giovedì 14 luglio 2022

Elettra di Euripide parte settima. Quattro versi che ora sono del tutto fuori moda


 


 

Vediamo un contrasto tra madre e figlia nell’ultima parte dell’Elettra di Sofocle

Egisto è già stato ucciso da Oreste ma Clitennestra non lo sa, e va a trovare la figlia poiché le hanno fatto credere che Elettra ha partorito. Prima che arrivi la madre, Elettra pronuncia il biasimo funebre, la damnatio memoriae di Egisto muovendogli accuse di uomo manovrato da una donna e di stupratore di ragazze. Egisto dunque era solo un appendice di Clitennestra, prendeva identità da lei.

Quindi dice parole che ora sono del tutto fuori moda e, perciò, degne di essere riportate anche perché ogni buon conformista le censurerebbe:

“è vergognoso che a comandare sulle case sia la donna, non l’uomo, e odio i figli che nella città non prendono il nome dal padre, dal maschio, ma dalla madre” (932-935)

Deve trattarsi di una polemica nei confronti delle donne spartane che gli Ateniesi consideravano dissolute e prepotenti.

 

Clitennestra entra in scena e il coro di donne schiave la saluta come regina-

cai`r j , w\ basivleia (997) , salve o regina.

La donna chiede l’aiuto della mano delle ancelle per scendere dal carro, ma Elettra le domanda perché non abbia chiesto la mano a lei, alla figlia.

La madre le risponde freddamente : “ci sono queste serve, tu non disturbarti per me-“dou`lai pavreisin ai{de , mh; su moi povnei” (1007)

Potrebbe essere la battuta di un’amante indispettita all’amante in competizione secondo la consuetudine che Eros si associa spesso a Eris.

Elettra seguita nella polemica rinfacciando alla madre il trattamento da serva che ha ricevuto e altri maltrattamenti. Se dunque pure lei, la principessa figlia del re e della regina,  vive la vita di una schiava, perché farsi aiutare da schiave estranèe? Detto con ironia,  come si fa quando non ci si fida e non ci apriamo.

 

 

Vediamo ora Clitennestra che  si giustifica dell'assassinio di Agamennone davanti ai figli in procinto di ucciderla, ricordando loro i torti subiti dal marito,  Agamennone, giustiziato dunque per le sue numerose malefatte.

Intanto ammazzò la primogenita in maniera spietata:"leukh;n dihvmhs j [1]  jIfigovnh" parhΐda " (v. 1023), lacerò la bianca guancia di Ifigenia. E non lo fece per difendere la sua città o per salvare altri figli, ma per recuperare Elena che schiumava di lussuria (mavrgo~ h\n, era dissoluta, v. 1027), e Menelao era incapace di punire una moglie infedele. Inoltre tornò a casa dalla moglie portandosi dietro una menade invasata[2] e la infilò nel letto   ("mainavd j e[nqeon kovrhn-levktroi" t j ejpeisevfrhke[3]", vv. 1032-1033).

Tali giustificazioni compariranno come avvertimenti di Clitennestra ad Agamennone nell’Ifigenia in Aulide di Euripide

Elettra replica alla madre  che lei e sua sorella Elena erano donne belle e degne di lode per tanta avvenenza, però sono  state

a[mfw mataivw Kavstorov~ t j oujk ajxivw” (v. 1064), entrambe stolte e non degne del loro fratello Castore. Elena infatti venne rapita ejkou`~  j (1064) non senza il suo consenso e la sua volontà, e andò in rovina- ajpwvleto 1065- ma non chiarisce in quali termini-, mentre tu, che avresti potuto fare una bella figura al confronto con la sorella adultera, hai assassinato il marito.

La storia di vendicare Ifigenia è una scusa, continua la figlia accusatrice: quando Agamennone era appena partito e Ifigenia era viva, tu ti facevi bella: davanti allo specchio ti accomciavi i riccioli biondi della chioma- xanqo;n katovptrw/ plovkamon ejxhvskei~ kovmh~- 1071

La donna che in assenza del marito si adopera per farsi bella- ej~ kavllo~ ajskei`- 1073  va annoverata tra le malefemmine dunque

Inoltre Elettra rinfaccia alla madre il fatto che, unica tra tutte le donne greche, si rallegrava quando i Troiani avevano successo e si affliggeva per le vittorie dei Greci poiché si augurava che Agamennone non tornasse da Troia.

Succede in non poche coppie che entrambi temano i successi dell’altro perché incrementerebbero le possibilità di scelta dell’amante.

Elettra poi domanda alla madre quale torto le abbiano fatto lei e Oreste, se pure Agamennone aveva ucciso la primogenita. Loro due erano stati derubati dalla madre misqou` tou;~ gavmou~ wjnoumevh (1090)  intenta a comprarsi con il denaro le nozze-

 

Questa espressione è interessante perché si può, e si deve, collegare a quanto dice Medea:

 Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio,

 noi donne siamo la creatura più tribolata:

noi che innanzitutto dobbiamo comprare un marito- povsin privasqai-

con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone- despovthn te swvmato~-

 del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male” (Euripide Medea, 230-234).

