Anthony Frederick Augustus Sandys Medea |
Medea di Euripide seconda scena del V atto
(vv. 1116 - 1250).
Medea
annuncia alle donne del Coro l’arrivo di un messaggero affannato. Arriva dalla
parte di Giasone. Il messo esorta la donna barbara a fuggire. Medea chiede
quale sia il motivo dell’esortazione; l’a[ggelo" risponde che la principessa e
Creonte sono morti. La donna esulta, e il messaggero le domanda se sia
impazzita. Medea allora chiede al messo di raccontare l’orribile morte dei suoi
nemici: vuole ricavarne gioia.
Segue
la rJh'si" ajggelikhv che si estende per 114 versi (1116 -
1230).
Il
sopraggiungere dei bambini con i doni sembrò ai servi affezionati un segno
buono: che i loro genitori si erano riappacificati. La novella sposa intanto
guardava estasiata Giasone, ma, vedendo arrivare i figli di Medea, lì per lì provò
un moto di ribrezzo; allora lo sposo intervenne chiedendole di porre fine al
risentimento del quale non aveva motivo. La ragazza venne convinta dalla vista
dei doni che prese in mano quasi subito, e, ancor prima che Giasone con i figli
si fossero allontanati, cominciò a metterseli addosso. Se ne compiacque e fece
gesti teatrali, ma, subito dopo, la sua gioia mutò in dolore e strazio. Assai
presto anzi ella si trasfigurò in una creatura orribile e raccapricciante,
cambiando colore, spargendo bava dalla bocca, torcendo gli occhi. Le ancelle
corsero a cercare aiuto. Intanto la situazione peggiorava: la corona d’oro
posata sulla testa della sposa emanava un torrente di fuoco, mentre il peplo le
divorava le carni. La ragazza cercava di fuggire e scuotersi il tormento di
dosso, ma, dopo vani tentativi, crollò a terra, diventata una cosa
irriconoscibile tranne che dal padre suo: appariva infatti come un tronco
bruciato. Creonte crollò sul cadavere sfigurato cercando di rianimarlo, invano,
quindi pregando di morire con la sua figliola. Poi il re di Corinto rimase
avvinghiato alla figlia morta, come l’edera a una pianta, e non poté più
sollevarsi. Infine spirò. Il messo conclude che le cose mortali sono soltanto
ombra e gli uomini che ne cercano le ragioni sono solo dei folli. L’unica cosa
sicura è che non esistono mortali felici: al massimo possiamo stare per qualche
breve tempo sulla cresta di un’onda di prosperità.
Quindi il
Coro compiange la figlia di Creonte, la quale ha subito la catastrofe in quanto
presa nel tessuto delle trame maligne di Giasone.
Riporto la mia traduzione dei versi 1223 - 1230
Le cose
mortali non ora per la prima volta considero ombra - ta; qnhta; d j ouj nu'n prw'ton hjgou'mai skiavn - ,
e senza
timore potrei dire che gli uomini i quali si credono
pieni
di sapere sofouv" - e indagatori di ragioni - merimnhta;"
lovgwn -
proprio
costoro meritano l'accusa della più grande follia.
Tra i
mortali infatti non c'è nessun uomo che sia felice - qnhtw'n ga;r
oujdeiv" ejstin eujdaivmwn ajnhvr
quando passa
un'ondata di prosperità, uno può diventare
più
fortunato di un altro - eujtucevstero" - ma felice nessuno - eujdaivmwn d j
a]n ou[.
Sentiamo il
coro dei morti nello studio di Federico Ruysch
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
in te, morte, si posa
nostra ignuda natura;
lieta no ma sicura
dall’antico dolor (…)
Lieta no ma sicura;
però ch’essere beato
Infine Medea
annuncia la propria decisione: andrà via da Corinto dopo avere ammazzato i
figli. Visto che devono morire, dice, mi sobbarcherò, e sarò io ad ammazzarli.
E’ un atto tremendo ma necessario. La donna si rivolge al proprio cuore e alla propria mano perché osino
compiere l’orrendo misfatto che la renderà infelice per sempre.
Sentiamo
alcuni versi (1240 - 1250 traduzione sempre mia)
E' assolutamente necessario che muoiano - pavntw'" sf j ajnavgkh katqanei'n - : e poiché deve avvenire
li ucciderò io che li ho generati.
