manoscritto di Proust |
Per la notte dei Licei, Liceo classico M. Tondi di San Severo
Disumane, o troppo umane, comunque rovinose, sono gelosia, possessività e
invidia
L'amore maturo significa un'uscita dalla gelosia e
dalla possessività.
Amare una persona rispettandola dunque significa
osservarla senza la pretesa di cambiarla, contemplarla come si può fare con un
paesaggio o un tramonto.
Alla fine dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per la guarigione.
Vediamo: "appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena
rivedeva bontà nel suo sorriso (...) il suo amore ridiventava soprattutto un
gusto delle sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava
nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno,
l'alzarsi di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono
di voce" (Proust, Dalla parte di Swann, p. 322).
Una soluzione del genere si trova in La Noia
di Moravia: "insomma,
lei non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com'era, cioè
contemplarla, allo stesso modo che contemplavo l'albero attraverso i vetri
della finestra"[1]. Romanzo del 1960. Dino e Cecilia vivono una vicenda con alcuni aspetti
che ritornano, approfonditi, nel successivo romanzo Un amore di
Buzzati.
Anche il protagonista di Un amore di Buzzati arriva alla comprensione
e alla compassione per la ragazza che l'aveva fatto soffrire, quando c’erano
stati dei conflitti tra loro, osservandola sine ira et studio :"
dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a lui un senso di pietà e
di pace, una specie di invisibile carezza"[2]. Il borghese Antonio Dorigo, un cinquantenne guarda la ragazza Laide
conosciuta in un bordello di lusso della quale poi si era innamorato soffrendo
per la gelosia, e quando lei dice: “Io voglio avere una bambina”, lui pensa: “i
loschi miti fra cui era andata marcendo - ambigua e crudele selva - non le
appartenevano”. Insomma la guarda, la vede com’è, la rispetta (cfr. respicio).
Il romanzo è ambientato a Milano nel 1960. pubblicato nel 1963. In entrambi
questi romanzi c’è la difficoltà di conciliare la vita borghese con l’amore.
Già T. Mann aveva narrato e notato questa aporia nel
romanzo del 1901
I Buddenbrook (1901).
La Zambrano suggerisce
di uscire dalla caverna del proprio io per il superamento dell'amore come
invidia dell'altro. "ben presto nell'amore l'altro si trasforma in uno.
L'invidia, invece, conserva ostinatamente l'alterità dell'altro, senza
permettergli di raggiungere la purezza dell'uno. E mantenendo l'altro, l'avidità
aumenta sino alla frenesia (…) la differenza tra l'invidia e l'amore sembra
trovarsi nella visione: l'amore vede l'altro come uno; l'invidia vede ciò che
potrebbe essere uno come l'altro (…) L'invidioso, che sembra vivere fuori di
sé, è un individuo immerso nel proprio intimo: invidere, già nella
sua composizione, dichiara il dentro che c'è in quel guardare l'altro. Guardare
e vedere un altro non fuori, non dove l'altro sta realmente, ma in un dentro
abissale, un dentro allucinato che si confonde con la solitudine, dove non
trova il segreto che ci fa sentire noi stessi"[3].
L'invidia si supera trovando la propria
identità:"se cerchiamo l'identità di essere qualcuno al di sopra e al di
là di quello che ci accade e di quello che viviamo, allora non potrà nascere
l'invidia. Perché l'invidia è passione dell'altro, passione dell'identità
dell'altro, passione della libertà dell'altro, nella propria vacillante unità e
libertà"[4].
Umano è adoperarsi per gli altri
La publica salus deve importare al re
assolutamente.
Nell'Edipo re il figlio di Laio dice: "ma
se ho salvato questa città, non mi importa" (v. 443). Qui sta la sua
grandezza e questo è il significato più vero e utile della tragedia sofoclea:
l'impiego del dolore per il vantaggio, la bellezza, la salvezza propria e della
comunità. Chi riesce a fare questo è un uomo, e chi assiste alla metamorfosi
del pavqo" in mavqo" diventa migliore. Il poeta scrive per tale risultato che dà senso
alle sue parole e alle danze del coro. Sofocle asserisce che il compito del
drammaturgo è condurre chi ascolta e vede le tragedie a una visione religiosa
dell’esistenza: Edipo e Giocasta in una fase dell’Edipo re sono i
rappresentanti di quel pensiero laico - sofistico cui Sofocle si oppone con
tutta la sua produzione poetica, e più che mai con questo dramma, dove il coro,
portavoce dell'autore, durante il secondo stasimo, domanda:"Se infatti
tali azioni sono onorate,/ perché devo eseguire la danza sacra?"(vv.895 - 896).
Se gli oracoli vanno in malora e Apollo è dimenticato, tutti gli dei tramontano
(v.910); allora la stessa rappresentazione tragica, che fa parte della liturgia
religiosa, perde ogni significato e diviene assurda.
La formulazione latina del dovere di adoperarsi per
gli altri si trova in un'epistola di Seneca:" Vivit is qui
multis usui est, vivit is qui se utitur "[5], vive chi si rende utile a molti, vive
chi si adopera.
Bisogna
cogliere i nessi.
