Salvator Rosa: Ulisse e Nausicaa |
Umanesimo è
amore per l’umanità
Alcuni altri
esempi
Amore e umanesimo
Sentiamo quello
che dicono Nausicaa a Odisseo, poi
Eumeo sempre a Odisseo
La
principessa dei Feaci Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207 - 208) vuole aiutare
Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice queste parole
alle sue ancelle in fuga spaventate dall’aspetto miserabile e orribile di
Odisseo: “to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r
Dio;~ eijsin a[pante~ - xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di
questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur
piccolo è caro.
Le stesse parole (Odissea, XIV, 57 - 59) dice Eumeo il guardiano
dei porci di Itaca quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante
irriconoscibile e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è
suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui.
Odisseo nel
IX canto si era presentato a Polifemo come supplice dicendo:
“zeu;"
d j ejpitimhvtwr iJketavwn te xeivnwn te,
xeivnio", o{" xeivnoisin a{m j aijdoivoisin ojphdei' (270 - 271)
Zeus è il
vendicatore dei supplici e degli stranieri,
Zeus
ospitale che accompagna gli ospiti meritevoli di rispetto
Probabilmente
Odisseo aveva capito le cattive intenzione del selvaggio padrone della spelonca
il quale gli risponde: sei sciocco (nhvpio") straniero o vieni da molto lontano
tu che mi esorti a temere o rispettare gli dèi
Disumano e
contro natura è lo schiavismo
Leggi scritte e leggi di
natura
Antifonte
sofista[6]. Vediamo alcuni frammenti dallo
scritto Sulla Verità:
“Ta; me;n ga;r tw`n novmwn ejpiqevnta, ta; de; th`~
fuvsew~ ajnagkai`a”, Le norme di legge sono aggiunte, quelle di natura
necessarie (simili agli eventa e ai coniuncta di
Lucrezio[7]).
Alcune qualità sono congiunte ai corpi, come il rosso
del sangue (coniuncta in Lucrezio), altre sono accidentali (eventa).
" e[sti de; pavntw" tw'nde e{neka
touvtwn hJ skevyi", o{ti ta; polla; tw'n kata; novmon dikaivwn
polemivw" th'/ fuvsei kei'tai" (Sulla
verità , fr.
B 44 Diels - Kranz), per queste
ragioni soprattutto si svolge la nostra indagine: che la maggior parte di quanto è giusto secondo
la legge si trova in contrasto con la natura.
Sono state emanate leggi per gli occhi, su ciò che
devono vedere e non vedere, per le orecchie, su ciò che devono sentire e non
sentire, e per la lingua, su quanto deve dire e non deve dire e così via. Fino
alla mente su quello che deve desiderare e quello che no.
Fatti di natura, continua Antifonte, sono il vivere e
il morire, e il vivere per gli uomini deriva da ciò che è utile (kai; to; me;n
zh'n aujtoi'" ejstin ajpo; tw'n xumferovntwn) la morte da
ciò che è dannoso. Ebbene riguardo all'utile le prescrizioni sottoposte alla
legge sono ceppi per la natura (ta; me;n uJpo;
tw'n novmwn keivmena desma;
th'" fuvsewv" ejsti), mentre ciò
che è prescritto dalla natura è libero (ta; d j uJpo; th'"
fuvsew" ejleuvqera). E certamente quello che addolora non giova alla
natura, secondo la retta ragione, più di quello che rallegra.
La legge
istituita dunque non è giusta né utile poiché non incrementa ma danneggia la
vita.
Antifonte giunge a conclusioni opposte rispetto a
Callicle, il personaggio del Gorgia platonico il quale
denuncia come innaturale l’uguaglianza.
Antifonte viceversa denuncia come contrarie
alla natura le differenze che le leggi e le usanze stabiliscono tra gli uomini:
"quelli che provengono da una casata non illustre non li rispettiamo né
onoriamo. In questo ci comportiamo come barbari gli uni verso gli altri. Infatti per natura in tutto tutti siamo
costituiti per essere uguali barbari ed Elleni (pavnta pavnte~ oJmoivw~ pefuvkamen kai; bavrbaroi kai; {Ellhne~)…tutti di fatto inspiriamo nell'aria attraverso la
bocca e le narici e tutti mangiamo con le mani "[8].
