martedì 19 luglio 2022

La nascita della tragedia di Nietzsche . Seconda parte del sommario


 

 

XI Capitolo

Gli autori della commedia nuova, Filemone Difilo e Menandro, quali epigoni di Euripide compirono l’opera di annientamento del mondo eroico della tragedia.

Nelle Rane di Aristofane c’è un dibattito letterario sulla tragedia. Euripide si vanta di averla snellita liberandola dalla enfatica corpulenza della quale la aveva oberata Eschilo.

Dalle Rane parte la linea critica che prosegue con A. W. Schlegel e Nietzsche.

Euripide ha portato lo spettatore sulla scena. Predomina il quinto stato: quello dello schiavo. Euripide non ebbe successo siccome non rispettava il pubblico che preferiva il tradizionalismo di Sofocle.

 

XII Capitolo

Eppure con le Baccanti il tragediografo ebbe una resipiscenza, come il personaggio Cadmo del dramma. Ma per entrambi era troppo tardi (ojyev, 1344).

La potenza demoniaca che uccise Dioniso era quella di Socrate il cui profeta fu Euripide. Nelle sue tragedie non c’è né l’apollineo come calma contemplazione, né il dionisiaco come sentimento dell’unità.

Euripide portò nell’estetica il socratismo etico: tutto deve essere razionale e cosciente per essere bello invece che tutto deve essere cosciente per essere buono, come in Socrate.

Ma Fedra nell’Ippolito (380-385) dice il contrario. Secondo Dodds, Euripide è addirittura il poeta dell’irrazionalismo.

 Pohlenz mette in  rilievo il prevalere dello qumov" in Medea (L’uomo greco, p. 624). Bodei in Geometria delle passioni (p. 231), rileva che Euripide si oppone all’intellettualismo etico di Socrate

Il prologo euripideo e il suo deus ex machina  secondo Nietzsche esemplificano questa sua volontà di razionalizzazione.

“Il grande e ardimentoso Euripide osò fare sentire la parola di Anassagora attraverso la maschera tragica” (La filosofia nell’età tragica dei greci, del 1873)

Platone parla per lo più ironicamente della maniva dei poeti secondo Nietzsche. Ma non è assolutamente così nel Fedro.

 

XIII Capitolo

Socrate collaborò con Euripide nel comporre le tragedie (Diogene Laerzio II, 5, 18). I due contribuirono a corrompere il popolo.

Leopardi considera Socrate un sofista sebbene Platone lo presenti come il “bello e casto parlatore, l’odiator de’ calamistri e de’ fuchi e d’ogni ornamento ascitizio e d’ogni affettazione (Zibaldone 3474).

Socrate biasima quanti agiscono per istinto.

Socrate è il nemico dell’istinto, come un demone che con un maligno pugno di ghiacchio distrugge il mondo ridente (cfr. il Faust di Goethe, I parte, Studio)

Socrate è il non mistico la cui natura logica è per superfetazione sviluppata in maniera abnorme. Il suo demone lo dissuadeva sempre, non lo spingeva mai in avanti (Platone, Apologia di Socrate, 31).

 

XIV Capitolo

Il  grande occhio ciclopico di Socrate puntò la tragedia e vi trovò l’irrazionale

Capiva solo la favola esopica che mise in versi.

Il suo allievo Platone nella Repubblica (377 sgg.) compila un indice dei libri e dei passi proibiti, soprattutto relativamente al mito (di Omero ed Esiodo in particolare). Nel Timeo, Platone afferma che il dio non può essere che buono. Platone sentiva una necessità artistica: bruciò le sue poesie e creò una sua forma d’arte: il dialogo. Ma qui la poesia diventa ancilla della filosofia.

Il coro decade già con Sofocle: non è più il personaggio principale ma uno dei tanti.

 

XV Capitolo

L’ombra di Socrate si è allungata sulla posterità come si estendono le ombre al tramonto. E’ allora che la civetta di Minerva spicca il volo. Comunque i Greci sono ancora gli aurighi della nostra cultura.

Socrate distrusse la tragedia e fu il mistagogo della scienza, iniziò l’umanità ai suoi misteri.

La scienza giunta al suo limite però ritorna al mito (cfr. il buco nero)

 

XVI Capitolo

La musica è l’immagine della stessa volontà, non dell’apparenza che compare nel velo di Maya. L’eroe è la più alta immagine dell’apparenza e la sua morte non cì addolora perché egli è solo apparenza, e la vita eterna della volontà non viene toccata dalla sua distruzione

 

XVII Capitolo

L’arte dionisiaca dunque ci dà una consolazione metafisica.

