
dicevo, dei vertici e la loro concentrazione nello stesso componimento nel
medesimo punto ha prodotto l’eccellenza”.
Anche
Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp.
3443-3444), cita, in greco, i vv. 5-6 di questo carme , dopo avere riportato
questi della Canzone XIV di Petrarca ( Rime ,
CXXVI, 53-55):
"Quante
volte diss'io
allor pien
di spavento/
"Costei
per fermo nacque in paradiso!".
Quindi
fa seguire un commento relativo a entrambi gli autori:" E' proprio
dell'impressione che fa la bellezza (...) su quelli d'altro sesso che la
veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il
principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello
che più si distingue e si nota e risalta."
Dicevamo
che il carme 51 di Catullo traduce questi versi fino al 12, quindi
abbandona il modello, forse per un altro, operando così una contaminatio .
Diamo anche
la traduzione dell'ode catulliana:
"Quello
mi sembra essere simile a un dio
quello, se
non è una bestemmia, superare gli dei
l'uomo che
sedendo di fronte continuamente ti
osserva e ti
ascolta
mentre
sorridi con dolcezza, il che a me infelice
porta via
tutti i sensi: infatti appena ti
vedo,
Lesbia, non mi rimane nemmeno
un filo di
voce in bocca
Ma la lingua
si paralizza (lingua sed torpet),
sotto le membra sottile
scorre una
fiamma, e per un suono loro
squillano le
orecchie, gli occhi si coprono
di doppia
notte.
Geminā teguntur/lumina
nocte
Lo stare
senza far niente ti fa male Catullo:
stando senza
far niente ti esalti e ti sfreni troppo.
Lo stare
senza far niente ha già mandato in rovina
re e città
opulente ".
Catullo ha
paura di bestemmiare (v.2) siccome il suo rapporto con la divinità non è
amichevole e gratuito come quello di Saffo; il romano in
genere sembra curarsi degli dei solo per averne favori: la prosperità terrena è
il fine supremo della sua religione, e non c'è relazione disinteressata tra
uomo e dio[3].
Aggiungerei che le parole della poetessa greca sono
più concrete non solo perché, come scrive Pavese "il realismo, in arte, è
greco"[4], ma anche perché nella donna l'amore mancato, o la gelosia qual è
probabilmente in questo caso il motivo della pena, infligge maggiore sofferenza
corporea; così come l'amore appagato dà più gioia anche fisica al sesso
femminile.
Lo rinfaccia Giove a Giunone nelle Metamorfosi di Ovidio:"maior vestra
profecto est/quam quae contingit maribsu-dixisse-voluptas ",
certo il vostro piacere è più grande di quello che tocca ai maschi (III,
320-321)
“Illa
negat; placuit quae sit sententia docti-quaerere Tiresiae Venus
huic erat utraque nota (322 -323) - Il profeta diede ragione a
Giove, a carissimo prezzo, poiché la dea, addolorata più del giusto-gravius
iusto -, gli tolse gli occhi.
Nel poema di
T. S. Eliot, Tiresia si presenta come un cieco che pulsa tra due
vite, un vecchio uomo con avvizzite mammelle di donna (La terra desolata,
vv. 218 - 219), un profeta che ha presofferto tutto - And I Tiresias
have presoffered all - (243)
Eliot nella
nota al v. 218 dà questo chiarimento: “Tiresia (…) è il personaggio più
importante del poema, poiché unisce tutti gli altri (…) i due sessi si
incontrano in Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti è la sostanza
del poema. L’intero passo di Ovidio è di interesse antropologico”, Quindi cita
i vv. 320 -338 del III libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Una dolorosa palpitazione cardiaca per amore, ma del
denaro, e per il terrore di perderlo, si trova nell'Aulularia di
Plauto, denunciata dall'avaro Euclione:
"Continuo meum cor coepit artem facere ludǐcram
atque in pectus emicare "(626-627), subito il mio cuore ha cominciato a fare l'arte del
ballerino e a saltare in petto.
Il fuoco
d'amore qui attestato, ripetuto nel fr. 38 Voigt o[ptai"
a[mme , “tu mi
cuoci” inaugura il topos della cottura amorosa: Così nel VII
idillio di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon (v. 55), cotto da Afrodite per
Ageanatte.
Cfr. anche
Meleagro 12, 92
Il fuoco è
menzionato anche in un altro frammento (48 Viuigt):
Sei giunta,
hai fatto bene, io ti bramavo
Hai
rinfrescato la mia anima che bruciava dal desiderio - e[yuca"
eman frevna kaiiomevnan povqw/...
Il fuoco
amoroso appiccato a Didone nell’Eneide non è di cottura né
purificatore, ma deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum inspires
ignem fallasque veneno " (I, v. 688), infondile un fuoco occulto
e ingannala con il veleno, ordina Cipride al figlio. L'amore è causa
di infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata
alla rovina:" Praecipue infelix, pesti devota
futurae,/expleri mentem nequit ardescitque tuendo " (I, 712-713),
sopra tutti l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa saziare il
cuore e s'infiamma guardando.
La kalokajgaqiva
Chi è bello
lo è per quanto si può vedere,
chi
è pure di valore sarà subito anche bello - oj de;
ka[gaqo" au[tika kai; kavlo" e[ssetai (fr. 50 Voigt)
La kalokajgaqia:
Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva
pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabilidi Filippo
Ottonieri ).
L'importanza
capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di
Recanati nello Zibaldone ( 2546-2547):
"Le Dee e specialmente Giunone,
è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è
certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa
esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e
appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal
resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una
sproporzione. E in fatti non solo
è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non
sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza...
Dalle quali cose deducete
[2] Cfr. Miles
gloriosus di Plauto l’ancilla paraninfa dice al Miles:"dum te
obtuetur, interim linguam oculi praeciderunt" (v. 1271), mentre
Acroteleuzia ti guardava nel frattempo gli occhi le hanno tagliato la
lingua.
[3]Per quanto riguarda Catullo in particolare, possiamo ricordare il carme 76
(v. 26) dove il poeta in cambio della sua pietas e della
sua fides chiede la salute (v.26) :"O di,
reddite mi hoc pro pietate mea ", o dei datemi questo in cambio
della mia devozione.
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