Alessandro Magno nelle fonti
antiche
Conferenza tenuta il 18 ottobre 2019 nella Biblioteca Civica di Pordenone
Arriano: Al. bevve fino a notte inoltrata.
Quando stava per ritirarsi nella sua stanza, Medio lo invitò a fare baldoria da
lui.
Il giorno seguente tornò da Medio a fare
baldoria bevendo fino a notte inoltrata - povrrw tw'n
nuktw'n (7,
24, 4 3e 25, 1)
Arriano scrive pure che il veleno favrmakon per uccidere Alessandro fu mandato da Antipatro - ejpevmfqh para; jAntipavtrou - e preparato
da Aristotele il quale temeva il suo ex discepolo a motivo di Callistene.
Fu Cassandro figlio di Antipatro a portare il liquido
micidiale ejn hJmiovnou oJplh'/, in uno zoccolo di mulo,
poi lo diede al fratello minore Iolla che era oijnocovo"
basilikov", coppiere del re e aveva subito qualche affronto da
Alessandro poco prima. Medio, ejrasthv"
di Iolla, avrebbe partecipato all’azione introducendo Alessandro alla baldoria
(7, 27, 1 - 2)
C’è chi ha scritto che A. voleva gettarsi nell’Eufrate per
accreditare una sua sparizione da dio. Alla moglie Rossane che lo tratteneva disse
che lo privava della gloria di essere nato dio (7, 27, 3).
Morì il 10 giugno 323 a 32 anni e otto mesi, regnò dodici anni e
otto mesi come dice Aristobulo[1]
(7, 28, 1)
Queste notizie sono registrate per dovere ma non credute da
Arriano
Era sw'ma kavllisto",
kai; filoponwvtato" kai; ojxuvtato" acutissimo kai; th;n gnwvmhn
ajndreiovtato" - coraggiosissimo - kai; filotimovtato" kai; filokindunovtato" kai; tou' qeivou
ejpimelevstato" (7,
28, 1 - 2)
Vedi Ciro il Giovane nell’Anabasi di Senofonte.
Era capace di dominare i piaceri del corpo,
ma ajplhstovtato" insaziabile dell’elogio dello
spirito (7, 28, 2), deinovtato" nel vedere quello che
bisognava fare in una situazione e[ti ejn
tw'/ ajfanei',
ancora oscura, e ci azzeccava nel congetturare il verosimile partendo dalle
apparenze ejk tw'n fainomevnwn to;
eijko;" xumbalei'n ejpitucevstato".
Cfr. Temistocle in Tucidide, I, 138, 3.
Temistocle è il primo l'eroe di questa
intelligenza laica: egli che "oijkeiva/
xunevsei"
appunto, con la sua facoltà di capire, era "tw'n
te paracrh'ma di j ejlacivsth" boulh'" kravtisto" gnwvmwn", ottimo giudice
della situazione presente attraverso un rapidissimo esame" e "tw'n mellovntwn ejpi; plei'ston tou' genhsomevnou a[risto"
eijkasthv""(I,
138, 3), e ottimo a congetturare il futuro per ampio raggio in quello che
sarebbe accaduto.
"Per questo più che lo stesso
Pericle", secondo Canfora[2]"
è Temistocle il politico per eccellenza, il modello e insieme l'ideale.
Al. era bravissimo come stratego. Eccellente
nel sollevare il morale delle truppe: to;n qumo;n
toi'" stratiwvtai" ejpa'rai, riempirle di buone speranze e fare sparire
la paura nei pericoli con il suo ardimento to; dei'ma
ejn toi'" kinduvnoi" tw'/ ajdeei' tw'/ auJtou' ajfanivsai . (7, 28, 2). Rispettava
gli accordi, era parsimonioso per sé e generoso con gli altri. L’ira può essere
addebitata alla giovane età e l’arroganza agli adulatori che stanno accanto ai
re per loro disgrazia. Ma per sua nobiltà si pentì degli errori commessi.