Su, avanti, armati, cuore - ojplivzou, kardiva - . Perché
indugiamo
a compiere un male tremendo e necessario?
Avanti, o infelice mano mia - w\ tavlaina cei;r ejmhv - , prendi
la spada,
prendila, vai verso il traguardo doloroso della vita,
e non essere vile, non ricordarti dei figli,
che sono carissimi, che li generavi, ma, almeno per
questo
breve giorno, dimenticati dei tuoi figli
e dopo piangi; anche infatti se li ucciderai, comunque
sono per natura tuoi cari : ed io sono una donna
disgraziata - dustuch;"
d j ejgw; gunhv
(vv. 1240 - 1250)
Argomenti
L’infelicità nel successo. L'ira e la beffa sono
signorili; l'elegia, la querimonia, no. Omero, Sofocle, Euripide, Tacito,
Nietzsche, Il Gattopardo. La significazione particolare degli occhi. Il
legame dello sguardo con l'amore. Gli occhi come simbolo dei genitali.
Suggerimenti per evitare la derisione. L’audacia criminale di Medea e quella di
Alessandro Magno, non senza qualche cosa di eroico. Elogio leopardiano
dell’eroismo difettoso.
La gioia è connaturata all’anima sana. Pessimismo
e ottimismo pedagogico. Pindaro (Olimpica II). Euripide e il pessimismo dell’ Ecuba
e l’ottimismo non solo pedagogico delle Supplici. Protagora nel
dialogo di Platone. La consolazione di Seneca a una madre (Ad
Marciam) che ha perduto un
figlio. Pan.
Ancora Pindaro: Sogno di ombra è l’uomo (Medea 1224 e
Pindaro).
Pindaro chiama
l'uomo "sogno di ombra" (skia'" o[nar /a[nqrwpo" ", Pitica VIII, vv. 95 - 96 ).
Nell'Aiace di
Sofocle Odisseo esprime la convinzione che l'ombra sia la quintessenza
dell'uomo e manifesta la compassione del poeta per tutte le creature umane
cadute sulle spine della vita:"oJrw' ga;r hJma'" oujde;n
o[nta" a[llo plh;n - - ei[dwl j o{soiper zw'men h] kouvfhn skiavn", io infatti vedo che non
siamo se non immagini quanti viviamo, o inconsistente ombra (Aiace,
vv.125 - 126). “Pulvis et umbra sumus”, polvere e ombra siamo, secondo
Orazio (Odi, IV, 7, v. 16). Nel Macbeth il protagonista
afferma: "Life's but a walking shadow " (V,
5), la vita non è che un'ombra che cammina.
Proust:"Ci
si accanisce a cercare i rottami inconsistenti d'un sogno, e intanto la nostra
vita con la creatura amata continua: la nostra vita, distratta dinanze a cose
di cui ignoriamo l'importanza per noi, attenta a quelle che forse non ne hanno,
succube di esseri senza nessun rapporto reale con noi, piena di oblii, di
lacune, di ansietà vane; la nostra vita simile a un sogno" (La
prigioniera, p. 147).
Esortazioni e apostrofi ad alcune parti del corpo: Medea 1242,
1244 e Satyricon
Per quanto
riguarda le apostrofi indirizzate a un membro o a un organo del corpo, ricordo,
del Satyricon, l'invettiva di Encolpio contro la mentula che
ha disertato: "erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem
vexavi: quid dicis - inquam - omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare
quidem te inter res serias fas est." (132, 9 - 10), drizzatomi dunque
sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno:" che cosa
dici - faccio - vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un
sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie. Quindi il giovane si rammarica
di avere questionato con quella parte del corpo che non si dovrebbe nemmeno
menzionare. Però poi ci ripensa: allora gli vengono in mente anche l'Odissea e
l'Edipo re:" quid? non et Ulixes cum corde litigat suo, et
quidam tragici oculos suos tamquam audientes castigant?" (132, 13) e
che? non litiga anche Ulisse con il suo cuore e certi personaggi tragici non se
la prendono con gli occhi come se ascoltassero? Nell’Odissea il
protagonista parla con il cuore che latra di sdegno di fronte al gozzovigliare
dei proci, esortandolo a sopportare: "tevtlaqi dhv, kradivh: kai;
kuvnteron a[llo pot j e[tlh"" ( XX, 18), sopporta, cuore: anche sofferenze
più da cane hai già sopportato.
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