XI Capitolo
Gli autori della commedia nuova, Filemone Difilo e Menandro, quali epigoni
di Euripide compirono l’opera di annientamento del mondo eroico della tragedia.
Nelle Rane di Aristofane c’è un dibattito letterario sulla
tragedia. Euripide si vanta di averla snellita liberandola dalla enfatica
corpulenza della quale la aveva oberata Eschilo. Dalle Rane parte
la linea critica che prosegue con A. W. Schlegel e Nietzsche.
Euripide ha portato lo spettatore sulla scena. Predomina il quinto stato:
quello dello schiavo. Euripide non ebbe successo siccome non rispettava il
pubblico.
XII Capitolo
Eppure con le Baccanti il tragediografo ebbe una
resipiscenza, come il personaggio Cadmo del dramma. Ma per entrambi era troppo
tardi (ojyev, Baccanti, v.1344).
La potenza demoniaca che uccise Dioniso era quella di Socrate e il suo
profeta fu Euripide nelle cui tragedie non c’è né l’apollineo come calma
contemplazione, né il dionisiaco come sentimento dell’unità.
Euripide portò nell’estetica il socratismo etico: “tutto deve essere
razionale e cosciente per essere bello” invece che “ cosciente per essere
buono”, come in Socrate.
Ma Fedra nell’Ippolito (380-385) dice il contrario.
Secondo Dodds, Euripide è addirittura il principale poeta
dell’irrazionalismo.
Pohlenz mette in rilievo il prevalere dello qumov" in Medea (L’uomo greco,
p. 624). Bodei in Geometria delle passioni (p. 231), rileva
che Euripide si oppone all’intellettualismo etico di Socrate
Il prologo euripideo e il suo deus ex machina esemplificano-secondo
Nietzsche- questa volontà di razionalizzazione.
Su Euripide filosofo:“Il grande e ardimentoso Euripide osò fare sentire la
parola di Anassagora attraverso la maschera tragica” (Nietzsche, La
filosofia nell’età tragica dei greci, del 1873)
Platone parla per lo più ironicamente della maniva dei poeti secondo
Nitetzsche. Ma non così nel Fedro.
XIII Capitolo
Socrate collaborò con Euripide nel comporre le tragedie (Diogene Laerzio
II, 5, 18). I due contribuirono a corrompere il popolo.
Leopardi considera Socrate un sofista sebbene Platone lo presenti come il
“bello e casto parlatore, l’odiator de’ calamistri e de’ fuchi e d’ogni
ornamento ascitizio e d’ogni affettazione (Zibaldone 3474).
Socrate biasima quanti agiscono per istinto.
Socrate è il nemico dell’istinto, come un demone che con un maligno pugno
di ghiacchio distrugge il mondo ridente (cfr. il Faust di
Goethe, I parte, Studio)
Socrate è il non mistico la cui natura logica è per superfetazione
sviluppata in maniera abnorme. Il suo demone lo dissuadeva sempre, non lo
spingeva mai in avanti (Platone, Apologia di Socrate, 31).
XIV Capitolo
Il grande occhio ciclopico di Socrate puntò la tragedia e vi
trovò, con ripugnanza , l’irrazionale
Capiva solo la favola esopica che mise in versi.
Il suo allievo Platone nella Repubblica (377 sgg.) compila
un indice dei libri e dei passi proibiti, soprattutto relativamente al mito (di
Omero ed Esiodo in particolare). Nel Timeo, Platone afferma che il
dio non può essere che buono. Tuttavia Platone sentiva una necessità artistica:
allora bruciò le sue poesie e creò una sua forma d’arte: il dialogo. Ma qui la
poesia diventa ancilla della filosofia.
Il coro decade già con Sofocle: non è più il personaggio principale ma uno
dei tanti.
XV Capitolo
L’ombra di Socrate si è allungata sulla posterità come si estendono le
ombre al tramonto. Poi la civetta di Minerva spicca il volo. E’ allora che la
civetta di Minerva spicca il volo. Comunque i Greci sono ancora gli aurighi
della nostra cultura.
Socrate distrusse la tragedia e fu il mistagogo della scienza, iniziò
l’umanità ai suoi misteri.
Ma la scienza giunta al suo limite riporta al mito (cfr. il buco nero)
XVI Capitolo
La musica è l’immagine della stessa volontà, non dell’apparenza che compare
nel velo di Maya. L’eroe è la più alta immagine dell’apparenza e la sua morte
non ci addolora perché egli è solo apparenza, e la vita eterna della volontà
non viene toccata dalla sua distruzione
XVII Capitolo
L’arte dionisiaca dunque ci dà una consolazione metafisica.