Infatti il solo rimedio di un errore movnh
i[asi" aJmartiva" (7, 29, 2) è ammettere di avere sbagliato e
mostrare il pentimento. Non è stata una grave colpa nemmeno avere ricondotto la
sua nascita a un dio. L’abbigliamento persiano mostrava ai barbari la sua non
estraneità, ai Macedoni il distacco dalla superbia e dalla rozzezza macedone.
Il vino lo beveva per amicizia verso i suoi compagni.
Chi lo denigra, pensi alle sue imprese e alla
propria pochezza che si affatica per piccole cose e non riesce a risolvere
nemmeno quelle.
Un uomo del genere, simile a nessun altro, non
mi sembra che sia potuto nascere e[xw tou'
qeivou (7,
30, 2), fuori da un intervento divino. Io che lo ammiro, talora l’ho biasimato ajlhqeiva" te e{neka th'" ejmh'" kai; a{ma wjfeleiva"
[3]th'"
ej" ajnqrwvpou", per
il rispetto che porto alla verità e per l’utilità degli uomini; per questo mi
sono messo a scrivere quest’opera, neanche io senza la divinità: “ ejf j o{tw/ wJrmhvqhn oujde; aujto;" a[neu qeou' ej" thvnde
th;n xuggrafhvn” (7,
30, 3). Ecco dunque il mito di Alessandro e il mito di Arriano. Fine Arriano.
La morte di Al. in Curzio dopo una lacuna.
Diede l’anello a Perdicca e chiese che il suo corpo venisse
traslato presso Ammone (10, 5, 5). Il regno doveva andare al migliore, disse,
pensando alla competizione dei giochi funebri. Onori divini dovevano
attribuerglieli cum ipsi felices essent
(10, 5, 6). Vinti e vincitori erano accomunati dal dolore “nec poterant victi a victoribus in communi dolore discerni” (10, 5,
9). Alcuni erano sdegnati del fatto che un giovane tanto dotato “tam viridem et in flore aetatis fortunaeque invidiā
deum ereptum esse rebus humanis” (10, 5, 10). Tratto erodoteo.
I soldati si
prefiguravano nelle menti le guerre civili che ci sarebbero state per la
successione: “bella deinde civilia, quae
secuta sunt, mentibus augurabantur” 10, 5, 13.
Anche i Persiani lo piangevano: comis suo more detonsis, in lugubri veste (17). Nessun re era stato
più degno del comando. La madre di Dario “omnium
suorum mala Sisisgambis ună capiebat” (21).
Come Ecuba nelle Troiane
o come Edipo.
Chi si sarebbe preso
cura delle sue ragazze? Topos della tragedia (Edipo re, Alcesti). Ricordava tutti i suoi lutti. Infine la vecchia
ex regina madre si lasciò morire di fame.
Giustino invece sostiene che i vinti lo piansero ma i
Macedoni ne furono contenti poiché ne biasimavano la crudeltà eccessiva e il
fatto che li esponesse ai pericoli (Storie
Filippiche, 13, 1, 7).
Tolomeo, alla fine del film Alexander, confessa che furono loro, gli
amici a non impedirne l’assassinio poiché non potevano più andare avanti: io
non ho mai creduto al suo sogno, e i sognatori devono morire prima che ci
uccidano.
Segue in Curzio Rufo un elogio di
Claudio (o di Vespasiano): lui ha spento le scintille di guerra illuminando il
mondo (novum sidus inluxit, 10, 9, 3)
e ha riportato il sereno: “Non ergo revivescit
solum, sed etiam floret imperium” (Curzio, 10, 9, 5), l’impero non solo
rinverdisce ma è anche fiorente. Sembra riferirsi a Claudio, e contro Caligola,
questa espressione: “Huius, hercules, non
solis ortus, lucem caliganti reddidit mundo, cum sine suo capite discordia
membra trepidarent” (10, 9, 4), la sua salita, per Ercole, non quella del
sole rese la luce al mondo coperto di caligine, mentre senza la sua testa le
membra discordi vacillavano. Un passo della Consolatio
ad Polybium di Seneca (del 43) adula Claudio come “sidus hoc, quod praecipitato in profundum et demerso in tenebras orbi
refulsit, semper luceat!” (13, 1).
