domenica 24 luglio 2022

Eracle di Euripide (416 circa) Prima parte.


 

 

Eracle è segno di contraddizione, come Cristo, come Socrate. La facies più nota, il cotè prevalente è quello dell’eroe civilizzatore e alla fine di questa sua carriera diviene h[rw" qeov", c’è l’apoteosi  un poco come per il parricida e incestuoso Edipo nell’ultima tragedia di Sofocle

Non mancano l’incesto né l’uccisione dei consaguinei nemmeno nel personaggio di Eracle.

In questa tragedia Eracle viene fatto impazzire da Era.

Prologo (1-106)

Nel prologo Anfitrione si presenta come figlio di Alceo, nipote di Perseo e padre di Eracle. Il vecchio che è Argivo,  si trova a Tebe , la città degli Sparti dove regnava Creonte figlio di Meneceo e padre di Megara che Eracle sposò.

Poi però Eracle è andato ad Argo da dove Anfitrione è dovuto andare in esilio per avere ucciso il suocero Elettrione, padre di Alcmena.

 Eracle per potere rimanere ad Argo e portarci i suoi, ha offerto a Euristeo misqo;n mevgan (19), un alto prezzo del ritorno (kaqovdou): ejxhmerw'sai gai'an (20), bonificare la terra, liberarla dai mostri (h{mero", domestico, mite, mansueto).

L’eroe è  domato dagli sproni  di Era e agisce secondo  la necessità (tou' crew;n mevta, 20).

 

La necessità

La necessità è la potenza superiore a tutte già nell’Alcesti del 438 e ancor prima nel Prometeo incatenato di Eschilo.

Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “ tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.

Cfr. a questo proposito Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C. 

Avanzando nella Sogdiana Al. si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).

 

Il potere assoluto dell'  jjjjAnavgkh  verrà apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti.  Nel terzo Stasimo della tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute,  il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:

"Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972). Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.

Alcuni versi prima, nel terzo episodio, Eracle aveva affermato l’impotenza della tevcnh nei confronti della tuvch: “non è chiaro dove procederà il passo della sorte (to; th'" tuvch"), e non è insegnabile (ouj didaktovn) e non si lascia prendere dalla tecnica (oujd  j aJlivsketai tevcnh/ )” (vv. 785-786)

 

La fatica in corso è quella relativa a Cerbero: Eracle è andato nell’Ade Tainavrou dia; stoma, attraverso la bocca del Tenaro e di là non è tornato.

 

La catabasi nelle Rane

Nelle Rane di Aristofane,  Dioniso chiede a Eracle di insegnargli la strada che fece quando andò a prendere Cerbero. Dove sono i porti (livmenaς) le panetterie (ajrtopwvlia) i bordelli pornei'a, le fermate, i crocicchi, le fontane (krhvnaς), strade, città. Alloggi dove ci sono meno cimici. C’è specularità tra il mondo terreno e quello infero.

La via più breve, dice Eracle è il suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la cicuta

    Quindi  Eracle racconta il suo viaggio. Si arriva a un grande lago, poi si sale su una barchetta dove un gevrwn nauvthς, un vecchio barcaiolo, ti traghetterà per due oboli (cfr. la Morte a Venezia e il ramo d’oro dell’Eneide). Due oboli era il compenso medio degli Ateniesi, quindi Eracle dice che laggiù l’usanza fu portata da Teseo.

Poi si passa tra i dannati: bovrboron, fango, to; skw'r -skatovς merda, scatologia, parlare di escrementi.

Dentro ci sta chi offese l’ospite xevnon hjdivkhse, o chi ha inculato un ragazzo senza pagarlo- h} pai'da kinw'n tajrguvrion uJfeivleto,  chi ha picchiato la madre o il padre, chi ha giurato falso ejpivorkon o{rkon w[mosen (150) e il drammaturgo che commette plagio da Morsimo, scadente poeta tragico.

