Giulio Aristide Sartorio, La lettura o Catullo e Clodia |
Il fr. 2D è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo trattato di
estetica Sul sublime. del I secolo d. C. E' forse la poesia più
nota di Saffo poiché è stata tradotta da Catullo nel carme 51.
Cominciamo con il darne una traduzione nostra:
"Quello mi sembra pari
agli dei
essere l'uomo quello che - o[tti" - davanti a te
sta seduto e da vicino ti ascolta
dolcemente parlare a\du fwneivsa"
e sorridere amabilmente - kai; gelaivsa" ijmevroen, cosa che a me certo
sconvolge il cuore nel petto:
appena infatti ti guardo per un momento, allora
non
è permesso più che io dica niente
ma la lingua mi rimane spezzata
ka;m glw'ssa m j e[age
un fuoco sottile subito corre sotto la pelle
e con gli occhi non vedo nulla e mi
rombano le orecchie
e un sudore freddo mi cola addosso, e un tremore
mi prende tutta, e sono più verde
dell'erba, poco lontana dall'essere morta
appaio a me stessa
ma bisogna sopportare tutto poiché...".
Strofe saffiche
Cfr. Orazio: “dulce ridentem Lalagen amabo,/dulce loquentem” (Odi,
I, 22, 23 - 24)
Qui finisce
la citazione dell'Anonimo Sul
Sublime il quale si chiede (10) dove stia la grandezza di Saffo e
risponde: “Saffo prende le sofferenze che capitano nelle follie amorose dai
fatti conseguenti e dalla verità stessa in ogni occasione. Dove mostra la sua
capacità? Nel fatto che è straordinaria nello scegliere e collegare tra loro i
vertici e gli aspetti di massima tensione”.
Quindi cita
i versi che ho tradotto sopra e ripete che il capolavoro è prodotto dalla
scelta dei momenti più intensi e dal loro collegamento. “hJ lh'yi~ d j
wJ~ e[fhn tw'n a[krwn kai; hJ eij~ taujto; sunaivresi~ ajpeirgavsato th;n
ejxochvn”, la
scelta, come dicevo, dei vertici e la loro concentrazione nello stesso
componimento nel medesimo punto ha prodotto l’eccellenza”.
Leopardi, quando tratta di bellezza
nello Zibaldone (pp. 3443 - 3444), cita, in greco, i vv. 5 - 6
di questo carme, dopo avere riportato questi della Canzone XIV di
Petrarca (Rime , CXXVI, 53 - 55):
"Quante
volte diss'io
allor pien
di spavento/
"Costei
per fermo nacque in paradiso!".
Quindi
fa seguire un commento relativo a entrambi gli autori: "E' proprio
dell'impressione che fa la bellezza (...) su quelli d'altro sesso che la
veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il
principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello
che più si distingue e si nota e risalta."
Dicevamo
che il carme 51 di Catullo, operando una contaminatio. traduce
questi versi fino al 12, quindi abbandona il modello saffico, forse per un
altro
Diamo anche
la traduzione dell'ode catulliana:
"Quello
mi sembra essere simile a un dio
quello, se
non è una bestemmia, superare gli dei
qui l'uomo
che sedendo di fronte continuamente ti
osserva e ti
ascolta
mentre
sorridi con dolcezza, il che a me infelice
porta via
tutti i sensi: infatti appena ti
vedo,
Lesbia, non mi rimane nemmeno
un filo di
voce in bocca
Ma la lingua
si paralizza (lingua sed torpet),
sotto le membra sottile
scorre una
fiamma, e per un suono loro
squillano le
orecchie, gli occhi si coprono
di doppia
notte. (Geminā teguntur/lumina nocte)
Lo stare
senza far niente ti fa male Catullo:
stando senza
far niente ti esalti e ti sfreni troppo.
Lo stare
senza far niente ha già mandato in rovina
re e città
opulente".
Catullo ha
paura di bestemmiare (v.2) siccome il suo rapporto con la divinità non è
amichevole e gratuito come quello di Saffo; il romano in
genere sembra curarsi degli dei solo per averne favori: la prosperità terrena è
il fine supremo della sua religione, e non c'è relazione disinteressata tra
uomo e dio[1].
