domenica 17 luglio 2022

La nascita della tragedia capitoli XVI e XVII.

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Nietzsche La nascita della tragedia Capitolo XVI  (pp. 104-111)

 

La tragedia greca dunque è perita per il dileguarsi dello spirito della musica dal quale è derivata la sua nascita. Contro la tragedia si combatte una battaglia mentre si favoriscono la farsa (breve componimento teatrale comico, da farcire, riempire gli intervalli) e il balletto che fanno sbocciare i loro fiori non sempre beneodoranti (a Roma la pantomima).

 

La scienza che è essenzialmente ottimistica si oppone a una concezione tragica del mondo. Apollo e Dioniso rappresentano due mondi d’arte diversi.

Apollo è il genio trasfiguratore del principium individuationis che fa conseguire la liberazione nell’illusione; mentre al mistico grido di Dioniso si apre la via verso le Madri dell’essere, verso l’essenza intima delle cose.

 

La Magna Mater ha molti nomi, non è individuata (cfr. Prometeo incatenato che invoca La madre:"Qevmi"-kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209-210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi.

Alla fine delle Metamorfosi di Apuleio Iside parla, chiama Lucio per nome ed enumera tutti i propri nomi.

 E’ la grande madre: “pollw`n ojnomavtwn morfh; miva” (Prometeo Incatenato, 2010.).

 Minerva, Cibele, Venere, Diana, Proserpina, Cerere, Giunone, Bellona, Ecate. Ma gli Egizi che sono di antica dottrina, la chiamano Iside. Prisca doctrina pollentes Aegyptii (11, 5).

 

 

 

 C’è un abisso tra l’arte plastica apollinea e la musica dionisiaca

Schopenhauer ha riconosciuto alla musica un carattere diverso rispetto alle altre arti: essa non è immagine dell’apparenza, bensì l’immagine della stessa volontà e dunque rappresenta la metafisica e la cosa in sé.

 Non dà lumi in questo senso quella civetta di Minerva che è Aristotele, per natura estraneo al grande istinto artistico che invece Platone possedeva. Nel  tempo di Aristotele si era già sviluppato l’artista imitativo, quasi erudito, lontano dal fenomeno artistico primordiale.

La musica è un linguaggio universale ed è l’immagine della volontà stessa, non dell’apparenza, e dunque rappresenta la cosa in sé.

La musica fa risaltare in accresciuta significatività ogni  scena della vita reale, tanto più quanto la sua melodia è analoga allo spirito intimo di una data apparenza. La musica dà il cuore delle cose (p. 109).

 

La musica dunque è il linguaggio immediato della volontà che genera il mito. Nel lirico, la musica rivela la sua essenza in immagini apollinee, nel tragico il dionisiaco esprime la volontà nella sua onnipotenza dietro il principium individuationis, la vita eterna oltre ogni apparenza e nonostante ogni annientamento.

 La sapienza dionisiaca si traduce nel linguaggio dell’immagine: l’eroe che è la più alta apparenza della volontà viene negato con nostra gioia perché è comunque solo apparenza e la vita eterna della volontà non viene toccata dalla sua distruzione.

La tragedia grida la fede nella vita eterna; lo scultore glorifica l’eternità dell’apparenza e la bellezza della vita che fa scomparire il dolore dai tratti della natura.

Nell’arte dionisiaca la natura dice che nell’incessante mutamento delle apparenze ella è la madre primigenia eternamente creatrice tale che eternamente costringe all’esistenza.

 

Capitolo XVII (pp. 111-118)

L’arte dionisiaca dà una consolazione metafisica che ci strappa al congegno delle forme mutevoli. Noi superiamo la nostra individualità e, come il poeta lirico, ci identifichiamo con quell’unico essere vivente e comprendiamo la necessità dell’annientamento delle apparenze data la sovrabbondanza delle forme che si urtano e si incalzano alla vita. Nella tragedia gli eroi parlano più superficialmente di quanto non agiscano, come Amleto del resto.

I Greci sono, come dicono i sacerdoti egizi, gli eterni fanciulli e nell’arte tragica non sanno quale sublime giocattolo sia nato nelle loro mani.

