Alessandro Magno e due suoi opposti: Oblomov di Gončarov e Anfonso Nitti di Svevo
Plutarco, Vita. Il fuoco e Dioniso. La gloria.
Alessandro
nacque il 20 luglio del 356, lo stesso giorno in cui bruciò il tempio di
Artemide a Efeso. Olimpiade poco prima di concepirlo sognò di essere colpita al
ventre da un fulmine (e[doxe ejmpesei'n aujth'" th'/ gastri; keraunovn, 2, 3) e che dalla ferita si
levasse un gran fuoco che si divise in fiamme poi si spense.
Si può
pensare alla nascita di Dioniso: Semele è la madre fulminata (Euripide, Baccanti,
6) fatta partorire dal fuoco folgorante (Baccanti, 3). Filippo invece
sognò di avere impresso sul ventre della moglie la figura di un leone.
Aristandro disse che Olimpiade era incinta e aveva in grembo pai'da
qumoeidh' kai; leontwvdh th;n fuvsin (2, 6) un bambino focoso e di natura leonina.
Al. nacque
il sesto giorno del mese di Ecatombeone[1],
il giorno in cui fu bruciato[2] il
tempio di Artemide a Efeso. Allora Egesia di Magnesia[3] disse
che la dea non intervenne poiché era impegnata come levatrice di Alessandro (peri; th;n j
Alexavndrou maivwsin,
Plutarco, Vita, 3, 7). Plutarco
ricorda che Apelle rappresentò
Alessandro "keraunofovron" (Vita, 4, 3) con il fulmine. Si ricorderà che Alcibiade
si era fatto incidere sullo scudo un Eros "keraunofovron"[4]. Sembra dunque che questi
grandi personaggi amino legarsi al fulmine, per assimilarsi alle divinità
fulminatrici, essenzialmente Zeus Olimpio.
Per quanto riguarda Apelle, fu il "ritrattista ufficiale di
Alessandro Magno.
Nato tra il 380 e il 370 a. C., pittore di quadri da cavalletto,
sembra che avesse sviluppato in particolare la 'linea funzionale', che dava
volume alla figura collocandola nello spazio, e il chiaroscuro spesso
sottolineato da colori violenti. Famosi erano i suoi quadri, celebrati dai
letterati, come laCalunnia la cui descrizione fatta da Luciano di Samosata (Calumniae non temere
credendum tradotto in latino agli inizi del 400 da Guarino da Verona) ispirò nel XV secolo il dipinto di Botticelli[5].
Di Apelle sembra avere grande considerazione il Foscolo assolutamente
neoclassico delle Grazie: "Anch'io/pingo e spiro a' fantasmi
anima eterna:/sdegno il verso che suona e che non crea;/perché Febo mi disse:
Io Fidia, primo,/ed Apelle guidai con la mia lira"(vv. 24 - 27).
Apelle
dunque raffigurò Alessandro nell’atto di scagliare il fulmine e lo rappresentò "faiovteron kai;
pepinwmevnon"(Plutarco, Vita ,
4), alquanto scuro e con sopra una patina bruna, probabilmente per creare
contrasto con il bagliore del fulmine, poiché di fatto il macedone era di pelle
chiara.
Plutarco
riferisce di avere letto nelle memorie di Aristosseno di Taranto[6] che
dalla sua pelle emanava un piacevolissimo odore e un profumo (eujwdiva, 4, 4) impregnava la sua bocca e tutto il
corpo. La causa del buon odore era forse la temperatura del
corpo, molto alta, quasi da febbre ("hJ tou' swvmato" kra'si"
poluvqermo" ou\sa kai; purwvdh"", 4, 5).
Secondo Teofrasto[7] il profumo deriva dalla cottura
degli umori dovuta al calore. Infatti il sole scaldando le regioni apriche e
asciutte le rende odorose: “ejxairei' ga;r oJ h{lio~ to; u{grovn” (Vita, 4, 6), il sole infatti toglie l’umido che è un elemento di
putrefazione diffuso nei corpi.
C'è qui un'interessante analogia tra il corpo umano e la terra che
forse risente di Ippocrate il quale afferma che alla medicina contribuisce, non
in minima parte, l'astronomia (" oujk ejlavciston mevro" xumbavlletai ajstronomivh eij" ijhtrikhvn", Sulle
arie, acque, luoghi , II, 14.) e la
conoscenza dei climi, influenti sugli uomini come sul nostro pianeta.
Il calore del corpo rese Alessandro potiko;n kai
qumoeidh` ( Vita,
4, 7), incline al bere e collerico. Ma in cima ai suoi pensieri c’era la filotimiva (4, 8) Voleva un regno che gli
offrisse non guadagni, ma gare e guerre e gloria ( ajgw'na~ kai;
polevmou~ kai; filotimiva~, 5, 6).
Oblomov, l’antiAlessandro
Oblomov potrebbe essere l’antitesi di Al., quindi
senza fuoco. Ecco che cosa dice all’amico Stolz: “ Sai, Andrej,
nella mia vita nessun fuoco né divoratore né purificatore ha mai divampato.
