Gilbert Bayes, Ananke |
La Necessità in Omero, nella tragedia, in certi storiografi e in
Platone. Poi in alcuni sommi moderni
"Edipo
è la tragedia della 'colpa incolpevole' e della predestinazione. Gli dèi avvertono
lealmente il protagonista che il fato gli ha destinato il ruolo di parricida e
di marito della propria madre. Egli è padrone del suo arbitrio, ha la piena
libertà d'azione e di scelta. Gli dèi non intervengono, si limitano a guardare.
Aspettano che egli abbia commesso l'errore, e allora lo puniscono. Gli dèi sono
giusti: puniscono l'eroe per un crimine che egli realmente ha commesso, e lo
puniscono solo dopo che l'ha commesso. Ma il punto è che l'eroe doveva commettere
il delitto. Edipo voleva ingannare il destino, ma non è sfuggito al Fato. Non
ha potuto sfuggirgli. E' caduto nel tranello, ha commesso l'errore, ha ucciso
suo padre e sposato sua madre. Quel che doveva accadere, accade (…) Il Fato
sconfigge Edipo senza miracoli (…) Immaginiamo un cervello elettronico che
giochi a scacchi (…) L'uomo deve giocare a scacchi col cervello elettronico,
non può abbandonare il gioco, non può interromperlo e deve perderlo.
Perde giustamente, nel senso che perde secondo le regole del gioco e perché
commette un errore. Tuttavia non poteva vincere"[1].
la
Necessità nella tragedia è una forza ineluttabile. Non così nell'Odissea
dove si trovano affermazioni della responsabilità umana: Zeus stesso chiarisce
che gli uomini sbagliano attribuendo agli dèi le cause dei loro mali i quali
invece derivano dalle loro colpe (I, 32 e sgg.).
Secondo
Eschilo invece alla parte (Moira ) assegnata dal destino nemmeno
Zeus può sfuggire ( Prometeo incatenato , v. 518).
lo stesso
benefattore tecnologico deve ammettere:
"la tecnica è molto più debole della necessità"(514).
Questo
predominio del fato non risparmia nessuno, e il martire aggiunge, consolandosene,
che nemmeno Zeus "potrebbe in
alcun modo sfuggire alla parte che gli è stata assegnata"( th;n
peprwmevnhn 518)
dalla necessità il cui timone è retto dalle Moire e dalle Erinni che sono le
dee venerande della vendetta,
Il Titano
riconosce l’onnipotenza della necessità"Eppure che dico? Conosco in
anticipo tutto/esattamente come accadrà, né alcuna pena mi/raggiungerà
inaspettata: ma il destino assegnato è necessario/sopportarlo il più facilmente
possibile, sapendo che/la forza della necessità è ineluttabile"(101 - 105).
Il doloroso
grido "io ho presofferto tutto" sarà ricorrente nella letteratura
europea: nell'Eneide il pio eroe risponde così alla Sibilla che gli ha
preconizzato disgrazie:"non ulla laborum,/o virgo, nova mi facies
inopinave surgit;/omnia praecepi atque animo mecum ante peregi "(VI,
103 - 105), nessun aspetto delle fatiche, vergine, mi si presenta nuovo o
inaspettato: io ho presofferto tutto e ho compiuto in anticipo dentro di me con
la mente.
Anche il
Tiresia di Eliot ha presofferto tutto :"and I Tiresias have
foresuffered all ", ed io Tiresia ho presofferto tutto (The
waste land , v. 243).
Nell'Agamennone
di Eschilo si legge:"to; mevllon hJvxei"(1240), "quello
che deve accadere accadrà", ossia quello che avviene, avviene
necessariamente.
Alla fine
dell' Ifigenia in Tauride di Euripide Atena ex machina approva
Toante, che obbedisce ai suoi ordini, dicendogli:" aijnw': to;
ga;r crew;n sou' te kai; qew'n kratei'" (v. 1486), infatti la necessità domina su te e
sugli dèi.
. Nell'Edipo
re Tiresia avvisa Edipo che la sua ira da tiranno davanti alle parole
profetiche è inutile:" infatti esse si
compiranno (h{xei) anche se io le copro con il
silenzio" (v. 341).
L'Alcesti
di Euripide può essere
chiamata la tragedia della necessità. Nel secondo episodio il corifeo ricorda
al re Admeto, il quale ha perso l'ottima sposa, che è necessario sopportare
queste disgrazie: "ajnavgkh tavsde sumfora;" fevrein (v. 416) in quanto il morire è un debito per tutti noi mortali.
Nel terzo
stasimo poi i coreuti elevano addirittura un inno alla Necessità, vista come la
divinità massima, quella che vincola e subordina tutti gli dèi: "Io
attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ pur avendo toccato moltissimi
ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn, v. 964)/ non ho trovato niente più
forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka" - hu|ron
oujdev ti favrmakon , vv. 965 - 966)/nelle
tavolette tracie che/scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli
Asclepiadi Febo/dopo averli tagliati come antidoti/per i mortali afflitti dalle
malattie./ Di questa sola dèa/non è possibile recarsi agli altari,/né alle
statue, né ascolta i sacrifici./Signora, non venire da me/ più potente di prima
nella vita./Anche Zeus infatti, qualunque cosa decida,/con te la porta a
compimento (su;n soi; tou'to teleuta'/, v. 979)./Tu domi con la tua
forza/anche il ferri dei Calibi,/e non ha ritegno/il tuo volere scosceso.(vv.