Tra i
sofisti, oltre Antifonte, Ippia di
Elide denuncia la discrepanza tra leggi della natura e leggi
scritte dagli uomini che sanciscono differenze innaturali.
Nel Protagora di
Platone, il suo personaggio afferma:" to; ga;r
o{moion tw'/ oJmoivw/ fuvsei suggenev" ejstin, oJ de; novmo"
tuvranno" w]n tw'n ajnqrwvpwn polla; para; th; fuvsin biavzetai" (337d), infatti il simile è
parente del simile per natura, mentre la legge, essendo tiranna degli uomini,
in molti casi commette violenze contro natura.
Di nuovo:
contro natura e disumano è danneggiare gli umani
Seneca afferma la
naturalezza e la necessità dell'amore reciproco nell'Epistola 95:"natura nos cognatos edidit,
cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et
sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit; ex illius
constitutione miserius est nocere
quam laedi, ex illius
imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus et in pectore et in ore
sit:
Ita
habeamus: in commune nati sumus.
Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae, casura
nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustinetur" ( 95, 52, 53), la natura ci ha messi alla luce
legati da parentela, poiché ci ha fatto nascere dai medesimi elementi e per i
medesimi scopi; questa ci ha messo dentro un amore reciproco e ci ha reso
socievoli. Essa ha disposto l'equità e la giustizia; secondo il suo ordinamento
è più deplorevole recare danno che riceverlo, in conseguenza dei suoi ordini le
mani siano pronte per quelli che hanno bisogno di aiuto. Ci stia sempre nel
cuore e in bocca quel verso famoso:
sono uomo, e
non mi sento ostile a nulla di umano.
Facciamo
questa considerazione: siamo nati per metterci a disposizione reciproca. La
nostra società è molto simile a una volta di pietre che, destinata a cadere se
non se lo impedissero a vicenda, proprio da questo fatto è tenuta in piedi.
Socrate nel Gorgia indica dikaiosuvnh e swfrosuvnh, giustizia e
temperanza, come i bersagli cui deve mirare l'uomo buono che vuole essere
felice, non permettendo che le passioni divengano sfrenate (507d - e).
E tra commettere ingiustizia e subirla, il male minore
è subirla (mei'zon mevn famen kako;n to; ajdikei'n, e[latton de;
to; ajdikei'sqai, 509c).
Ma, tornando
a Seneca, la ricerca della voluptas ha capovolto
questo fatto naturale:"Homo, sacra res homini, iam per lusum ac iocum
occiditur" (Ep. 95, 33), l'uomo, cosa sacra per l'uomo,
oramai viene ucciso per gioco e per scherzo.
L'Antigone di B. Brecht afferma
come quella sofoclèa di vivere per l'amore, non per l'odio, e al tiranno, che
l'accusa di non vedere "il divino ordinamento dello Stato",
ribatte:"Sarà divino, ma lo vorrei piuttosto/Umano, figlio di Meneceo,
Creonte".
La legge
naturale dell'amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo
"tiranno":" ajll j eij povlin thvnd j
ejxevsws j, ouj moi mevlei" (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa città, non
mi importa.
In tali
espressioni gli eroi sofoclei sono "le macchie luminose" cui
Nietzsche li assimila nella Nascita della tragedia [10].
Disumano è assolutizzare i decreti della propria intelligenza o quelli
del potere. Edipo re e Antigone di Sofocle
Il figlio di
Laio nell'Edipo re va in rovina poiché
non comprende in tempo i limiti dell’intelligenza umana. della
propria gnwvmh.
Uno dei
centri ideologici del dramma è costituito dai versi 396 - 398:"arrivato
io,/ Edipo, che non sapevo nulla, lo feci cessare/ azzecandoci con
l'intelligenza - gnwvmh/// kurhvsa" - e
senza avere imparato nulla dagli uccelli".
Comprenderà
quanto limitata fosse la sua intelligenza attraverso la sofferenza che lo
conduce alla trasfigurazione di Colono. "Edipo sta su un piano più alto di
Creonte; e tuttavia precipita rovinosamente, perché anch'egli tenta di vivere
in base al criterio secondo cui l'uomo sarebbe la misura di tutte le cose"[11]
Di questa
idea attribuita a Protagora da varie fonti, diamo la formulazione del Cratilo (385e) di Platone:"w{sper Prwtagovra" e[legen
levgwn - - pavntwn crhmavtwn mevtron
ei\nai a[nqrwpon", come
diceva Protagora che l'uomo è misura di tutte le cose.