 

Un Greco vecchio non esiste, voi Greci siete sempre fanciulli”. Lo racconta Platone nel Timeo. Quando Solone era in Egitto, un sacerdote molto vecchio gli disse: “Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non esiste ’W SÒlwn, SÒlwn, “Ellhnej ¢eˆ pa‹dšj ™ste, gšrwn d “Ellhn oÙk œstin, Timeo 22b4.; voi siete giovani d’anima perché in essa non avete riposto nessuna vecchia opinione (22b ss.).

 Essi non hanno ricordo delle vicende più antiche a causa dei diluvi che periodicamente ne sconvolgono la civiltà. Il diluvio celeste lascia sopravvivere solo gli ignari di lettere e di Muse, sicché si perde il ricordo dei tempi antichi.

 

Storicizzando i diluvi, possiamo dire che il sopraggiungere della barbarie  spazza via la classe colta della civiltà più antica, si pensi ai nobili rimproverati da Augusto perché non si sposavano e non facevano figli.

 

Gli Ateniesi novemila anni prima avevano le stesse leggi degli Egiziani e si opposero all’imperialismo di Atlantide ma poi ci fu una catastrofe per la quale i guerrieri di Atene sprofondarono dentro la terra e Atlantide fu assorbita dal mare (Timeo, 25d).

 

 Nel Crizia di Platone sono descritte Atlantide e Atene come città rette da dèi: la prima da Posidone, Atene da Atena ed Efesto. In Atlantide però si estinse l’elemento divino ed essa diventò gonfia di ingiustizia e di prepotenza (121b). Allora Giove, compresa la degenerazione della stirpe, decise di punirla.

 

Quando la tragedia sparisce la concezione dionisiaca del mondo sopravvive nei misteri. Fu l’ottimismo della scienza a uccidere la tragedia e la scienza deve raggiungere i limiti estremi fino al fallimento perché la tragedia rinasca.

Cfr. Il Prometeo incatenato di Eschilo, il Frankestein  di Mary Shelley e La coscienza di Zeno di Svevo.

 La scienza uccide il mito e senza mito non c’è poesia. Il nuovo ditirambo attico presentava una musica che riproduceva non la volontà stessa ma l’apparenza.

Era una musica intimamente degenerata. Aristofane colse nel segno riunendo nello stesso sentimento di odio Socrate, Euripide e i nuovi ditirambi attici la cui musica era ridotta in maniera scellerata a immagine imitatoria dell’apparenza e fu privata della sua forza creatrice di miti. Con il nuovo ditirambo la musica è divenuta una meschina immagine dell’apparenza, più povera dell’apparenza stessa.

Allora una battaglia diviene rumore di marcia e clangore di segnali. La musica è diventata schiava dell’apparenza. Euripide che aveva una natura non musicale era partigiano della nuova musica ditirambica.

 

Con Sofocle inizia l’affermarsi della rappresentazione dei caratteri e della raffinatezza psicologica. Il carattere non è più un tipo eterno  e lo spettatore non sente più il mito ma la verità naturalistica e la forza di imitazione dell’artista. C’è il piacere e il gusto del singolo preparato anatomico.

Sofocle per lo meno dipinge ancora caratteri interi. Euripide raffigura solo grandi tratti caratteristici che si rivelano in violente passioni; nella commedia attica nuova ci sono soltanto maschere con un’unica espressione: vecchi frivoli, lenoni gabbati, schiavi scaltri in instancabile ripetizione. La musica diventa uno stimolante per nervi ottusi e consunti o musica descrittiva.

L’Edipo a Colono di Sofocle però mostra ancora nel modo più puro l’accento di una conciliazione proveniente da un altro mondo.  Ismene dice al padre: nu`n ga;r qeoiv sj ojrqou`si, provsqe d’ w[llusan (394)

Ma dopo Sofocle non c’è più consolazione metafisica, bensì l’eroe che fa un buon matrimonio o, come il gladiatore, viene prima scorticato poi riceve la libertà. E al posto della consolazione metafisica subentra il

deus ex machina. Anche due dèi come abbiamo appena visto nell’Elettra di Euripide.

La consolazione metafisica degenera in culto segreto. La serenità greca diventa voglia di vivere senile e improduttiva. L’aspetto più nobile di questa tarda serenità è la serenità dell’uomo teoretico che dissolve comunque il mito e utilizza il dio delle macchine e dei crogiuoli.

 E’ il credere a una correzione del mondo per mezzo del sapere , credere a una vita guidata dalla scienza. Una canuta o calva assennatezza.

Pesaro 17 luglio 2022 ore 17, 09

p.s

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