NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 2 gennaio 2020

Saffo. Parte 4. Altri frammenti

Sul sublime

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Una caratteristica di Saffo è la delicatezza.
Nel fr. 58 Voigt Saffo nota delicatamente la sua sopraggiunta vecchiaia gh'ra" che toglie luce alla pelle e colore ai capelli: “leu'kai d jj ejgenovnto trivce" ejk melaivnan”, i capelli da neri sono diventati biannchi. Quindi menziona Titono che Aurora dalle braccia di rosa portò ai confini del modo. E infine: e[gw de; fivlhmm j ajbrosuvnan. io amo la delicatezza.
Eros mi ha fatto ottenere la bellezza e la luce del sole.

Ricordo la delicatezza di Euridice la quale non si lamenta poiché un’amante non può lamentarsi di essere amata: “flexit amans oculos: et protinus illa relapsa est/bracchiaque intendens prendique et prendere certans/nil nisi cedentes infelix adripit auras./Iamque iterum moriens non est de coniuge quicquam/questa suo (quid enim nisi se quereretur amatam?)/supremumque “vale”, quod iam vix auribus ille/acciperet, dixit revolutaque rursus eodem est” (X, vv. 56-63), girò indietro gli occhi l’amante: e subito lei cadde, e sebbene lui tendesse le braccia lottando per essere preso e prendere, nulla afferrò l’infelice se non soffi fugaci. E lei mentre già moriva per la seconda volta non emise un lamento sul coniuge suo (di che cosa infatti si sarebbe lamentata se non di essere amata?) e gli disse l’ultimo “addio” che oramai quello appena prendeva nelle orecchie, poi cadde di nuovo nel luogo di prima.
Questi versi vengono letti dalle due ragazze amanti reciproche del film Ritratto della donna in fiamme
Si pensi viceversa alla moglie della satira sesta di Giovenale: quando si trova sulla nave dove l’ha fatta salire il marito, gli vomita addosso, se invece segue l’amante, sta bene di stomaco, pranza in mezzo ai marinai, passeggia per la poppa e gode nel maneggiare le dure funi: “quae moechum sequitur, stomacho valet; illa maritum/convomit; haec inter nautas et prandet et errat/per puppem et duros gaudet tractare rudentis” (vv. 100-102)     

Ho l’anima mite
Il fr. 120 Voigt fa: non sono una di quelle dal furore rinascente nel temperamento, ma ho l’anima mite
“Le persone buone e miti non si oppongono a lungo e, anche se non subito, diventano poi molto comunicative, non sanno evitare una conversazione: rispondono prima a monosillabi, ma rispondono e rispondono sempre più facilmente”[1].

Il fr.2D è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo trattato di estetica Sul sublime. del I secolo d. C. E' forse la poesia più nota di Saffo poiché è stata tradotta da Catullo nel carme 51.
Cominciamo con il darne una traduzione nostra:
Quello mi sembra pari agli dei
 essere l'uomo che davanti a te
sta seduto e da vicino ti ascolta
dolcemente parlare
e sorridere amabilmente, cosa che a me certo 5
sconvolge il cuore nel petto:
appena infatti ti guardo per un momento, allora non
è permesso più che io dica niente
ma la lingua mi rimane spezzata
ka;m glw'ssa m j e[age[2]
un fuoco sottile subito corre sotto la pelle
e con gli occhi non vedo nulla e mi
rombano le orecchie
e un sudore freddo mi cola addosso, e un tremore
mi prende tutta, e sono più verde
dell'erba, poco lontana dall'essere morta
appaio a me stessa
ma bisogna sopportare tutto poiché..."
strofe saffiche

Qui finisce la citazione dell'Anonimo Sul Sublime  il quale si chiede (10) dove stia la grandezza di Saffo e risponde:“Saffo prende le sofferenze che capitano nelle follie amorose dai fatti conseguenti e dalla verità stessa in ogni occasione. Dove mostra la sua capacità? Nel fatto che è straordinaria nello scegliere e collegare tra loro i vertici e gli aspetti di massima tensione”.
Quindi cita l'ode e ripete che il capolavoro è prodotto dalla scelta dei momenti più intensi e dal loro collegamento. “ h J lh'yi~ d  j wJ~ e[fhn tw'n a[krwn kai; hJ eij~ taujto; sunaivresi~ ajpeirgavsato th;n ejxochvn”,  la scelta, come dicevo, dei vertici e la loro concentrazione nello stesso componimento nel medesimo punto ha prodotto l’eccellenza”.
Anche Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443-3444), cita, in greco, i vv. 5-6 di questo carme , dopo avere riportato questi della Canzone  XIV di Petrarca ( Rime , CXXVI, 53-55):
"Quante volte diss'io
allor pien di spavento/
"Costei per fermo nacque in paradiso!".
 Quindi fa seguire un commento relativo a entrambi gli autori:" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza (...) su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta."   
 Dicevamo che il carme 51 di Catullo traduce questi versi fino al  12, quindi abbandona il modello, forse per un altro, operando così una contaminatio .
Diamo anche la traduzione dell'ode catulliana:
"Quello mi sembra essere simile a un dio
quello, se non è una bestemmia, superare gli dei
l'uomo che sedendo di fronte continuamente ti
osserva e ti ascolta
mentre sorridi con dolcezza, il che a me infelice
porta via tutti i sensi: infatti appena ti
vedo, Lesbia, non mi rimane nemmeno
un filo di voce in bocca
Ma la lingua si paralizza (lingua sed torpet), sotto le membra sottile
scorre una fiamma, e per un suono loro
squillano le orecchie, gli occhi si coprono
di doppia notte.
Geminā teguntur/lumina nocte
Lo stare senza far niente ti fa male Catullo:
stando senza far niente ti esalti e ti sfreni troppo.
Lo stare senza far niente ha già mandato in rovina
re e città opulente ".
Catullo ha paura di bestemmiare (v.2) siccome il suo rapporto con la divinità non è amichevole e gratuito come quello di Saffo; il romano in genere sembra curarsi degli dei solo per averne favori: la prosperità terrena è il fine supremo della sua religione, e non c'è relazione disinteressata tra uomo e dio[3].
Aggiungerei che le parole della poetessa greca sono più concrete non solo perché, come scrive Pavese "il realismo, in arte, è greco"[4], ma anche perché nella donna l'amore mancato, o la gelosia qual è probabilmente in questo caso il motivo della pena, infligge maggiore sofferenza corporea; così come l'amore appagato dà più gioia anche fisica al sesso femminile.