Tutta la natura è
imparentata con se stessa ed è disumano l’odio di una parte per l’altra
Tutta la natura è imparentata con se stessa scrive
Platone nel Menone (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'"
ou[sh", 81d).
Dostoevskij
fa dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'Oceano; tutto scorre e
interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si
ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere
perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere
creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora,
la vita sarebbe certo migliore"[6].
“Per
una misteriosa simpatia delle
cose d'intorno, quasi che cielo e terra fossero tristi della tristezza di quei
due esseri umani, il cielo d'un subito si schiarì e un'ondata di sole scese
dall'alto, investì la foresta, rise sopra ogni foglia verde, colorì d'oro ogni
foglia morta, accarezzò teneramente i vecchi tronchi grigi e rugosi (…)
L'amore, sia quando nasce, sia quando risorge da un letargo che era sembrato
mortale, sprigiona tanta luce che tutto il mondo d'intorno se ne accende; ma
quand'anche sulla foresta si fosse disteso ancora il livido cielo di dianzi,
essa sarebbe apparsa egualmente inondata di sole agli occhi di Hester e di
Dimmesdale" (La lettera scarlatta[7],
p. 161). I due sono gli amanti adulteri. La lettera scarlatta, the
scarlet letter è A di Adultery o Adulteress.
Innaturale è
dunque l'odio tra gli uomini.
Il medico
del Macbeth, vedendo la regina malata e udendola sussurrare parole
orrende, fa la sua diagnosi:"Unnatural deeds do breed unnatural
troubles" (V, 3), atti innaturali generano turbamenti innaturali.
Innaturale
qui è stato il delitto generato dall'ambizione.
Del tutto innaturale e disumano è l’odio tra i maschi e le femmine umane.
Contro natura è l’odio tra le femmine e i maschi che
la propaganda di gente interessata cerca di aizzare e rinfocolare.
Il consumismo, l’adorazione della merce, come quella
dei capi, è tutto sesso andato a male, che diventa acido (“is simply sex
gone sour[8])
Le donne non sono nemiche degli uomini ma questi le rendono tali
Menandro con l’Arbitrato ci fa
capire che in natura niente è tanto congeniale come l'uomo e la donna. Come
poeta d'amore[9] il massimo autore della commedia nuova non può trascurare o biasimare
tale inclinazione reciproca.
L'inimicizia
delle donne nei confronti degli uomini ha avuto, almeno in passato, la genesi
che Seneca attribuisce
a quella degli schiavi per i padroni:"non habemus illos hostes, sed
facimus (Epist. ad Luc. , 47, 5), non li abbiamo nemici, ma li
rendiamo tali.
Nell’Ifigenia in Aulide Clitennestra cerca di farlo capire al marito
Agamennone che intende uccidere la loro figliola
Clitennestra
lo accusa : hai ucciso il mio primo marito, Tantalo[10]
e hai strappato dal mio seno e sfracellato al suolo il bambino avuto da lui
I miei
fratelli Dioscuri volevano punirti, ma mio padre Tindaro ti salvò e così mi
sposasti. Quindi sono stata una moglie irreprensibile (a[mempto~
gunhv). Una fortuna
per te: una moglie siffatta è spavnion qhvreum j (1162) raro bottino, mentre non c’è spavni~, penuria di spose cattive.
Ti ho dato
un maschio, Oreste, e 3 figlie: Ifigenia, Elettra, Crisotemi.
Come credi
che reagirò se me ne toglierai una; quali sentimenti pensi che avrò, vedendo
vuoti i seggi di Ifigenia ? Lascerai odio (mi`so~, 1179) partendo, e al ritorno
basterà un lieve pretesto per farti avere l’accoglienza che meriti. Allora,
continua Clitennestra, non costringermi per gli dèi a diventare cattiva nei
tuoi confronti, e non diventarlo tu ( mh; dh'ta pro;" qew'n mhvt j
ajnagkavsh/" ejme; - kakh;n genevsqai peri; se, mhvt aujto;" gevnh/, Ifigenia in Aulide, 1183 - 1184).
Nell’Elettra di Euripide del 413, Clitennestra si giustifica dell'assassinio
di Agamennone davanti ai figli in procinto di ucciderla, ricordando loro i
torti subiti dal marito, giustiziato dunque, per le sue numerose malefatte.
Intanto uccise la primogenita in maniera spietata:"leukh;n dihvmhs j[11] jIfigovnh" parhΐda " (v. 1023), lacerò la bianca
guancia di Ifigenia. E non lo fece per difendere la sua città o per salvare
altri figli, ma per recuperare Elena che schiumava di lussuria (mavrgo~ h\n, era dissoluta, v. 1027) e Menelao
era incapace di punire una moglie infedele. Inoltre quel “buon” marito tornò a
casa portandosi dietro una menade invasata[12] e
la infilò nel letto ("mainavd j e[nqeon kovrhn - levktroi" t j ejpeisevfrhke[13]", vv. 1032 - 1033).
[9] "Fabula iucundi nulla est sine amore Menandri", nessuna commedia del piacevole Menandro è senza amore, ricorda Ovidio
(Tristia , II, 369).
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