I Greci sono eterni fanciulli (cfr.Platone, Timeo, 22b) e non
sanno quale sublime giocattolo abbiano creato poi distrutto. E’ stato
l’ottimismo della scienza a uccidere la tragedia. Del resto la scienza quando
raggiunge il limite estremo torna al mito, quindi alla tragedia (Cfr. Il Frankestein di
Mary Shelley). Eschilo rappresenta scontri di civiltà (matriarcato contrp
patriarcato che prevale). Sofocle limita la visuale allo scontro di caratteri
interi raffigurati con finezza psicologica. Euripide si limita a tratti
caratteristici, e, infine, i suoi epigoni della commedia attica rappresentano
solo maschere con un’unica espressione. Sofocle nell’Edipo a Colono annuncia la
consolazione metafisica (v. 394). Euripide la sostituisce con il
deus ex machina.
XVIII Capitolo
A Socrate, Euripide, e alla Commedia nuova, segue e consegue la cultura
alessandrina dell’uomo teoretico. Una cltura che a lungo andare disgusta chi la
pratica, come si vede nel Faust di Goethe, tragedia e
personaggio. Una cultura che per durare necessita di una classe di schiavi. Una
cultura che accumula sapere senza giungere alla sapienza (cfr. Euripide, Baccanti,
395). Essa che elimina lo stupore, e non è capace di benedire la vita in tutta
la sua durezza e crudeltà, come la tragedia. Già l’Edipo di Sofocle la anticipa
l’uomo teoretico esaltando la propria gnwvmh (Edipo re,
398) ma Sofocle lo confuta. La cultura alessandrina non potenzia la natura di
chi la crea e non sa trattare come vivo ciò che è vivo. Mortifica piuttosto. Le
manca la capacità di creare e der Wille zum Leben, la
volontà di vita.
XIX Capitolo
L’opinione che la parola debba prevalere sulla musica, come avviene nel
recitativo, è rozza. Nel Rinascimento, alla fine del ‘500 invero nella Camerata
fiorentina Bardi, nasce il melodramma. Il suo protagonista è l’uomo idillico,
il pastore che deriva dalla cultura ottimistica socratico alessandrina ed esala
un profumo dolciastro. Un essere bamboleggiante. Ma con la musica tedesca di
Bach, Beethoven e Wagner risorge la tragedia antica. Eracle non rimane sempre
infiacchito nella voluttuosa soggezione a Onfale (cfr. Trachinie,
70)
XX Capitolo
Winckelmann con la sua edle Einfalt und stille Grösse (Storia
dell’arte antica, 1764), nobile semplicità e quieta grandezza, non è giunto
al nocciolo della cultura greca. Nemmeno Schiller
e Goethe sono saliti sulla montagna incantate
ellenica, der Zauberberg. Sono rimasti allo sguardo nostalgico di Ifigenia
confinata in Tauride.
Vediamo alcune espresssioni della nostalgia di Hölderlin nell’Iperione[1]: Iperione
a Bellarmino: “Vivo ora nella cara Salamina, l’isola di Aiace. Amo questa
Grecia sopra ogni altra cosa. Essa porta i colori del mio cuore. Ovunque si
guardi giace sepolta una gioia (…) le cime degli alberi, serene e luminose, si
levano piene di speranza, a migliaia, dal profondo del bosco (…) le montagne si
innalzano una dietro l’altra all’infinito, simili a gradimi, fino al sole.
Tutto il cielo è puro. (pp. 70-71)
“Nessun popolo della terra fu, sotto ogni aspetto, meno ostacolato nella
sua crescita e più libero da influssi violenti del popolo ateniese. Nessun
conquistatore lo indebolì, nessuna vittoria lo inebriò, nessun culto straniero
ne offuscò la coscienza, nessuna frettolosa saggezza lo spinse a una maturità
precoce. La sua infanzia fu lasciata a se stessa, come un diamante in
formazione (…) A questo s’aggiunse il gesto grande e ammirevole di Teseo: la
spontanea limitazione del potere regale”.
Nella cultura attuale Schopenhauer è paragonabile al cavaliere
dell’incisione a bulino di Dürer ( 1513) che procede imperturbato dai suoi
orrendi compagni-la morte e il diavolo-, solo con il destriero e il cane .
XXI Capitolo
Apollo è il formatore di Stati, Dioniso induce all’estasi. Partendo da
Apollo si può giungere alla volontà di potenza imperialistica dei Romani,
partendo da Dioniso al buddismo indiano che aspira al nulla. Ebbene i Greci
posti tra Oriente e Occidente non si esaurirono in una meditazione estatica né
in una caccia alla potenza del mondo. La loro è una mikth; paideiva, mista di apollineo e
dionisiaco.