Essa non è stata, come quella degli altri, simile al mattino che a poco a poco
si colora e s’accende, poi si muta nel giorno che ferve, arde e palpita nel
meriggio luminoso e poi, sempre più pallido e quieto, naturalmente e
gradatamente, si spegne nella sera. No, la mia vita è cominciata con il tramonto. E’ strano, ma è
così! Dal primo momento che ho avuto coscienza di me, ho sentito che mi
spegnevo. Ho cominciato a spegnermi scrivendo gli incartamenti dell’ufficio; ho
continuato, poi, conoscendo nei libri quelle verità di cui non avrei saputo che
fare nella vita; mi sono spento con gli amici, ascoltando i loro discorsi, i
loro pettegolezi, le loro malignità, il loro malvagio e freddo chiacchierare,
la loro vuotaggine; contemplando quel loro tipo d’amicizia alimentato da
incontri senza scopo, senza cordialità; mi sono spento e ho consumato le mie
forze con Mina, per cui spendevo più di metà delle mie rendite, illudendomi di
amarla; mi sono spento nel tetro e fiacco passeggiare lungo il viale Nevski,
tra le pellicce d’orso e i baveri di castoro, nelle serate, nei giorni di
ricevimento, in cui venivo lietamente accolto come fidanzato discreto; mi sono
spento consumando in sciocchezze la vita e l’intelligenza…”[8].
Lo sguardo di Olga “ che lo bruciava come un sole, gli scaldava il sangue,
lo eccitava”[9] fa ardere Oblomov per qualche tempo. A Olga per un certo tempo non
dispiacque “l’idea di illuminare col suo raggio di luce quel lago stagnante, e
di specchiarsi in esso” (p. 299). Ma Oblomov non ha le energie né la volontà
per questo amore: “Tu sei mite, onesto, Ilià…tenero come una colomba; nascondi
il capo sotto l’ala e non chiedi altro, sei disposto a tubare sotto il tetto
per tutta la vita: io non sono fatta così. Questo, per me, è troppo poco, ho
bisogno anche d’altro…Chi ti ha maledetto Ilià? Cosa hai fatto? Sei buono,
intelligente, tenero, nobile…e perisci, affondi. Cosa ti ha perduto? Non c’è un
nome per questo male…” “C’è” disse Oblomov in un sussurro appena udibile. Ella
lo guardò, inettrogativamente, con gli occhi pieni di lacrime. “Oblomovismo!”
fece egli sottovoce”[10].
Il fuoco che si confà a Oblomov non è certo quello del fulmine: “Si
avvicinava ad Agafia Matvéievna come ad un fuoco che riscalda senza bruciare e
che non può infiammare” (p. 488).
L’opposto di Oblomov è il suo amico Stolz che gli dice: “La vita passa come
un lampo, come un attimo, e tu vorresti sdraiarti e addormentarti! La vita
dev’essere un fuoco sempre acceso. Oh, se si potesse vivere due, trecento
anni”, concluse Stolz “quante cose si potrebbero fare!” “Tu sei diverso
Andrej,” ribatté Oblomov “tu hai le ali per volare. Tu non vivi, tu voli. Tu
hai qualità, hai amor proprio; ecco, non sei grasso, non sei perseguitato dagli
orzaioli, non ti prude la nuca. Sei fatto in modo diverso” (p. 498). Stolz
aveva le ali non solo per i voli poetici.
Sentiamo anche Italo Svevo a
proposito di anti Alessandro: “Chi non ha le ali necessarie quando nasce non
gli crescono mai più. Chi non sa per natura piombare a tempo debito sulla preda
non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri,
non li saprà imitare. Si muore precisamente nello stato in cui si nasce, le
mani organi per afferrare o anche inabili a tenere”. Alfonso fu impressionato
da questo discorso. Si sentiva molto misero nell’agitazione che lo aveva colto
per cosa di sì piccola importanza. “Ed io ho le ali?” chiese abbozzando un
sorriso. “Per fare dei voli poetici sì!” rispose Macario [11]”[12].
Comunque Olga continua a voler bene a Oblomov e Andrej le chiarisce perché:
“Perché v’è in lui qualcosa di più prezioso dell’intelligenza: un cuore onesto
e fedele! Questa è la naturale ricchezza che ha portato intatta attraverso la
vita. Egli non ha retto ai colpi, s’è raffreddato, s’è infine addormentato,
annientato e disilluso, avendo perduto la forza di vivere. Ma non ha mai perduto
la sua onestà e la sua fedeltà. Il suo cuore non ha mai vibrato su una nota
falsa, non s’è mai lasciato sporcare dal fango. Mai nessuna menzogna, per
seducente che fosse, lo ha sedotto (…)
Ecco qual era la filosofia che Oblomov - Platone aveva elaborato e che lo
ninnava tra i problemi e le gravi esigenze dei doveri e delle missioni
assegnate dal destino! Egli non era nato, né era stato educato come un
gladiatore per l’arena, ma come un pacifico spettatore della lotta” [13].
[6] Fr. 132 W. Aristosseno nacque
a Taranto intorno al 370. Andò ad Atene dove frequentò il Liceo e sperò invano
di essere designato da Aristotele come suo successore. Scrisse biografie e fu
studioso di problemi musicali. L’attuale liceo classico di Taranto porta il suo
nome.
[7] Successore di Aristotele alla
guida del Liceo che diresse dal 322 al 288 a - C. Avviò il pensiero
peripatetico verso la speculazione scientifica abbandonando la metafisica. Ci
sono arrivati i Caratteri che raffigurano in sintesi i tipi
umani portatori di difetti, come l’adulazione p. e.
[11] “L’avvocato Macario, un
bell’uomo di quarant’anni forse, vestito con grande accuratezza, alto e forte,
una fisionomia bruna, piena di vita” (Una Vita, p. 32).
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