giovedì 28 luglio 2022

Euripide IONE (data incerta tra 419 e 411).


Lo IONE  di Euripide personalizzato e pesaresizzato.

 

 Un esperimento

No temete: ho la Medea e le Baccanti tradotte e commentate parola per parola e lunghi commenti dell’Alcesti dell’Ecuba e di altre. Non basteranno tutte le ore del corso.

Questo è un ghiribizzo di luglio.

A Pesaro vivo come Ione custode del tempio di Delfi nella tragedia di Euripide. Mi alzo quando Elio dalla  sua quadriga lucente fa brillare il mare già da qualche ora e illumina pure lo studio mio orientato verso il primo fra tutti gli dèi con  una delle due finestre.

Dopo i lavacri nei gorghi inargentati della Castalia domestica, inizio una nuova giornata di ininterrotta devozione. Mi attendono ore di studio, con la  bocca che osserva il silenzio rituale. Attendo alle fatiche sante cui mi sono consacrato fin da fanciullo quando la zia severa, una specie di Pizia, arcanamente sentenziava che ero mezzo intelligente- e mezzo deficiente, se primeggiavo a scuola, se ero solo secondo ero solo un deficiente, un deficiente senz’altro.  In questo caso mi avrebbe ignorato come faceva con altri nipoti che non le piacevano. Io l’ammiravo e le davo retta. Sua madre, la mia cara nonna Margherita, la chiamava “la badessa” e suo padre, il mio caro nonno Carlo “la sbirra”.

 Le davo retta dunque, però coltivavo anche la bicicletta, la corsa e il nuoto dove pure avevo talento, senza dirlo a lei, ma sempre onorando il dio delfico. Consacrai dunque la mente al sapere, al "Conosci te stesso" di Delfi, e il corpo alla dea Salute. Ora che sono rimasto senza zie, né nonni, né mamma, né babbo, vengo a custodire il santuario del nostro gevno" –ricco di virtù e pieno di vizi-in questa casa di Pesaro. Studiando almeno sei ore al giorno e muovendo le gambe nella corsa ciclistica e podistica per almeno altre due. Il nuoto solo nel mare estivo perché il freddo mi ributta.

Compio il servizio giornaliero senza stancarmi: so che i miei morti mi approvano e pure molti vivi su questo blog. Servo la stirpe con una fatica bella , e gloriosa per me-kleino;" oJ povno" moi (Ione 131). Turpe ed empio sarebbe invece ingozzarmi e ubriacarmi nei cenoni turbati dal fumo e dal rumore, contro la mia natura girare facendo compere  coatte per bancarelle e negozi, ascoltare e dire idiozie. Lo fanno coloro che non sanno quello che fanno, né perché vivono, né chi sono. Lontano dalla pazza folla,-Far from the madding crowd-non mi stanco mai di queste fatiche sante e propizie. Talora faccio una pausa spazzando il pavimento di questo tempio, l’anima mia e la mente, con una ramazza d’alloro-davfna" ojlkoi'"- (Ione 145) sempre in onore del dio e dei miei Mani.  La scopa serve anche a tenere lontani i piccioni perché non insozzino le offerte votive che lascio sul davanzale e nel giardino. Li caccio senza fare loro del male in quanto so che il loro volo può venire a portarmi le voci degli dèi.

 Poi torno a studiare poiché non posso smettere di servire la mente che mi nutre del cibo che quasi solum è mio.

La luce degli occhi belli-kalliblevfaron fw'"- (189) delle mie consanguinèe mi illumina dalle icone appese sulle pareti di questo santuario e mi stimola a procedere nella fatica devota del mio eremitaggio pesarese. Sono lo scudiero di queste donne e delle altre che ho amato. 

Vedo la zia Giulia che mi portava a Moena, in via Damiano Chiesa 11, quando ero bambino e mi aiutava contro il caos interno impugnando lo scudo con la Gorgone, come faceva Atena contro il maledetto Encelado (Ione 209-210). C’è anche un quadro di Fulvio che, con i tirsi incoronati di edera-kissivnoisi bavktroi"-( Ione, 218), mi aiutava a tenere in rispetto la canaglia dei Titani , dei Giganti e di tutti i mostri  eterni nemici della cultura. Ora l’ombelico del mio mondo antico è questa casa di Pesaro dove abitai fanciullo e iniziai le mie imprese.

L’ amico Claudio mi diede della femmina per la mia sensibilità  delicata e aggiunse che dovevo essere pure lesbica perché mi piacciono molto le femmine umane.

ta; ga;r gunaikw'n duscerh' pro;" a[rsena",-kajn tai'" kakai'sin ajgaqai; memigmevnai-misouvmeq  J: ou{tw dustucei'" pefuvkamen (Ione, 398-400).

“Le donne hanno difficoltà con i maschi,  e noi buone mescolate con le cattive siamo odiate: in questo modo siamo nate sventurate”.

Questo dice Creusa al figlio Ione che ha avuto in seguito alla violenza subita da Apollo. La madre, una principessa ateniese, dovè abbandonarlo neonato e anni dopo per caso lo incontra adolescente senza riconoscerlo nel santuario delfico da lui custodito. Si tratta  appunto di Ione il ragazzo eponimo della tragedia di Eurupide.

Oggi voglio interrogare l’oracolo: il  giorno è  propizio.