Sul
significato di "amore" nel v. 523 dell’Antigone, - sumfilei'n - sentiamo V. Ehrenberg: "Dobbiamo intendere il
termine "amore" senza le posteriori implicanze erotiche o cristiane -
come e[rw" o come ajgavph - , bensì concepirlo puramente come filiva, - ed
infatti tale è la sua designazione in questo passo - , qualora intendiamo
captare una delle componenti che agiscono in seno alle leggi non scritte di
Antigone. L'amore come filiva, come opposto rispetto all'"odio" o all'"inimicizia"
(in greco designati con il medesimo termine), è un vincolo umano che forse
appare più vicino all'amicizia che all'amore; esso costituisce il vincolo che
unisce gli uomini ed è uno dei fondamenti su cui poggiava la società
greca"[12].
“Le leggi
non scritte e infallibili degli dei (a[grapta kajsfalh' qew'n novmima - , emanate da Zeus e da Dike che
dimora presso gli dèi inferi”, si contrappongono, nella loro essenza eterna e
divina, ai decreti (khruvgmata) di Creonte, i quali altro non sono che deliberazioni
di un sovrano mortale”[13]
Dopo che la ragazza ha compiuto il gesto di
ribellione, il despota le domanda
“Kai; dh`t
j ejtovlmaς touvsd j uJperbaivnein novmouς;” e allora
osavi trasgredire queste leggi?" (Antigone, v. 449).
Antigone
risponde: “"Sì, infatti secondo me non è stato per niente
Zeus il banditore di questo editto/né Giustizia che convive con gli dei di
sotterra/determinò tali leggi tra gli uomini,/né pensavo che i tuoi bandi - khruvgmaq j - avessero tanta/forza che tu,
essendo mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non
vacillanti (a[grapta kajsfalh` qew`n novmima.)/Infatti
non solo oggi né ieri, ma sempre/ sono vivi questi, e nessuno sa da quando
apparvero (vv. 450 - 457)".
I versi 455 - 457 sono citati da Aristotele, quando
nella Retorica distingue la legge particolare di ciascun
popolo da quella comune secondo natura levgw (…) koino;n de; to;n kata; fuvsin (1373b). Tra queste c’è l’abitudine e la norma di seppellire i morti,
poi quanto dice Empedocle a proposito di non uccidere i viventi, e quanto
scrive Alcidamante[14] nel Messeniaco:” ejleuqevrou~ ajfh`ke pavnta~ qeov~,
oujdevna dou`lon hJ fuvsin pepoivhken”, dio ci
lasciò tutti liberi, la natura nessuno fece schiavo.
Isocrate nel 366/365, o qualche tempo dopo, dedicò a questo
tema il suo Archidamo , ponendo in bocca a questo principe,
figlio di Agesilao, un discorso in cui si sconsiglia la pace, e si afferma che
Sparta aveva pienamente diritto a ridurre i Messenii in schiavitù.
“Con l'Archidamo il retore Isocrate può considerarsi lo
"storico", per così dire, della mentalità schiavistica spartana in
senso stretto... L'Archidamo di
Isocrate è insomma proteso alla difesa dello schiavismo spartano su una base
"storica ". Nelle Elleniche di Senofonte,
invece, neanche una parola sulla fondazione di Messene. In apparenza Senofonte
non si è posto il problema. Egli sapeva che il tema dello
"schiavismo" spartano era oggetto di una grossa polemica, fra
Isocrate e Alcidamante: questi
aveva scritto il Messeniaco per mostrare, al contrario
del suo eterno avversario Isocrate, che gli Spartani non avevano alcun diritto
di tenere i Messenii in schiavitù. "Liberi tutti ci lasciò il dio"
diceva Alcidamante; "la natura non ha fatto schiavo nessuno" (...)
Senofonte,
socratico, non poteva essere del tutto indifferente a questi temi. Nell'Anabasi ,
scritta prima delle Elleniche , egli mostra un notevole
disprezzo per un soldato d'origine servile, che vorrebbe rinunciare alla lotta
(III, 1, 31), ma mostra altresì umanità nei riguardi di un altro mercenario,
peltasta, anch'egli di origine servile (IV, 8, 4 ...)In ogni caso ha voluto
evitare che il suo laconismo lo facesse apparire disumano: la polemica fra
Isocrate e Alcidamante era una lezione cocente"[15].