Più avanti si trovano gli iniziati (oiJ memuhmevnoi da muevw, inizio ai misteri) tra uno spirar di flauti aujlw'n pnohv (154) e una luce bellissima fw'ς kavlliston , come qui w[sper ejnqavde.

Là vedrai tiasi beati di uomini e donne e un gran battere di mani krovton ceirw'n poluvn (155).

 

Una volta su Tebe-continua Anfitrione nel prologo dell’Eracle-regnavano Lico e Dirce, poi Anfione e Zeto, figli di Zeus e Antiope.

Questi costruirono le mura di Tebe (cfr. Odissea, XI, 260-265 dove Antiope è detta figlia di Asòpo)

 I due fratelli Anfione e Zeto, i dioscuri tebani, uccisero Lico e Dirce che aveva maltrattato la loro madre Antiopo. Lico era fratello di Nitteo, il padre di Antiope e secondo alcune versioni del mito l’aveva sposata prima di Dirce. Anfione sposò Niobe figlia di Tantalo e sorella di Pelope..

 

Un figlio di Lico, di nome Lico pure lui, ha ucciso Creonte e regna su Tebe dopo essere piombato sopra la città malata per la guerra civile-stavsei nosou'san thvnd j ejpespesw;n povlin (34).

 La parentela (kh'do") con Creonte, padre di Megara è per gli Eraclidi e la madre kako;n mevgiston (36).

 Ora Lico, dopo avere ammazzato il padre e i fratelli di Megara, vuole uccidere anche Megara e i suoi figli  poiché teme la vendetta. I perseguitati siedono sull’altare di Zeus eretto da Eracle dopo la vittoria sui Minii.

 

La famiglia

Ho cercato di fare chiarezza tra tutti questi nomi. La famiglia nella tragedia greca è un luogo di odio e delitti tra persone dello stesso sangue.

Trovo del tutto spropositato quanto dicono i preti, i vescovi, i cardinali che non “tengono famiglia” a proposito di questo legame che vincola molte persone a una convivenza penosa se non anche proprio delittuosa.

Cito alcune parole di Papa Francesco che pure per molti versi stimo: “Il mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate a una missione educativa primaria e imprescindibile”

Il primo preside che ho avuto nella nostra Vandea diceva che non dovevo educare i miei allievi perché questo era compito delle famiglie. I bambini delle medie nel veneto profondo allora dovevano imparare anche la lingua italiana a scuola.

Ma torniamo a Bergoglio: “Esse-le famiglie-costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro” (Papa Francesco, Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, paragrafo 114)-

Io credo invece che le tragedie greche e quelle di Shakespeare abbiano colto la tipicità delle famiglie raccontando le vicende dei Pelopidi, dei Labdacidi e dei Plantageneti, sia pure con qualche estremizzazione.

 

 

Torniamo al personaggio di Eracle- Ercole.

 Ercole in Ovidio

Nel I libro dei Fasti[1] di Ovidio Eracle costruisce e dedica a se stesso l’ara Maxima

Qui Caco è Aventinae timor atque infamia silvae (I, 551) un mostro kakov" contrapposto a Evandro, l’uomo buono. Dall’ingresso della caverna pendono teschi e braccia inchiodate ora super postes affixaque brachia pendent (I, 557) e il suolo squallido biancheggia di ossa umane,

Squalidaque humanis ossibus albet humus (558). 

I buoi rubati a Ercole  muggirono rauco sono (560). L’eroe disse accipio revocāmen (561) accolgo il richiamo. Il racconto è velocizzato e semplificato, il pathos è attenuato rispetto a Virgilio (Eneide, VIII)  

La vicenda si conclude con l’ ai[tion dell’ara Massima: il vincitore immola a Giove uno dei tori rubati e costruisce a se stesso un’ara detta Massima

Constituitque sibi quae Maxima dicitur aram

Hic ubi pars Urbis de bove nomen habet  (581-582).

E’ il Forum Boarium dove si trovava la statua bronzea di un bue.