 

Il testo di un autore va commentato prima di tutto con altri testi del medesimo autore per dare una visione d’insieme dell’autore stesso.

Non l’ho mai visto fare a scuola ma non  me lo sono inventato: lo chiarisce già il filologo Alessandrino Aristarco di Samotracia.

 

 A questo proposito cito 5 righe della mia metodologia:

“Buona norma è commentare i poeti con i poeti: il testo di un autore innanzitutto con altri testi dello stesso autore, secondo il criterio del filologo Aristarco di Samotracia[4]   per il quale bisogna spiegare Omero con Omero : “  {Omhron ejx   JJOmhvrou safhnivzein"[5]; poi vanno  considerati i commenti  degli autori ottimi agli autori precedenti. Si possono utilizzare, per fare solo due esempi, Quintiliano[6] e Leopardi[7] come critici”.

 

Elettra conclude il discorso di accusa alla madre con una sentenza di morte: “ti ammazzerò io e il figliolo Oreste- ajpoktenw` s’j ejgw;-kai; pai`~  jOrevsth~  vendicando il padre (1094-1095).  Noto che la ragazza non dice il figlio tuo Oreste, ma solo “Oreste figlio”, come fosse figlio suo.

La corifea commenta con una sentenza generale dicendo che le nozze delle donne si trovano sul filo del rasoio della sorte: “tuvch gunaikw`n ej~ gavmou~” (1100): “ta; me;n ga;r eu\,- ta; d’ ouj kalw`~ pivptonta devrkomai botw`n” (1100- 10101), con sguardo acuto vedo che alcune cadono bene, altre in modo non bello tra i mortali.

 

A proposito del verbo devrkomai cito parole di Bruno Snell

:"Omero usa per esempio una grande quantità di verbi che descrivono l'atto di vedere: oJra'n, ijdei'n, leuvssein, ajqrei'n, qea'sqai, skevptesqai, o[ssesqai, dendivllein, devrkesqai, paptaivnein. Di questi, parecchi sono caduti in disuso nel greco successivo, per lo meno nella prosa, vale a dire nella lingua viva, per esempio devrkesqai, leuvssein, o[ssesqai, paptaivnein...Dalle parole cadute in disuso si può vedere quali fossero le necessità della lingua antica, divenute estranee alla lingua più recente. devrkesqai significa: avere un determinato sguardo. dravkwn, il serpente il cui nome è tratto da devrkesqai, viene chiamato così, poiché ha uno "sguardo" particolare, sinistro. E' detto il "veggente", non perché ci veda meglio di altri e la sua vista funzioni in modo speciale, ma perché ciò che colpisce in lui è il guardare. Così la parola devrkesqai indica in Omero non tanto la funzione dell'occhio, quanto il lampeggiare dello sguardo, percepito da un'altra persona...E' una maniera molto espressiva di guardare; e che molti passi della poesia di Omero riacquistino la loro particolare bellezza soltanto quando ci si rende conto del vero valore di questa parola, lo può dimostrare l'Odissea , V, 84-158: (Ulisse) povnton ejp& ajtruvgeton derkevsketo davkrua leivbwn. devrkesqai significa "guardare con uno sguardo particolare" e risulta dall'insieme che si tratta di uno sguardo pieno di nostalgia, che Ulisse, lontano dalla patria, manda là dal mare. Se vogliamo rendere in modo esauriente tutto il significato della parola derkevsketo ( e dobbiamo rendere anche il valore dell'iterativo), ecco che diventiamo prolissi e sentimentali:"sempre guardava con nostalgia..." oppure:"il suo sguardo sperduto vagava sempre" sul mare. Tutto ciò è contenuto a un dipresso nella singola parola derkevsketo. E' un verbo che dà un'immagine precisa di un particolare modo di guardare glotzen (=spalancar gli occhi) o starren (=fissare), che determinano un particolare modo di guardare (per lo meno in maniera diversa dalla solita). Anche dell'aquila si può dire: ojxuvtaton devrketai, "guarda con occhio molto penetrante", ma anche qui non ci si riferisce tanto alla funzione dell'occhio, alla quale usiamo pensar noi quando diciamo "guardare acutamente", "fissare qualcosa con sguardo acuto", quanto ai raggi dell'occhio, penetranti come i raggi del sole, che Omero chiama "acuti", poiché attraversano ogni cosa come un'arma affilata"[8].

 

Pesaro 14 luglio 2022 ore 18, 43

giovanni ghiselli

p. s.

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Bello lo scontro agonistico cavalleresco tra lo sloveno Pogačar e il rivale danese Vingegaard che ieri lo ha battuto al Tour. Solo questi dovrebbero essere tutti gli agoni.

 

 

  Lugliol da verso 1102

 

 

 

 

 

 

 



[1]       Aoristo di diamavw. Un sostituto simbolico della deflorazione.

[2]        Cassandra ovviamente.

[3]       Aoristo di ejpeisfrevw. Si noti ancora la presenza del letto il mobile piùimportante della casae della vita.

[4] 217 ca-145 a. C.

[5]  Schol. B a Z 201.

[6] 35 ca-95 ca d. C.

[7] 1798-1837.

[8]B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 20-21.

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