962 - 983)
Non c'è
medicina dunque, non c'è alcuna forza in grado di opporsi a tale potenza la
quale sembra travolgere Admeto che il coro tenta di consolare :" kai; s jejn
ajfuvktoisi cerw'n ei\le qea; desmoi'""(v. 985), La
dea ha preso anche te nei nodi inestricabili delle sue mani.
Nel secondo
stasimo dell'Edipo re vediamo che tutte le tirannidi sono zoppe e cadono
necessariamente: "la prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/ se
si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni e non convengono
(mhde; sumfevronta)[2]/salita
su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di
valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw / - crh'tai "(vv. 873 - 879).
Nell’Oedipus di Seneca il quinto e ultimo
canto del Coro riconosce l'onnipotenza del Fato:"Fatis agimur: cedite
fatis./Non sollicitae possunt curae/mutare rati stamina fusi./Quidquid patimur
mortale genus,/quidquid facimus, venit ex alto; servatque suae decreta
colus/Lachesis, dura revoluta manu. " ( vv. 979 - 985), siamo
mossi dal fato, arrendetevi al fato. Non possono gli ansiosi affanni cambiare
gli stami del fuso immutabile. Tutto quanto noi, stirpe mortale, subiamo, tutto
quanto facciamo, viene dall'alto; e Lachesi rispetta i decreti della sua
conocchia filati da mano inflessibile.
Tutto dunque è prestabilito.
Procediamo
con il quinto Coro dell'Oedipus :"Omnia certo tramite
vadunt,/primusque dies dedit extremum./Non illa Deo vertisse licet,/quae nexa suis
currunt causis./It cuique ratus, prece non ulla/mobilis ordo./Multis ipsum
metuisse nocet./Multi ad fatum venere suum/dum fata timent" (vv. 988 -
994), tutto procede su un percorso fissato, e il primo giorno ha già stabilito
l'ultimo. Nemmeno un dio potrebbe cambiare gli eventi che corrono connessi alle
loro cause. Va avanti per ciascuno un ordine determinato che non è mutabile da
alcuna preghiera. A molti nuoce temere il destino. Molti arrivarono al destino
mentre temono il destino.
Si può
pensare alla canzone Samarcanda di Vecchioni.
To; de;; movrsimon ouj par - fuktovn, il destino
non è schivabile, sentenzia Pindaro nella Pitica XII (vv. 30
- 31).
Tutto quanto riceviamo, ci spetta in quanto è dovuto
al nostro carattere, alla nostra storia, alla series causarum che
risale alla nascita del mondo[3]: questa è la presa di coscienza dell'uomo intelligente e pio. "In
verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato 8…) Tu stesso, povero uomo
pauroso, sei la Moira incoercibile, che troneggia anche sugli dèi, per tutto
ciò che accade; tu sei la benedizione o la maledizione e in ogni caso la catena
in cui ancje il più forte giace legato; in te è predeterminato tutto il futuro
del mondo umano, non ti serve a nulla che tu provi orrore di te stesso”"[4] .
Altre testimonianze si potrebbero dare sul fato, ma ci
limitiamo a poche espressioni particolarmente efficaci e sintetiche:"quae
fato manent quamvis significata non vitantur "[5], quello che spetta al fato, anche se preavvertito non si evita, scrive
Tacito a proposito della morte preannunciata a Galba.
Possiamo concludere la rassegna con alcuni versi
dell'Elegia alle Muse del saggio Solone:"ta; de;
movrsima pavntw"/ou[te ti" oijwno;" rJuvsetai ou[q j iJerav"(vv. 55 - 56), in ogni caso il destino né un auspicio né i sacrifici
lo terranno lontano. E più avanti (v.63):"Moi'ra dev
toi'" qnhtoi'si kako;n fevrei hjde; kai; ejsqlovn", è il destino che porta ai mortali il bene ed il male.
Certo è che l'accettazione del destino è uno dei
massimi insegnamenti : questo significa il giusto riconoscimento d'una
giustizia insita nelle cose stesse.
Tra gli
storiografi Erodoto sopra tutti crede, come Sofocle, negli oracoli
e nella necessità insita nei loro vaticini
La profetessa delfica, la Pizia, disse ai messi di
Creso che non è possibile neppure a un dio sfuggire al fato:"th;n
peprwmevnhn moi'ran ajduvnatav ejsti ajpofugei'n kai; qew'/" (I, 91).