Ora le cose vanno bene: ho studiato, andrò a pedalare fino alla povera mensa di Fano passando per i colli, una trentina di chilometri,  poi studierò di nuovo. Tra le 20 e le 21 correrò da questo viale della Vittoria al porto canale e ritorno. Sei chilometri circa. In religiosa solitudine.

 A Bologna mi aspettano buone compagnie di femmine e di viri. Non tanti ma buone e buoni Mancano solo gli infanti.

 ajll j, ejpei; kratei'",-ajreta;" divwke (Ione, 439), dico a me stesso, se hai della forza, segui la virtù. Non maltrattare nessuno. Parole sante. Parole di Euripide rivolte da Ione ad Apollo quando ha saputo della violenza inflitta alla donna, Creusa che poi è la madre sua.

Parole anche mie, rivolte a me stesso. Non sono pentito della mia delicatezza.

 

 

Se gli dèi violentano le donne e noi uomini li imitiamo, non è giusto considerare malvagi gli dèi che ci hanno ammaestrati allo stupro?

 

Sarebbe blasfemia attribuire questo ammaestramento anche allo Spirito Santo?  Dimmelo tu lettore.

 

Il Coro canta invocando Atena nata senza che Ilizia venisse chiamata ad assisterla nei dolori del parto:  Prometeo fece nascere la dea dalla testa di Zeus.

L’apollineo  focolare posto al centro della terra-ga'"-mesovmfalo" estiva (Ione, 461-462) invia oracoli presso il tripode intorno al quale si danza. Viene invocata anche l’altra dea vergine: Artemide.

Le donne del coro, le ancelle di Creusa, chiedono figli per la stirpe di Eretteo. I figli sono la salvezza della stirpe e della patria: “to;n a[paida d j ajpostugw' bion”- (488-489), detesto una vita senza figli  e biasimo chi in questa crede.

Vorrei avere una vita con possessi modesti ma ricca di figli.

 

E tu che sei a[pai~, domanderete voi lettori, come la metti?

Io cito il coro di donne della Medea di Euripide

“Affermo che tra i mortali quelli che sono 1090

 del tutto inesperti di figli

e non ne hanno generati, superano nella fortuna

coloro che li generarono. 

Quelli  che sono senza prole- oiJ a[teknoi-, poiché non sanno

se i figli  risultino un piacere o una pena

per i mortali dal momento che non ne hanno avuti,

si tengono lontani da molte sofferenze-pollw'n movcqwn ajpecontai-

Coloro invece che hanno in casa

il dolce germoglio, li vedo tutto il tempo

tormentati dalla preoccupazione 1100,

innanzitutto come allevarli bene

e da dove lasciare il sostentamento ai figli;

e inoltre, dopo tutto, se si affatichino

per dei figli privi di valore

o se per dei figli bravi, questo non è chiaro (1005).

 

Per quanto riguarda il suggerimento di non mettere al mondo dei figli,  aggiungo l’Alcesti di Euripide: Admeto sofferente per la perdita della sposa dice: “zhlw' d j ajgavmou" ajtevknou" te brotw'n” (v. 882) invidio tra i mortali chi è rimasto senza nozze né figli

 

Poi le donne del coro delle Supplici di Euripide, le madri dei Sette caduti a Tebe. Esse prima  rimpiangono la condizione di essere rimaste senza marito e senza figli, ma poi  aggiungono “tiv gavr m j e[dei paivdwn; 789 che bisogno in effetti avevo dei figli?

Mi sbagliavo pensando che sarebbe stato pavqo" perissovn eij gavmwn ajpezuvghn (Supplici, 791) una sofferenza eccessiva se fossi rimasta priva del vincolo matrimomiale, ma ora che ho perso i figli carissimi tevknwn filtavtwn sterei'sa (792), vedo chiaramente dove è il male.

 

 

Augusto quando sentiva menzionare il nipote Agrippa e le due Giulie, figlia e nipote, adattava alla sua situazione il verso dell’Iliade con il quale Ettore assale il fratello che si è comportato vilmente fuggendo alla vista di Menelao.

L’eroe troiano dunque chiama Duvspari il fratello minore, gli dà del donnaiolo e aggiunge ai[q j o[fele" a[gonov" t j e[menai a[gamov" tj ajpolevsqai (III, 40), magari tu non fossi nato e morto senza nozze!

E Augusto: “ai[q j o[felon a[gamov"  t j e[mmenai a[gonov"   t j ajpolevsqai, magari fossi rimasto senza nozze e morto senza figli! (Svetonio, Augusti Vita, 65).ù

 

Certamente ora mi piacerebbe avere una figlia giovane e bella più di me e andare in bici a correre nuotare poi parlare con lei, ma temo che l’avrei amata troppo, fino a perdermi in lei.

Ecco perché il destino non me l’ha concessa. L’ho sostituita, non indegnamente, con altre giovani donne. Ho avuto diverse figlie putative e le ho amate licita mente.

 

Fu davanti alla grotta di Pan che Creusa subì da Apollo- un dio farabutto in Euripide, il sacrilego Euripide-la violenza di amare nozze-pikrw'n gavmwn u{brin (Ione, 506) ed espose il neonato quale banchetto per le belve, cibo sanguinoso- qoivnan qhrsiv te foinivan-dai'ta (505-506)

Non ho mai sentito cantare la felicità dei figli di dei e di mortali (508) conclude il coro delle ancelle di Creusa

 

Pesaro 28 luglio 2022 ore 11, 41

 

giovanni ghiselli

 

 

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