Curzio Rufo, un uomo nuovo, “nato
da se stesso”… è uomo grato alla corte, è legato di Germania superiore; egli ha
ricambiato Claudio, dedicandogli nelle sue Historiae
Alexandri Magni (di quell’Alessandro
che Caligola ammirava), alcune righe tra le più note della letteratura
panegiristica antica”[4].
Gianni Cipriani preferisce
l’ipotesi che colloca Curzio Rufo nell’età di Vespasiano il quale “nell’anno
dei “quattro imperatori” (69 d. C.), prese il potere giungendo da Oriente, al
pari del sole che sorge (quindi, novum
sidus). Sulla base di osservazioni linguistiche e di altro genere gli
studiosi tendono in prevalenza a collocare Curzio Rufo nell’età di Vespasiano”[5].
Quindi l’impero venne diviso: a
Tolomeo l’Egitto, a Laomedonte Siria e Fenicia, a Filota la Cilicia , Antigono
monoftalmo ebbe Licia, Panfilia e Frigia maggiore, Cassandro la Caria , Menandro la Lidia , Leonnato la Frigia minore. Eumene
Cappadocia e Paflagonia, Pitone la
Media , Lisimaco la
Tracia.
Per quanto riguarda l’Oriente il
dettaglio si trova in Giustino 13, 4, 19 - 26. Perdicca rimase con il re al
comando delle sue truppe (10, 10, 4). Sed
difficile erat eo contentos esse, quod obtulerat occasio: quippe sordent prima
quaeque, cum maiora sperantur (10, 10, 8) valgono poco i primi acquisti
quando se ne sperano di più grandi.
Il cadavere di Al. giaceva nel
sarcofago da sei giorni, trascurato. Nonostante il caldo, il corpo non era
degenerato. Traditum magis quam creditum
refero (10, 10, 12) Egiziani e Caldei lo imbalsamarono. Molti pensarono che
Al. fosse morto di veleno propinatogli da Iolla, figlio di Antipatro. In
effetti Al. era stato critico verso Antipatro che si era montata la testa per
la vittoria sugli Spartani. Al., secondo alcune voci, aveva mandato Cratero a
uccidere Antipatro. Cassandro avrebbe portato al fratello Iolla il veleno della
fonte Stige (fiumiciattolo dell’Arcadia del nord) e Iolla lo avrebbe messo nella
coppa di Al. Ma è un veleno che corrode persino il ferro. Comunque spense
quelle voci la potentia (10, 10, 18) eorum quos rumor asperserat di quelli
che le voci avevano
Antipatro prima, poi (dal 304)
Cassandro divenne re di Macedonia. Cassandro fece uccidere tutti i consanguinei
di Al. Olimpiade, Roxane e il figlio.
Il corpo di Al. fu trasportato a
Menfi poi ad Alessandria da Tolomeo cui era toccato l’Egitto. Fine Curzio Rufo.
Diodoro conclude il suo racconto su
Al. scrivendo che la madre di Dario, Sisisgambi, si lasciò morire di fame per
il dolore della morte del vincitore di suo figlio, mentre Olimpiade fu fatta
assassinare da Cassandro il quale ne gettò via il corpo senza sepoltura.
Cassandro per giunta fece ricostruire Tebe con grande impegno (17, 118).
giovanni ghiselli
[1] FG Gr Hist 139 F61
[3] Questo è un tratto tucidideo.
[4] Mazzarino, L’impero romano 1, p.
216
[5] Giovanni Cipriani, Letteratura latina. Storia e antologia di
testi, Einaudi, Torino, 2003, p. 380.
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