venerdì 8 luglio 2022

Euripide, Elettra 3. La poesia greca salva le vite umane


 

Parodo 167-212.

Plutarco nella Vita di Lisandro (15) racconta che nel 404, dopo la sconfitta di Atene, il comandante spartano Lisandro imponeva la distruzione delle mura agli Ateniesi e questi riluttavano. Allora un tebano, Erianto, propose di radere al suolo la città. Poco dopo i condottieri vincitori si riunirono in un convito e un focese cantò la parodo dell’Elettra di Euripide.

 Plutarco cita i due versi iniziali di questa Parodo cantata dal coro di giovani schiave argive

Jj Agamevmnono" w\ kovra ,

 h[luqon,  jHlevktra, poti; sa;n ajgrovteiran aujlavn (167-168), o figlia di Agamennone, Elettra, sono venuta alla tua dimora di campagna.

 

All’udire il focese che recitava questi versi di Euripide, tutti si intenerirono e sembrò loro un atto crudele eliminare una città che produceva uomini tanto grandi. Sicché Atene non venne distrutta.

 

Cfr. gli Ateniei salvati dai Siracusani perché sapevano a memoria e recitavano i versi di Euripide

 La poesia salva la vita, e particolarmente quella in lingua greca.

Nella Vita di Nicia  Plutarco narra che alcuni Ateniesi finiti nelle Latomie di Siracusa dopo la sconfitta subita nel 413 "kai; di j Eujripivdhn ejswvqhsan" (29, 2), si salvarono anche grazie ad Euripide. Infatti i Greci di Sicilia amavano il tragediografo e desideravano citarlo. Alcuni dei superstiti da quella catastrofe dunque, tornati a casa, andarono ad abbracciare affettuosamente Euripide e raccontarono che erano stati affrancati dalla loro schiavitù "ejkdidavxante" o{sa tw'n ejkeivnou poihmavtwn ejmevmnhnto" (29,4) poiché avevano insegnato quanto ricordavano dei suoi drammi.

In effetti lo studio di Euripide e di autori significativi può avviare tante persone sulla strada dell'emancipazione.

Elias Canetti racconta che il nonno di sua madre una volta, "mentre era a dormire in coperta", in un battello sul Danubio "aveva udito due uomini che, parlottando tra loro in greco, stavano progettando un omicidio". Ebbene, grazie alla conoscenza di questa nostra amatissima lingua, l'uomo poté denunciare la trama assassina "e quando i due delinquenti arrivarono per compiere la loro impresa, subito furono agguantati". Sicché l'autore comprese subito quanto fosse importante padroneggiare le lingue:"con la conoscenza delle lingue si poteva salvare la propria esistenza e anche quella altrui"[1].

Non il greco e il latino dunque sono lingue morte , bensì la ciancia dei più che imitano il linguaggio ingannevole della pubblicità.

 

 

Le coreute sono invitate da Elettra a osservare truvch tav d j eJmw'n pevplwn (185) questi brandelli delle mie vesti.

 

Nietzsche sostiene che questo grande drammaturgo era meno gradito di Sofocle al pubblico ateniese siccome non spronava la massa con il superiore punto di vista dell'eroismo, ma portava sulla scena lo spettatore, l'uomo medio, i tratti non riusciti della natura, il grechetto scaltro e la mediocrità, facendo trionfare la scaltrezza, rendendo paradigmatico il calcolo e l'intrallazzo dello schiavo immerso nella materia[2].

“Un cenno a parte va riservato agli eroi “mendicanti” del teatro euripideo. Essi sono bersaglio, com’è noto, della feroce satira di Aristofane, che ce ne offre un vero e proprio catalogo (Acarnesi,  414 ss.) e giunge a coniare per lo stesso Euripide l’epiteto di rJakiosurraptavdh~[3], rammendatore di stracci.

 Il testo del poeta comico fa esplicito riferimento a tragedie andate perdute, sì che non possiamo ben valutare quale fondamento abbiano le sue critiche. Di certo abbiamo vari indizi che la rappresentazione del Telefo nel 439, in cui il re di Misia indossava le vesti di un pitocco, suscitò vibrato imbarazzo e scalpore.

La conclusione che se ne deve trarre è che, se pur è indubbia la presenza nella mordace parodia di Aristofane di una rilevante componente di detorsio, sarebbe riduttivo interpretare tale parodia in chiave di gratuito gioco comico: l’ipotesi più probabile è che anche in questo come in altri casi lo sperimentalismo euripideo, almeno nelle sue parti più esasperate, abbia finito con l’urtare la sensibilità degli spettatori, provocandone il risentimento e il rigetto”[4].

 

Elettra dunque chiede alle coreute di riflettere dopo averla osservata e dirle se tali stracci  si addicono prevpont  j (a) 186  alla figlia di Agamennone che ha conquistato Troia, e dopo anni che la città è stata presa ancora ne rimane il ricordo - mevmnataiv poq  j ajlou'sa (189) 

Il coro offre alla ragazza di che vestirsi e adornarsi, quindi la esorta a onorare gli dèi, ma Elettra obietta che nessun dio ascolterà il grido di dolore ta`~ dusdaivmono~ 199 della sventurata-la desdemona- figliola di Agamennone che vive struggendosi l’anima yuca;n takomevna (208) in una misera casa  sulle rupi dei monti. Non era ancora arrivato l’ellenismo con il paradiso perduto della natura.

Intanto la madre, Clitennestra, vive nei letti cruenti del palazzo sposata con un altro, un drudo assassino

La corifea dà la colpa di tutte le sciagure a Elena.

A questo punto Elettra vede degli stranieri acquattati presso la casa (216)

Pesaro 8 luglio 2022 giovanni ghiselli

p. s

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[1] E. Canetti, La lingua salvata  (del 1977), p. 46.

[2] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. 11. Ne citeremo alcune frasi nella parte introduttiva alla Medea.

[3] Rane 842. Ndr.

[4] Di Marco, Op. cit., p. 101.

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