mercoledì 27 luglio 2022

Euripide Eracle Quindicesima parte Traduzione da verso 1163 al v. 1228


 

Segue un lungo excursus su gratitudine e ingratitudine per commentare gli ultimi versi

 

Teseo

Sono giunto con altri che lungo le correnti dell’Asopo

attendono, giovani in armi della terra di Atena,

recando, o vecchio, una schiera alleata a tuo figlio. 1165

Infatti nella città degli Erettìdi è giunta notizia

che Lico avendo usurpato lo scettro di questa terra

sta in guerra contro di voi e vuole combattere.

A rendere il contraccambio dei benefici che per primo mi fece Eracle

salvandomi  dagli inferi, sono venuto, vecchio, se c’è bisogno in qualche modo/

della mano mia o degli alleati.

Ah! Perché il suolo è pieno di questi cadaveri?

Sono forse rimasto indietro e rispetto ai mali recenti,

 sono giunto in ritardo? Chi ha ucciso questi figlioli?

Di chi è stata sposa la donna che vedo qui?

Infatti i fanciulli non stanno nei pressi della battaglia

Ma forse trovo una disgrazia inaudita 1177

 

Anfitrione

Signore che regni sul colle che produce olivi…

 

Teseo

Perché mi hai chiamato con un esordio lamentoso?

 

Anfitrione

Abbiamo subìto pene  atroce dagli dèi  ejpavqomen[1] pavqea mevlea pro;" qew'n- 1180

 

Teseo

Questi bambini per i quali versi lacrime, chi sono?

 

Anfitrione

Li generò mio figlio infelice,

e dopo averli  messi al mondo li ha uccisi osando versare sangue del suo sangue

 

Teseo

Fai silenzio! (1185)

 

Anfitrione

Tu dai ordini a chi vorrebbe

 

Teseo

Oh stai dicendo cose terribili

 

Anfitrione

Siamo rovinati, siamo rovinati, dispersi nell’aria.

 

Teseo

Che cosa dici, per avere fatto che cosa?

 

Anfitrione

Da furente attacco fuorviato

E con le tinture velenose

 dell’idra dalle cento teste

 

Teseo

La battaglia è di Era, Ma chi è questo tra i morti, vecchio?

 

Anfitrione

Questo è mio, mio figlio tribolatissimo, lui che

andò alla guerra e con gli dèi distrusse i giganti

 nella piana di Flegra armato di scudo 1192

 

Teseo

Ahi, ahi, quale uomo nacque così sventurato? 1195

 

Anfitrione

Non potresti conoscerne un altro

più travagliato ed errabondo tra i mortali.

 

Teseo

Perché nasconde nel mantello il misero capo?

 

Anfitrione

Poiché si vergogna del tuo sguardo,

dell’ amicizia fraterna

e del sangue dei figli ammazzati 1201

 

Teseo

Ma  se io  sono venuto almeno a condividere il dolore:  scoprilo

 

Anfitrione

O figlio, lascia cadere dagli occhi

il mantello, gettalo via: il volto mostralo al sole.

Un contrappeso lotta con le lacrime:

ti supplico mentre mi prostro al mento, 

 alle ginocchia e alla tua mano, versando

lacrime vecchie; ahi figlio, trattieni

il pathos di leone feroce, dal quale

sei spinto ad una corsa sanguinosa, empia

volendo aggiungere mali ai mali, figliolo (1213)

 

Teseo

Avanti, a te che siedi  su seggi infelici

dico di mostrare il tuo volto agli amici 1215.

Infatti nessuna tenebra ha un nembo così nero

aa nascondere la sciagura dei tuoi mali 1217

Perché agitando la mano mi segnali il terrore? Perché non mi colpisca la contaminazione delle tue parole?

Non mi preoccupa proprio stare male con te;

infatti una volta ho avuto fortuna, ed è là che ci si deve riportare:

quando mi hai portato fuori dai morti  fino alla luce.