Aggiungerei che le parole della poetessa greca sono più concrete non solo
perché, come scrive Pavese "il realismo, in arte, è greco"[2], ma anche perché nella donna
l'amore mancato, o la gelosia qual è probabilmente in questo caso il motivo
della pena, infligge maggiore sofferenza corporea; così come l'amore appagato
dà più gioia anche fisica al sesso femminile.
Lo rinfaccia Giove a Giunone nelle Metamorfosi di Ovidio: "maior vestra
profecto est/quam quae contingit maribus - dixisse - voluptas ",
certo il vostro piacere è più grande di quello che tocca ai maschi (III, 320 - 321)
“Illa
negat; placuit quae sit sententia docti - quaerere Tiresiae Venus
huic erat utraque nota (322 - 323) - Il profeta diede ragione a Giove, a
carissimo prezzo, poiché la dea, addolorata più del giusto - gravius iusto
- gli tolse gli occhi.
Nel poema
di T. S. Eliot, Tiresia si
presenta come un cieco che pulsa tra due vite, un vecchio uomo con avvizzite
mammelle di donna (La terra desolata, vv. 218 - 219), un profeta che ha
presofferto tutto - And I Tiresias have presoffered all - (243)
Eliot nella
nota al v. 218 dà questo chiarimento: “Tiresia (…) è il personaggio più importante
del poema, poiché unisce tutti gli altri (…) i due sessi si incontrano in
Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti è la sostanza del poema.
L’intero passo di Ovidio è di interesse antropologico”, Quindi cita i vv. 320 -
338 del III libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Una dolorosa palpitazione cardiaca per amore, ma del denaro, e per il
terrore di perderlo, si trova nell'Aulularia di Plauto, denunciata
dall'avaro Euclione:
"Continuo meum cor coepit artem facere ludǐcram
atque in pectus emicare "(626 - 627), subito il mio cuore ha cominciato a fare l'arte
del ballerino e a saltare in petto.
Di Benedetto: “Nel libro XXII dell’Iliade si ha un primo
embrione della forma che sarà poi realizzata da Saffo nel fr. 2D.
Quando Andromaca sente il grido di lamento che viene dalla rocca e
concepisce il dubbio che qualcosa di irreparabile sia capitato a Ettore si ha
nel discorso della donna anche un accenno al suo malessere” (Di Benedetto, Saffo, Poesie,
Fabbri Editori, p. 29).
A me sembra più di un accenno, ma sentiamo l’Andromaca di Omero
“aijdoivh" eJkurh'" ojpo;" e[kluon, ejn d j ejmoi, aujth'/ - sthvqesi
pavlletai h\tor ajna; stoma, nevrqe de gou'na - phvgnutai - (451 - 453), della suocera veneranda ho udito la voce e dentro di me,
nel petto balza il cuore fino alla bocca e le ginocchia sotto diventano rigide.
Al v. 448 il poeta - narratore aveva già notato che Andromaca udì dal
bastione singhiozzo e gemito e allora le tremarono le gambe e a terra le cadde
la spola. Nei vv. 460 - 461 Andromaca “si precipitò fuori di casa come una
pazza, col cuore in sussulto - pallomevnh kradivhn - agitata nel
cuore (con una prima menzione del cardiopalma.palmov" oJ agitazione)
Omero dunque crea dei moduli espressivi nuovi sulla cui linea si pone
Saffo. Andromaca però non è sola: è nella sua casa, impegnata nel lavoro
domestico, in compagnia delle ancelle; quando poi vede il marito morto e sviene
è retta dalle cognate che le si affollano intorno e successivamente il suo
lamento funebre è accompagnato dal lamento delle donne, come voleva il rito.
“Saffo invece è sola”
Questa solitudine è il risultato della sua dissociazione nei confronti del
reale. Saffo per giunta sviluppa i mezzi espressivi di cui in Omero si aveva
solo un accenno.
“Il procedimento di autopercezione è reso con faivnom j e[m
au[ta/, appaio a me stessa” v. 16 che riprende
evidentemente con un procedimento di composizione anulare faivnetaiv moi con cui inizia il carme ( Di Benedetto, p. 31).