 

I supplici sono bisognosi di tutto continua Anfitrione: pavntwn crei'oi, sivtwn, potw'n ejsqh'to"  di cibo, bevande e vesti (51-52) e mantengono la posizione nel tempio con  le costole stese ajstrwvtw/ pevdw/ (52) sul pavimento nudo, senza coperte. Vengono in mente i nostri profughi.

 Degli amici, alcuni  Anfitrione  vede ouj safei'", non chiari, altri ajduvnatoi proswfelei'n (56), impossibilitati a portare aiuti. Tale è la duspraxiva, la sventura per gli uomini. Non auguro a nessuno di dover provare questa verifica davvero infallibile degli amici-fivlwn e[legcon ajyeudevstaton (59).

 

Il tema dell’amicizia e della gratitudine è presente in diverse tragedia di Euripide.

 

Euripide mette in evidenza il grande valore della gratitudine quale componente dell'amicizia in questa tragedia dove Teseo non ha dimenticato l'aiuto ricevuto dall'amico che lo ha riportato alla luce dal regno dei morti (v. 1222).

Il re di Atene, disponendosi ad aiutare Eracle, gli dirà:" cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn" (Eracle, v. 1223), io odio la gratitudine degli amici che invecchia e detesto chi vuole godere delle cose belle ma non imbarcarsi con gli amici quando se la passano male.

 Pure Sofocle attribuisce grande valore alla gratitudine considerandola una virtù senza la quale non può darsi animo nobile: Tecmessa per indurre Aiace a non suicidarsi ripete la parola chiave cavri" in poliptoto :"cavri" cavrin gavr ejstin hJ tivktous j ajeiv:-o{tou d j ajporrei' mnh'sti" eu\ peponqovto",-oujk a]n gevnoit j ou|to" eujgenh;" ajnhvr" ( Aiace, vv. 522-524), la riconoscenza infatti genera sempre riconoscenza; quello dal quale cade il ricordo del bene ricevuto, ebbene costui non può essere un uomo nobile. 

Nel Filottete Neottolemo afferma che l'amicizia di un uomo capace di gratitudine vale più di qualsiasi tesoro:"o{sti" ga;r eu\ dra'n eu\ paqw;n ejpivstatai-panto;" gevnoit j a]n kthvmato" kreivsswn fivlo" " (vv. 672-673), infatti chi sa fare il bene dopo averlo ricevuto, dovrebbe essere un amico più prezioso di ogni ricchezza.  

Euripide i nell'Oreste [2]  fa dire al protagonista, in lode dell'amicizia di Pilade:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di mille consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)"(vv. 804-806).

Si può pensare del resto che già nell'Alcesti[3] il drammaturgo rappresenta una sposa la quale sacrifica per il marito la propria vita dopo che il padre e la madre di lui si erano rifiutati di donargli la loro.

Plutarco nella Vita di Solone racconta che il legislatore ateniese permise a chi non aveva figli di lasciare in eredità i propri beni anche fuori dalla famiglia in quanto “filivan te suggeneiva~ ejtivmhse ma`llon kai; cavrin ajnavgkh~(21, 3), valutò l’amicizia più della parentela e l’affetto più dei vincoli di sangue. 

 

Entra Megara che lamenta la volubilità della sorte: era  figlia di Creonte celebrato per la sua prosperità, po sposa di Eracle, ma ora tutti quei beni sono volati via ajnevptato (aor III m di ajnapevtomai) scomparsi qanovnt j  (69) e noi mevllomen qnh/skein (70) stiamo per morire mentre cerco di salvare i figli come un uccello che mette sotto l’ala i pulcini (swv/zw neossou;" o[rni" w}" uJfeimevnh 72- uJfivhmi, perf m uJfei'mai).

 

Pesaro 24 luglio 2022 ore 18, 15



[1] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare  gli antichi miti e costumi latini.

[2] Del 408 a. C.

[3] Del 438 a. C.

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