Detesto la gratitudine degli amici che invecchia  1224

Cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn

 e chiunque voglia approfittare dei beni

ma non navigare con gli amici quando hanno sfortuna 1226

Alzati, scopri il misero capo,1227

guarda verso di me. Chi tra i mortali è nobile

sopporta le cadute provocate dagli dèi e non le rifiuta1228

E’ una anticipazione della provnoia stoica

 

 

L'ingratitudine. Un excursus

 Nella Ciropedia   di Senofonte leggiamo che un motivo serio di punizione  e disonore tra i Persiani è l'ingratitudine (ajcaristiva):"kai; o}n aj;n gnw'si dunavmenon me;n cavrin ajpodidovnai, mh; ajpodidovnta dev, kolavzousi kai; tou'ton ijscurw'". Oi[ontai ga;r tou;" ajcarivstou" kai; peri; qeou;" a]n mavlista ajmelw'" e[cein kai; peri; goneva" kai; patrivda kai; fivlou""(I, 2, 7), e quello di cui sanno che potendo contraccambiare un favore, non lo contraccambia, lo puniscono severamente. Credono infatti che gli ingrati trascurino completamente gli dei, i genitori, la patria e gli amici.

 "Come cosa caratteristica dei Persiani-osserva Jaeger-  Senofonte rileva che l'ingratitudine è severamente punita in questo tribunale, in quanto essa appare come origine dell'impudenza e pertanto di ogni malvagità"[2]. 

L'ingratitudine è biasimata come vizio capitale già nell’Odissea da Penelope saggia ( "perivfrwn") quando  rimprovera gli Itacesi dicendo all'araldo:"ajll j oJ me;n uJmevtero" qumo;" kai; ajeikeva e[rga--faivnetai, oudev tiv" ejsti cavri" metovpisq  j eujergevwn"( IV, 694-695), il vostro animo appare evidente e indegne le vostre azioni, e non c'è più gratitudine alcuna in seguito ai benefici.

Nei Memorabili  di Senofonte, Socrate fa notare al figlio Lamprocle che particolarmente grave è considerata ad Atene l'ingratitudine verso i genitori, e per questa mancanza di riconoscenza sono previste delle pene, mentre negli altri casi, la città si limita a disprezzare coloro i quali ricevendo del bene non mostrano gratitudine:"periora'/ tou;" eu\ peponqovta" cavrin oujk ajpodovnta""(II, 2, 13).

Nella commedia pastorale As you like it (1599) di Shakspeare il nobile musico Amiens rifugiatosi con il suo duca spodestato nella foresta di Arden, canta: “Blow, blow, thou winter wind,-Thou art not so unkind-As man’s ingratitude.-Thy tooth is not so keen,-Because thou art not seen-Although thy breath be rude-…Freeze, freeze, thou bitter sky-That dost not bit so nigh-As benefits forgot” (II, 7), soffia, soffia, tu vento d’inverno, tu non sei tanto scortese, quanto l’ingratitudine umana. Il tuo dente non è tanto aguzzo  perché non ti si vede, anche se il tuo fiato è aspro…Gela, gela, tu amaro cielo, che non mordi così dentro quanto i benefici scordati.

 

L'ingratitudine è il marchio della persona volgare: Nietzsche nel 1864 (a vent'anni) scrisse una Dissertazione  su Teognide di Megara  simpatizzando con le teorie del lirico antico. Lo colpì fortemente il biasimo espresso  per l'ingratitudine dell'animo plebeo:"Teognide ritiene che non c'è niente di più vano e di più inutile che fare bene ad un plebeo, dal momento che non ringrazia mai [3].Quindi cita alcuni versi della Silloge  (105-112) che riporto in traduzione mia :

"E' un favore del tutto vano fare del bene ai vili:/è come seminare la superficie del mare canuto./Infatti seminando il mare, non mieti folta messe,/né facendo del bene ai malvagi puoi riceverne bene in cambio:/ché i malvagi hanno mente insaziabile: se tu sbagli,/l'affetto per tutti i favori di prima si versa per terra./I buoni invece gustano al massimo quanto ricevono("oiJ d  jajgaqoi; to; mevgiston ejpaurivskousi paqovnte"", v. 111),/e serbano memoria dei beni e gratitudine in seguito".

L'immagine della semina del mare risale ad Alceo:"chi fa doni a una puttana è come se li gettasse nelle onde del mare canuto" (fr. 117 Voigt).   

 

 Senofonte  nella Ciropedia[4] annette al vizio capitale dell'ingratitudine quello dell'impudenza che anzi considera madre di tutte le turpitudini:"e{pesqai de; dokei' mavlista th'/ ajcaristiva/ hJ ajnaiscuntiva: kai; ga;r au}th megivsth dokei' ei\nai ejpi; pavnta ta; aijscra; hJgemwvn"(I, 2, 7), pare che all'ingratitudine di solito si accompagni l'impudenza: questa infatti sembra essere la guida più grande verso tutte le brutture.