I Greci sono eterni fanciulli (cfr.Platone, Timeo, 22b) e non sanno quale sublime giocattolo abbiano creato poi distrutto. E’ stato l’ottimismo della scienza a uccidere la tragedia.

Del resto la scienza quando raggiunge il limite estremo torna al mito, quindi alla tragedia (Cfr. Il Frankestein di Mary Shelley).

Eschilo rappresenta scontri di civiltà (matriarcato contro il patriarcato che prevale).

Sofocle limita la visuale allo scontro di caratteri interi raffigurati con finezza psicologica.

Euripide la restringe ancora raffigurando soltanto tratti caratteristici, e, infine, i suoi epigoni della commedia attica rappresentano solo maschere con un’unica espressione. Sofocle nell’Edipo a Colono annuncia  la consolazione metafisica (v. 394).  Euripide la sostituisce con il deus ex machina.

 

XVIII Capitolo

A Socrate, Euripide, e alla Commedia nuova, segue e consegue la cultura alessandrina dell’uomo teoretico. Una cultura che a lungo andare disgusta chi la pratica, come si vede nel Faust di Goethe, tragedia e personaggio. Una cultura che per durare necessita di una classe di schiavi. Una cultura che accumula sapere senza giungere alla sapienza (cfr. Euripide, Baccanti, 395). Essa elimina lo stupore, e non è capace di benedire la vita in tutta la sua durezza e crudeltà, come fa la tragedia. Già l’Edipo di Sofocle anticipa l’uomo teoretico esaltando la propria gnwvmh (Edipo re, 398) ma Sofocle lo confuta. La cultura alessandrina non potenzia la natura di chi la crea e non sa trattare come vivo ciò che è vivo. Mortifica piuttosto. Le manca la capacità di creare e der Wille zum Leben, la volontà di vita.

 

XIX Capitolo

L’opinione che la parola debba prevalere sulla musica, come avviene nel recitativo, è rozza. Nel Rinascimento, alla fine del ‘500 invero nella Camerata fiorentina Bardi, nasce il melodramma. Ma il suo protagonista è l’uomo idillico, il pastore che deriva dalla cultura ottimistica socratico alessandrina ed esala un profumo dolciastro. Un essere bamboleggiante. Ma con la musica tedesca di Bach, Beethoven e Wagner risorge la tragedia antica. Eracle non rimane sempre infiacchito nella voluttuosa soggezione a Onfale (cfr. Trachinie, 70)

 

XX Capitolo

 Winckelmann con la sua edle Einfalt und stille  Größe nobile semplicità e quieta grandezza (Storia dell’arte antica, 1764) non è giunto al nocciolo della cultura greca.  Nemmeno Schiller e  Goethe  sono saliti sulla montagna incantate ellenica,  der Zauberberg. Sono rimasti allo sguardo nostalgico di Ifigenia che, confinata in Tauride,  rimpiange la Grecia.

Nella cultura attuale Schopenhauer è paragonabile al cavaliere dell’incisione a bulino di Albrecht Dürer ( 1513) che procede imperturbato dai suoi orrendi compagni-la morte e il diavolo-, solo con il destriero e il cane .

 

XXI Capitolo

Apollo è il formatore di Stati, Dioniso induce all’estasi. Partendo da Apollo si può giungere alla volontà di potenza imperialistica dei Romani, partendo da Dioniso al buddismo indiano che aspira al nulla. Ebbene i Greci posti tra Oriente e Occidente non si esaurirono in una meditazione estatica né in una caccia alla potenza del mondo. La loro è una mikth; paideiva, mista di apollineo e dionisiaco.

La musica sembra negare l’esistenza individuale in quanto dà voce alla volontà universale.

 Tristano dice “Oed’ und leer das Meer” (Tristan und Isolde, I, 5-8).

Ma la forza apollinea ripristina l’individuo.

L’apollineo ci solleva dall’orgiastico annullamento di sé. Alla fine prevale Dioniso ma Apollo non sparisce e i due dèi affratellati frequentano insieme le rupi delfiche come leggiamo nelle Baccanti di Euripide dove Tiresia dice a Penteo:

“Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche 306

saltare con le fiaccole sull'altopiano a due cime

agitando e scagliando il bacchico ramo,

grande per l'Ellade. Via Penteo, da' retta a me:

non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini, 310

e non credere, se tu hai un'opinione, ma è un'opinione malata,

di capire qualcosa; invece accogli il dio nella nostra terra

e fai libagioni e baccheggia e incoronati la testa. 313

Pesaro 19 luglio 2022 ore 17, 35

giovanni ghiselli

p. s.

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