Di Benedetto p. 64
“Nel quadro delineato da Saffo, l’uomo è in posizione del tutto subordinata
rispetto alla ragazza. La linea portante nel carme di Saffo è quella che va
dalla ragazza alla poetessa (…) E’ significativo in questo ordine di idee l’uso
al v. 2 del pronome relativo generalizzante o[tti" invece di o[" : non l’uomo
“il quale siede” ma “l’uomo in quanto siede (qualunque egli sia”): la figura
dell’uomo si definisce solo in funzione del suo essere insieme con la ragazza e
si capisce pertanto che esso venga dimenticato nel resto del carme quando Saffo
descrive i suoi sintomi del suo amore - malattia per la ragazza (…) Nella
traduzione di Catullo la figura dell’uomo è messa in molto maggior rilievo ,
con la successione di ille/ille/qui all’inizio dei vv. 1 - 3 (…)
dal momento che l’eros di Catullo era eterosessuale, l’uomo si poneva in un
rapporto di concorrenza diretta e conseguentemente acquista nella traduzione
latina un rilievo che in Saffo non ha” p. 68
“Su una linea analoga di svuotamento dei valori tipicamente maschili
si pone anche il famoso fr. 16 LP (6 Voigt), uno dei contributi più importanti
dati alla conoscenza di Saffo dal Papiro di Ossirinco 1231 pubblicato nel 1914
"alcuni una schiera di
cavalieri, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella, io quello
che uno ama.
Ed è facile assai rendere questo
comprensibile a ognuno: infatti quella che di
gran lunga superava/
nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo
avere lasciato il marito/
che pure era il più valoroso di tutti
andò a Troia navigando
e non si ricordò per niente della figlia
né dei suoi genitori, ma Cipride la
trascinò, in preda all'amore.
…..
……
Anche a me ora ha fatto ricordare
di Anattoria assente.
Di lei ora vorrei vedere l'amabile
passo e il fulgido scintillio del volto
piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono nell'armatura".
Strofe saffiche
“All’inizio del carme si ha il procedimento tipico della Priamel.
Questo procedimento trova riscontro nel famoso proemio del secondo libro di
Lucrezio, con suave, suave, sed nil dulcius
Al primo suave corrisponde la vista del mare in tempesta, e al
secondo suave quello di un esrcito in armi” (Di
Benedetto Op. cit, p 71)
Non è la vista del mare in tempesta né quella della guerra a essere dolce
ma esserne fuori.
Comunque”lo sbocco di Lucrezio non è l’eros , ma la saggezza che si
sostanzia della dottrina dei sapienti (…) In Saffo però si tratta più
specificamente del fatto che la poetessa fa precedere il proprio punto di vista
da quello degli altri. Ma si tratta di un sapiente artificio letterario della
poetessa , per valorizzare di più la propria convinzione, presentata come una
meta che si conquista dopo un lungo cammino (…) Coloro che sostengono il punto
di vista diverso da quello di Saffo non sono ulteriormente qualificati, e
tuttavia il mondo a cui essi fanno riferimento è quello tipicamente maschile,
quello degli uomini che fanno la guerra (…) Alla fine del carme , quando le
cose sono poste in termini di contrapposizione, la nozione della guerra
affiora, e con particolare evidenza, proprio nell’ultima espressione. Si tratta
di kajnovploisi - pesdomavcenta" (“e nelle loro
armi i combattenti di terra”, una espressione costruita in modo che al dato
schiettamente visivo (“nelle loro armi”: sull’onda del “vedere” che regge tutta
la frase) si associa il particolare relativo alla guerra, alla funzione pratica
dei fanti, che veniva ignorata all’inizio (…). Non è casuale d’altra parte che
la vicenda di tutto il carme si giochi entro una dimensione femminile: Elena,
Afrodite, Saffo stessa, Anaktoria. Menelao non viene nominato e di lui si parla
come il marito che pur eccellente viene abbandonato. E soprattutto, mentre ciò
che è la cosa più bella per Saffo, cioè Anaktoria, viene evocata in termini
intensi e struggenti, di ciò che dovrebbe essere la cosa più bella per Elena, e
cioè Paride, non si fa nessuna menzione” (p. 73)
[1]Per quanto riguarda Catullo in
particolare, possiamo ricordare il carme 76 (v. 26) dove il poeta in cambio
della sua pietas e della sua fides chiede la salute
(v.26) :"O di, reddite mi hoc pro pietate mea ", o dei
datemi questo in cambio della mia devozione.
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