Ammiano Marcellino ricorda quanto il suo imperatore (361 - 363) Giuliano Augusto desse
importanza agli auspici e commenta: I vaticini dicevano che Costanzo sarebbe
morto tra breve e Giuliano si preparava ad attaccarlo. Gli auspici si traggono dagli uccelli non
perché loro conoscano il futuro sed volatus avium dirĭgit deus (21, 1, 9). Anche il rostrum sonans dà segni. Anche
le viscere degli animali (exta pecŭdum). Inventore di questa aruspicina fu Tagete che balzò
improvvisamente dal suolo in terra etrusca.
Quando sono in effervescenza (cum aestuant)
anche i corda hominum prevedono il futuro ma per loro bocca
parla la divinità.
Il sole è
la mens mundi, ut aiunt physici, e rende coscienti le nostre menti
che sparge da séstesso come scintille nostras mentes ex sese velut
scintillas diffundĭtans, quando le incendia con maggiore violenza (21, 1, 11).
Più
ineluttabile è dunque la Necessità nei poeti drammatici che nell'Odissea .
Nella Repubblica di Platone troviamo una
controtendenza.
Il mito di Er, sostiene che l'asse
dell'Universo è il fuso di Ananche (Repubblica , 616c)
il quale si volge sulle ginocchia (617b) di lei, madre delle Moire :
Cloto, Atropo e Lachesi che assegna le parti. Queste vengono scelte dalle anime
in prossimità di intraprendere un'altra vita: “" oujc
ujma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe"(617e): non sarà il demone a
sorteggiare voi, ma voi sceglierete il demone; esse sono del resto segnati
dalle esperienze dell'esistenza precedente: Aiace per esempio si scelse la vita
di un leone per il ricordo del giudizio delle armi,
Agamennone
"per avversione al genere umano e i dolori sofferti prese in cambio la
vita di un'aquila"(620b). Odisseo, guarito da ogni ambizione per il
ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e tranquillo
("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", 620c). Qui comincia
l'ellenismo.
Comunque il
libero arbitrio non è annientato: Lachesi sostiene che la virtù è senza padrone
(ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda che la apprezzi o la
disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta, non la divinità. Parola di Lachesi, la vergine
figlia di Ananche:" "jAnagkh" qugatro;" kovrh"
Lacevsew" lovgo"".
Tra i
moderni Victor Hugo nella
prefazione a Notre Dame de Paris racconta: "l'autore di questo
libro trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a
mano sul muro: ANAGKH". E conclude:"Proprio su quella parola si è fatto
questo libro".
Musil trasforma il fatis agimur nell'essere in balìa delle
cose:" Si direbbe che ad ogni istante noi abbiamo in mano gli elementi, e
la possibilità di fare un progetto per tutti (…) Ma purtroppo non è così. Siamo
noi, invece, in balìa delle cose".[6]
Calzanti sul fatalismo ci sembrano queste parole
di Tolstoj:"Dunque
tutte queste cause - miliardi di cause - hanno agito in concomitanza per dar
luogo a ciò che accadde. Di conseguenza, nulla fu causa isolata ed esclusiva
dell'evento, ma l'evento dovette verificarsi semplicemente perché doveva
verificarsi." Si tratta della campagna napoleonica di Russia in Guerra e Pace (p.909). Poco più
avanti (p. 912) l'autore conclude il capitolo con queste parole:"Ogni
azione compiuta da costoro, e che ad essi sembra un atto di libero arbitrio, in
senso storico è tutt'altro che arbitraria, ma viene a trovarsi in connessione
con tutto il corso della storia ed è predestinata ab aeterno ".
Kutuzov,
l'antagonista di Napoleone aggressore della Russia è, nel grande romanzo epico
di Tolstoj un cultore della necessità: "Kutuzov
non si farà prendere la mano da nulla di personale, non escogiterà nulla, non
intraprenderà nulla - pensava il principe Andrej - ma ascolterà tutto,
ricorderà tutto, metterà tutto al suo posto, non impedirà nulla di utile e non
permetterà nulla di dannoso. Egli capisce che c'è qualcosa di più forte e
importante della sua volontà: è il corso inevitabile degli eventi (... ) Ma
soprattutto quello che ti fa credere in lui è il fatto che è russo[7].
Kutuzov
"sapeva che non bisogna cogliere la mela finché è verde. Cadrà da sé
quando sarà matura, ma se la cogli verde, rovinerai la mela e l'albero e ti si
allegheranno i denti"(p.1541).
Infine la parabola del guardiano
della legge e dell'uomo di campagna raccontata dal prete nel Duomo del Processo
di Kafka si conclude
con l'affermazione della potenza della necessità:"Non si deve credere che
tutto è vero, si deve credere che tutto è necessario"(p.226).
giovanni
ghiselli
p. s
6 gennaio
2019 Alla fine di questo mese il mio blog compirà 7 anni
Visualizzazioni di pagine: tutta la cronologia
862.283.
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Saluto i
nuovi lettori finlandesi con rinnovata simpatia per la Finlandia
|
[3] Seneca nel De
beneficiis scrive che Giove può essere chiamato anche fatum,
“cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum” (4.7).
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