lunedì 25 luglio 2022

Eracle di Euripide seconda parte

Megera dice ad Anfitrione che i bambini  chiedono del padre: che fa? Quando sarà qui? Illusi dall’età (tw'/ nevw/ ejsfalmevnoi, 75) cercano chi li ha generati. E io li porto in giro con le parole, raccontando storie (ejgw; de; diafevrw-lovgoisi, muqeuvousa, 76-77)

Ma quando le porte cigolano (puvlai yofw'si, 78) ciascuno pensando a un fatto meraviglioso balza in piedi per gettarsi alle ginocchia del padre.

Megara chiede al suocero che cosa possono fare : ci sono guardiani ben più forti di noi alle uscite (fulakai; ga;r hjmw'n kreivssone" kat j ejxovdou", 83) e non c’è speranza di salvezza negli amici (83-84).

 

Lo stesso senso di prigionia si trova nell’Oreste: “ non vedi? siamo circondati da tutte le parti da guardie armate" ( oujc oJra'/"; fulassovmesqa frourivoisi pantach'/, Oreste, v. 760)  replica Oreste  a Pilade che lo esorta a fuggire[1].

 

Anfitrione sconsiglia la fretta che non conviene quando si è deboli: crovnon de; mhkuvnwmen o[nte" ajsqenei'" (89) allunghiamo il tempo dal momento che siamo deboli.

Megara non ha la pazienza del suocero e gli fa: hai bisogno di un altro po’ di dolore o ami tanto la luce? (luvph" ti prosdei'" h} filei'" ou{tw favo" ; 90)

Anfitrione: sì, godo della luce e amo le speranze.

Megara replica kajgwv, anche io, ma non si deve credere l’incredibile, vecchio dokei'n de; tajdovkht j ouj crhv, gevrwn (93)

Il vecchio è spesso attaccato alla vita più del giovane. Anfitrione dice che nel differire ejn tai'" ajnabolai'" spesso ci sono a[kh tw'n kakw'n, rimedi dei mali (93). Se il differimento non è panacea, è policea.

 

 

 

 

Simulazioni e dissimulazioni

Seneca consiglia di prendere tempo quando siamo invasi dall’ira: “Pugna tecum ipse, si vis vincere iram, non potest te illa. Incipis vincere, si absconditur, si illi exitus non datur. Signa eius obruamus et illam quantum fieri potest occultam secretamque teneamus (De ira, V, 13, 1-4).

 

Queste parole fanno parte del brano dato all’esame di maturità il 5 luglio del 1977.

In quel tempo era un esame con un minimo di serietà e apriva ancora le porte dell’Università.

 Ero membro interno al liceo Minghetti di Bologna. Ero giovane e credevo in tante cose belle: l’amore, la scuola, la politica.

Credevo e facevo. Mi resta la scuola. Mi resterà finché vivrò.

 

Bisognerebbe dissimulare l’ira dunque. In questo inizio di campagna elettorale vediamo degli aspiranti parlamentari che in effetti la dissimulano, altri che invece la simulano. Ne abbiamo abbastanza di simulatori e dissimulatori, di mimi volgari e impolitici che pretendono di fare politica. Anche i rapporti umani sono spesso adulterati dal simulare e dissimulare. In primis quelli di amore e di amicizia. Resta la ricerca del profitto, dissimulata ma reale. Tali rapporti fanno schifo.

 

Quanti mi leggono e mi ascoltano ne ricavano un profitto santo:  un progresso proficuo (proficio) in termini di coscienza.

Lo ricevono e lo danno a me: “ Mutuo ista fiunt, et homines dum docent, discunt ” (Seneca, Ep. 7, 8) . Dagli studenti ho imparato e imparerò sempre molto: "Quaeris quid doceam? etiam seni esse discendum"[2], vuoi sapere che cosa insegno? che anche un vecchio deve imparare.

Dobbiamo dirlo ai nostri studenti: “Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari”[3].

  Tutti gli insegnanti, tutte le persone per bene, non dovrebbero mai smettere di  imparare :"semper homo bonus tiro est ", l'uomo onesto fa  tirocinio per tutta la vita, ha scritto Marziale (12, 51, 2). Procediamo dunque nel nostro tirocinio a vita.

 

 

 

Ma la giovane donna non sa aspettare: il tempo nel mezzo è un dolore che mi morde ( davknei crovno~ 94). Il tempo ci morde quando abbiamo la sensazione di sciuparlo: è l’unico bene veamente nostro ed è poco e scorre via in fretta. Ogni minuto deve avere un significato deve essere proficuo (proficio) dedicato che sia allo studio, all’amore, all’amicizia, allo sport o al gioco.

Invece –fa Anfitrione-potrebbe crearsi un corso con il vento favorevole (gevnoito ou[rio" drovmo" (95) una via d’uscita da questi mali; potrebbe arrivare il figlio mio e il compagno di letto tuo-eujnhvtwr de; sov"   (97). Il letto (eujnhv)  è pur sempre il mobile più importante della casa, soprattutto per la donna nelle tragedie di Euripide.