Perrotta confuta
alcune interpretazioni dell’Antigone:"lasciamo stare
l'interpretazione cristiana, che è di tutte quella assolutamente falsa. Ma è
anche errata l'interpretazione di chi (...) riassume tutta la tragedia in un
conflitto tra le leggi ideali ed eterne rappresentate da Antigone e le leggi
scritte rappresentate da Creonte. Chi intende a questo modo il dramma, cade
ancora nella interpretazione hegeliana, anche se ritiene di essersene liberato:
importa relativamente poco s'egli sostituisce, alla tesi e all'antitesi che
vedeva in questa tragedia l'Hegel, un'altra tesi e un'altra antitesi non troppo
differenti"[16].
Perrotta
sostiene che Sofocle non parte da un’idea cui subordini le situazioni e i
caratteri in quanto gli importano molto di più le situazioni e i caratteri (p.
117). Non c’è un conflitto tra due princìpi opposti, bensì tra due persone, tra
due individui omni modo determinati. Solo parzialmente vera è
l’interpretazione di Goethe che definisce Antigone “la più sororale delle
anime”, ed è inaccettabile l’interpretazione di Kaibel (filologo classico
tedesco, 1847 - 1901) che vede in Antigone una violenza selvaggia senza
tenerezza né amore.
Isocrate:
nel 366/365, o qualche tempo dopo dedicò a quel tema il suo Archidamo ,
ponendo in bocca a questo principe, figlio di Agesilao, un discorso in cui si
sconsiglia la pace, e si afferma che Sparta aveva pienamente diritto a ridurre
i Messenii in schiavitù.
Con l'Archidamo il
retore Isocrate può considerarsi lo "storico", per così dire, della
mentalità schiavistica spartana in senso stretto...L'Archidamo di
Isocrate è insomma proteso alla difesa dello schiavismo spartano su una base
"storica ". Nelle Elleniche di Senofonte,
invece, neanche una parola sulla fondazione di Messene. In apparenza Senofonte
non si è posto il problema. Egli sapeva che il tema dello "schiavismo"
spartano era oggetto di una grossa polemica, fra Isocrate e Alcidamante: questi
aveva scritto il Messeniaco per mostrare, al contrario
del suo eterno avversario Isocrate, che gli Spartani non avevano alcun diritto
di tenere i Messenii in schiavitù. "Liberi tutti ci lasciò il dio"
diceva Alcidamante; "la natura non ha fatto schiavo nessuno" (...)
Senofonte,
socratico, non poteva essere del tutto indifferente a questi temi. Nell'Anabasi ,
scritta prima delle Elleniche , egli mostra un notevole
disprezzo per un soldato d'origine servile, che vorrebbe rinunciare alla lotta
(III, 1, 31), ma mostra altresì umanità nei riguardi di un altro mercenario,
peltasta, anch'egli di origine servile (IV, 8, 4)...In ogni caso ha voluto
evitare che il suo laconismo lo facesse apparire disumano: la polemica fra
Isocrate e Alcidamante era una lezione cocente"[17].
[6] Attivo dalla seconda metà del
V secolo. Dal 407 al 367 fu a Siracusa dove frequentò Dioniso e scrisse
tragedie con lui. Non va confuso con Antifonte oratore di parte oligarchica,
condannato a morte nel 411 dopo la restaurazione democratica. Ma alcuni studiosi
ritengono che si tratti della stessa persona e che l’oratore oligarchico abbia
manifestato la sua ostilità alla democrazia ateniese parzialmente o falsamente
egualitaria con un egualitarismo radicale. In politica non poche volte le parti
estreme si toccano.
[7] Lucrezio considera coniucntum al
corpo quanto non può essere separato, pondus uti saxis, come il
peso per i sassi, mentre eventum è quello
che non ne cambia la sostanza: “ servitium contra, paupertas
divitiaeque,/libertas bellum concordia…haec soliti sumus, ut par est, eventa
vocare” (De rerum natura, I, 451 sg.), al contrario la schiavitù, la
povertà, la ricchezza, la libertà, la guerra la concordia, questi fatti siamo
soliti, come è giusto, chiamare accidenti.
[9]Terenzio, Heautontimorumenos,
v. 77. Lo dice il vecchio Cremete al vecchio Menedemo, il punitore
di se stesso
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