 Lo rinfaccia Giove a Giunone nelle Metamorfosi  di Ovidio:"maior vestra profecto est/quam quae contingit maribsu-dixisse-voluptas ", certo il vostro piacere è più grande di quello che tocca ai maschi (III, 320-321)
Illa negat; placuit quae sit sententia docti-quaerere Tiresiae Venus huic erat utraque nota  (322 -323) - Il profeta diede ragione a Giove, a carissimo prezzo, poiché la dea, addolorata più del giusto-gravius iusto -,  gli tolse gli occhi.
Nel poema di T. S. Eliot,  Tiresia si presenta come un cieco che pulsa tra due vite, un vecchio uomo con avvizzite mammelle di donna (La terra desolata, vv. 218 - 219), un profeta che ha presofferto tutto - And I Tiresias have  presoffered all - (243)
Eliot nella nota al v. 218 dà questo chiarimento: “Tiresia (…) è il personaggio più importante del poema, poiché unisce tutti gli altri (…) i due sessi si incontrano in Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti è la sostanza del poema. L’intero passo di Ovidio è di interesse antropologico”, Quindi cita i vv. 320 -338 del III libro delle Metamorfosi di Ovidio.

Una dolorosa palpitazione cardiaca per amore, ma del denaro, e per il terrore di perderlo, si trova nell'Aulularia  di Plauto, denunciata dall'avaro Euclione:
"Continuo meum cor coepit artem facere ludǐcram
atque in pectus emicare "(626-627), subito il mio cuore ha cominciato a fare l'arte del ballerino e a saltare in petto. 

Il fuoco d'amore  qui attestato, ripetuto nel fr. 38 Voigt   o[ptai" a[mme , “tu mi cuoci” inaugura il topos della cottura amorosa: Così nel VII idillio di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon (v. 55), cotto da Afrodite per Ageanatte.
Cfr. anche Meleagro 12, 92
Il fuoco è menzionato anche in un altro frammento (48 Viuigt):
Sei giunta, hai fatto bene, io ti bramavo
Hai rinfrescato la mia anima che bruciava dal desiderio - e[yuca" eman frevna kaiiomevnan povqw/...

Il fuoco amoroso appiccato a Didone nell’Eneide non è di cottura né purificatore, ma deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum inspires ignem fallasque veneno " (I, v. 688), infondile un fuoco occulto e ingannala con il veleno, ordina Cipride al figlio. L'amore  è causa di infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata alla rovina:" Praecipue infelix, pesti devota futurae,/expleri mentem nequit ardescitque tuendo " (I, 712-713), sopra tutti l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa saziare il cuore e s'infiamma guardando.

La kalokajgaqiva
Chi è bello lo è per quanto si può vedere,
chi è  pure di valore sarà subito anche bello - oj de; ka[gaqo" au[tika kai; kavlo" e[ssetai  (fr. 50 Voigt)
La kalokajgaqia:
Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabilidi Filippo Ottonieri ).
L'importanza capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di Recanati nello Zibaldone ( 2546-2547): "Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete



[1] F. Dostoevskij, La mite, p. 8.
[2] Cfr. Miles gloriosus di Plauto l’ancilla paraninfa dice al Miles:"dum te obtuetur, interim linguam oculi praeciderunt" (v. 1271), mentre Acroteleuzia ti guardava nel frattempo gli occhi le hanno tagliato la lingua. 
[3]Per quanto riguarda Catullo in particolare, possiamo ricordare il carme 76 (v. 26) dove il poeta in cambio della sua pietas  e della sua fides  chiede la salute (v.26) :"O di, reddite mi hoc pro pietate mea ", o dei datemi questo in cambio della mia devozione.
[4] Il mestiere di vivere , 29 settembre 1946

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