 Calmati dunque e continua a illudere i bambini  con delle favole (100).

Infatti anche le disgrazie dei mortali si stancano (kavmnousi kai; brotw'n aiJ sumforaiv, 101) e gli eujtucou'nte"  i fortunati non lo sono dia; tevlou", fino alla fine. L’uomo di valore è quello che confida sempre nelle speranze (o{sti" ejlpivsin-pevpoiqen aijeiv), mentre  esserne privo è da vile -ajporei'n ajndro;" kakou'  (106).

 

 Parodo 107-137.  Coro di vecchi tebani

I coreuti descrivono la loro condizione di vecchi; procedono appoggiandosi ajmfi; bavktroi", ai bastoni e si paragonano a cigni: aedo di lugubri lamenti come l’uccello canuto (111) w{ste polio;" o[rni".

 

Per il canto del cigno cfr. Platone, Fedone, 85

Il mito dei cigni

Gli uomini per la loro paura della morte, calunniano anche i cigni e dicono che essi cantano lamentando la morte favsi aujtou;;" qrhnou'nta" to;n qavnaton a[/dein. In realtà nessun uccello canta quando ha fame o freddo o soffre qualche altro dolore, neppure l’usignolo ajhdwvn o la rondine celidwvn o l’upupa e[poy.

 I cigni dunque siccome sono uccelli di Apollo,  indovini mantikoiv,  prevedendo i beni dell’Ade kai; proeidovte" ta; ejn    {Aidou ajgaqav ,  cantano e gioiscono (a[dousi kai; tevrpontai) in quel giorno più che in passato (85b). Ebbene, conclude Socrate, io sono confratello dei cigni e consacrato allo stesso dio che mi dà la divinazione th;n mantikhvn e non credo di dovermi separare dalla vita più triste di loro.

 

La prima testimonianza sul canto lugubre del cigno si trova nell’Agamennone di Eschilo in un Commos nel quale Clitennestra dice che Cassandra, come l’amante Agamennone delizia per giunta delle Criseidi, giace morta dopo avere cantato l’ultimo lamento di morte kuvknou divkhn (1444), come il cigno, e a lei, la moglie di Agamennone, e amante di  Egisto,  “ha portato un manicaretto in aggiunta ai miei piaceri del letto  ejmoi; d j ejphvgagen -eujnh'" paroywvnhma th'" ejmh'" clidh'"” (1446-1447).

 

 Cfr. in promulside libidinis nostrae (Satyricon, 24, 7)

   

 Il pupo Gitone si scompisciava dalle risate e attirò l'attenzione di Quartilla, la sacerdotessa dell'orgia postribolare, la quale chiese cuius esset puer, diligentissima sciscitatione (24, 5) a chi appartenesse quel ragazzo con una domanda molto seria. Quel superlativo diligentissima. che qualifica una domanda relativa alla proprietà di un amasio, è appropriato a  un mondo dove le uniche cose serie sono il denaro e il sesso. Infatti subito dopo, saputo che era il "fratello" di Encolpio, la donna domandò:"quare ergo-inquit-me non basiavit? ", allora perché non mi ha baciato? Quindi  passò ai fatti: lo inchiodò a sé con un bacio, poi fece anche scendere la mano sotto il vestito e  palpatogli il cosino ancora tanto inesperto (pertactrato vasculo[4]tam rudi ) fece:"haec belle cras in promulside libidinis nostrae militabit; hodie enim post asellum diaria non sumo" (24, 7), questo servirà bene domani durante l'antipasto del mio piacere; oggi infatti dopo il pesce non prendo una razioncina.-promulside è ablativo di promulsis , "antipasto" formato da pro-+ mulsum , "vino con miele".

 

I vecchi corifei si definiscono visioni di sogni notturni, tremanti ma volonterosi (114). Con versi piuttosto convenzionali gli anziani sottolineano la debolezza della loro età e la vivacità dei figli di Eracle che hanno negli occhi raggi di Gorgone  simili a quelli del padre- patevro" gorgw'pe" prosferei'" ojmmavtwn aujgaiv (129-131). prosferh`~ con il genitivo.

 Al v. 868 le pupille da Gorgone verranno attribuite da Lyssa a Eracle impazzito.

Ma qui nei fanciulli lo sfavillio degli occhi è segno della cavri" (134) la grazia,  che la presente sventura (kakotucev") non ha potuto annientare. Tuttavia questo sguardo da Gorgone che accomuna i figli al padre è un segnale del destino orrendo che attende l’uno e gli altri.

Lo sguardo da Gorgone viene attribuito da Omero a Ettore quando infuria insostenibile nell’VIII canto dell’Iliade (vv. 349 e 355).

Quindi viene annunciato Lico, il capo di questa terra th'sde koivranon cqonov" che si avvicina (139).

Pesaro 25 luglio 2022 ore 10, 47

giovanni ghiselli

 

 

 



[1] Un verso che ci consente di trovare una corrispondenza in "La Danimarca è una prigione" dell'Amleto (II, 2).

[2] Seneca, Epist., 76, 3.

[3] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 92.

[4] Vasculum=mentula .

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