Democrazia imperialistica e prepotente
(Tucidide)
Pericle, nell’ultimo discorso che Tucidide gli
attribuisce, dice agli Ateniesi: “turannivda ga;r h[dh e[cete aujth;n, h}n labei'n me;n a[dikon dokei' ei\nai, ajfei'nai
ejpikivndunon” (II, 63, 2) avete un potere che è oramai una
tirannide che può sembrare ingiusto prendere ma pericoloso
abbandonarla
Tucidide quindi fa dire a Cleone "turannivda
e[cete th;n ajrchvn", (III 37, 2), avete un impero che è una
tirannide la quale per
reggersi deve usare la forza e bandire la compassione.
La logica del tiranno non può permettergli alcuna
“opra pietosa”[1]. Lo dichiara Agamennone nell’Aiace di
Sofocle: “tov toi tuvrannon eujsebei'n ouj rJa/dion” (v. 1350), non è facile che un tiranno sia anche una persona pia. Insomma
tirannide e pietà sono incompatibili.
Lo stesso vale per la tirannide collettiva di una
città.
Democrazia aristocratica un ossimoro sul tipo del
comunismo aristocratico (Platone)
La democrazia ateniese del tempo di Pericle, nel
discorso epitafico di Aspasia riferito da Socrate nel Menesseno di
Platone è invece un’aristocrazia con il consenso della massa: “met j
eujdoxiva~ plhvqou~ ajristokrativa”
(238d) ed è un regime educativo (trofh; ajnqrwvpwn), tale che non esclude nessuno per debolezza sociale, né per povertà,
né per oscurità dei padri; e neppure preferisce alcuno per i motivi contrari.
I medesimi pregi vengono attribuiti alla “sua”
democrazia dallo stesso Pericle nel logos epitafios che gli fa
pronunciare Tucidide in Storie II 35 sgg. quando lo stratego
celebra con un elogio i caduti nel primo anno di guerra
e Atene, la scuola dell’Ellade (II, 41).
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