"E qui ci torna in mente l'importanza data da Platone e da Isocrate all'aidòs , senso di onore e di pudore, per l'educazione dei giovani come per la conservazione di ogni ordine sociale"[5]. Come si vede Senofonte, al pari di Euripide , stabilisce un nesso tra cavri" e aijdwv". Il tragediografo mette in evidenza il grande valore della gratitudine quale componente dell'amicizia nell'Eracle dove Teseo non ha dimenticato l'aiuto ricevuto dall'amico che lo ha riportato in luce dal regno dei morti (v. 1222) e, disponendosi ad aiutarlo, gli dice:" cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn" (v. 1223), io odio la gratitudine degli amici che invecchia, e chi vuole godere delle cose belle ma non imbarcarsi con gli amici quando se la passano male.

 Pure Sofocle attribuisce grande valore alla gratitudine considerandola una virtù senza la quale non può darsi animo nobile: Tecmessa per indurre Aiace a non suicidarsi ripete la parola chiave cavri" in poliptoto :"cavri" cavrin gavr ejstin hJ tivktous j ajeiv:-o{tou d j ajporrei' mnh'sti" eu\  peponqovto",-oujk a]n gevnoit j ou|to" eujgenh;" ajnhvr" (Aiace, vv. 522-524), la riconoscenza infatti genera sempre riconoscenza; quello dal quale cade il ricordo del bene ricevuto, ebbene costui non può essere un uomo nobile.

Dopo il suicidio dell’eroe, nell’esodo della tragedia, Teucro aggredito da Agamennone lamenta la caducità della gratitudine: “Feu': tou' qanovnto" wJ" tacei'a ti" brotoi'"-cavri" diarrei' kai; prodou'" j aJlivsketai” (Aiace, vv. 1266-1267), ahi, come svanisce rapida per i mortali ogni gratitudine verso un morto e cade tradita”.

 L’Aiax mastigophorus di Livio Andronico traduce liberamente: “praestatur laus virtuti, sed multo ocius/verno gelu tabescit”, Al valore si offre lode ma questa  si scioglie molto più in fretta del gelo a primavera. 

Nel Filottete di Sofocle, Neottolemo afferma che l'amicizia di un uomo capace di gratitudine vale più di qualsiasi tesoro:"o{sti" ga;r eu\  dra'n eu\ paqw;n ejpivstatai-panto;" gevnoit j a]n kthvmato" kreivsswn fivlo" " (vv. 672-673), infatti chi sa fare il bene dopo averlo ricevuto, dovrebbe essere un amico più prezioso di ogni ricchezza.  

 

Secondo Shakespeare fu l'ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, a vincere la resistenza del grande Cesare che allora cadde:"Ingratitude, more strong than traitors' arms,/quite vanquished him: then…great Caesar fell" (Giulio Cesare , III, 2). 

Nel Tito Andronico l'imperatrice Tamora, ex regina dei Goti, suggerisce all'imperatore Saturnino di prendere tempo prima di annientare la fazione di Tito che lo ha appoggiato nell'ascesa al trono: rischierebbe di essere soppiantato "for ingratitude,/Which Rome reputes to be a heinous sin" (I, 1), che Roma considera essere un peccato odioso.

 

In effetti Catullo lamenta l’ingratitudine generale: “omnia sunt ingrata. Nihil fecisse benigne./immo etiam taedet, taedet obestque magis” (73, 3-4), tutto è ingratitudine. Avere fatto del bene è uguale a nulla. Anzi dà fastidio, dà fastidio e fa più male che bene. 

 

L'ingratitudine è anche una forma di disprezzo di se stessi. Lo mette in rilievo il "collaborazionista" Céline che non si faceva pagare le visite mediche:"Ero troppo compiacente con tutti, lo sapevo. Nessuno mi pagava…E' un torto. Le persone si vendicano dei favori che loro fate"[6].

 

Pesaro 27 luglio 2022 ore 17, 41

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr Edipo  a Colono di Sofocle quando il vecchio cieco dice ai Coreuti

“poiché le azioni  io

le ho subite piuttosto che compiute, sappilo,

-ejpei; tav g j e[rga me-peponqovt  j  i[sqi ma'llon h] dedrakovta-

 

[2]Jaeger, op. cit., p. 285.

[3]p. 167.

[4] In in otto libri, composta dopo il 36I.

[5]Jaeger, op. cit., p. 285.

[6] L. F. Céline, op. cit., p. 257.

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