La musica sembra negare l’esistenza individuale in quanto dà voce alla
volontà universale. Ma la forza apollinea ripristina l’individuo.
Tristano dice “Oed’ und leer das Meer” (Tristan und Isolde,
I, 5-8). L’apollineo ci solleva dall’orgiastico annullamento di sé. Alla
fine Dioniso si afferma, però Apollo non sparisce e i due dèi sono affratellati
XXII Capitolo
Schlegel sostiene che il vero elemento tragico è la lotta dell’eroe contro
il destino tetro e implacabile. Aristotele che effetto della tragedia sia una
scarica di pathos, una scarica patologica, quasi un fenomeno della medicina.
Queste sono pretese mezze morali, mezze erudite di critici non estetici. Ma lo
spettatore estetico, sensibile all’arte vede l’artista tragico che simile ad
Apollo crea figure, poi con il suo enorme istinto dionisiaco le ingoia. Al
critico saccente e inestetico si affianca il gazzettiere, il professore
funzionario della scuola, e la critica viene strumentalizzata come tessuto
connettivo di una socievolezza egoistica tipo quella dei porcospini della
parabola di Scopenhauer.
XXIII Capitolo
Il mito
Lo spettatore socratico-critico non è in grado di comprendere il mito,
immagine concentrata del mondo. Senza il mito ogni civiltà perde la sua sana
forza creativa. All’annichilimento del mito segue un’educazione astratta, un
costume astratto, un diritto astratto (cfr. quello che dice il centauro Chirone
nel film Medea di Pasolini.
A dire il vero Socrate non è ascrivibile a questa cultura antimitica: cfr.
il prologo del Fedro 230a)
Sotto questa vita civilizzata si cela una forza antichissima e sana dalla
quale è scaturita la Riforma tedesca, come primo richiamo dionisiaco
(ma in Ecce homo del 1888: “il monaco fatale ha
restaurato il cristianesimo questa negazione della volontà di vita diventata
religione”).
Ora bisogna tornare ai Greci, al mito e alla tragedia. Il mito collegato al
presente lo fa apparire sub specie aeterni. Un popolo e pure un
uomo valgono solo se sanno imprimere alle loro vicende l’impronta dell’eterno.
La vittoria nell’ultima guerra può fare pensare che abbiamo cominciato a
espellere l’elemento neo latino.
XXIV Capitolo
L’arte non è solo mimesi della natura: è anche un supplemento metafisico
della realtà naturale. Il mito tragico ci fa capire che perfino l’orrore è
parte di un gioco artistico, quello di cui ci parla il frammento di
Eraclito “aijw;n pai`~ ejsti
paivzwn, pesseuvwn, paido;~ hJ basilhivh (D.
48). Dunque la forza formatrice del mondo “viene paragonata da Eraclito
l’oscuro a un fanciullo che giocando disponga pietre qua e là, innalzi mucchi
di sabbia e di nuovo li disperda (p. 160) aijwvn (cfr, ajeiv e lat. aevum, è il tempo, la vita,
l’eternità.
L’ottimismo socratico porta a una vita
senza miti, guidata dai concetti. Ma lo spirito tedesco si sta risvegliando
XXV Capitolo
Il dionisiaco suscita all’esistenza anche
l’orrido, e dunque è necessario l’apollineo che rende la vita degna di essere
vissuta.
Cfr. Foscolo: “All’amica risanata (1802,
Antonietta Fagnani Arese): “sorgon così tue dive/membra dall’egro talamo,/e in
te beltà rivive,/l’aurea beltate ond’ebbero/ristoro unico a’ mali/le nate a
vaneggiar menti mortali”.-
La forza di trasfigurazione apollinea
abbellisce il sostrato dionisiaco del mondo. Le rigogliose espressioni di
bellezza intervengono proprio dove le forze dionisiache si levano più
impetuosamente
Se potessimo tornare nella Grecia più
antica, vedendo uomini dall’incedere solenne, dai movimenti leggiadri,
esclameremmo: “Beato popolo degli Elleni! Come deve essere stato grande tra voi
Dioniso, se il dio di Delo ritiene necessari tali incantesimi per guarire la
vostra follia ditirambica!” (p. 162)
Ma un vecchio ateniese guardando con il
sublime occhio di Eschilo potrebbe replicare: aggiungi però questo, tu bizzarro
straniero: quanto dovette soffrire questo popolo per diventare così bello!” (cfr. tw`/
pavqei mavqo~, Agamennone, 177) Qui
piuttosto tw`/ pavqei kavllo".
Fine
giovanni ghiselli
primo gennaio 2020
Pesaro ore 20
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