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martedì 15 ottobre 2019

Alessandro il Grande. Parte seconda

oracolo di Delfi

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Il successo e la fortuna sono in noi

Interessante è anche il rapporto di Alessandro Magno con gli oracoli.
Nella fase ascendente Alessandro si fa profeta di se stesso, dando, non prendendo gli auspici sul suo destino.
Nel 336 succeduto al padre Filippo, il giovane re andò a Delfi per consultare l'oracolo, ma non era un giorno fausto e la sacerdotessa si rifiutava di dare responsi. Allora Alessandro la trasse a forza nel tempio ed ella, conquistata da tanta risolutezza gli disse: "sei invincibile, ragazzo!" ajkivnhto" ei\ w\ pai' (Plutarco, Vita, XIV, 7).

Così farà anche Cesare: "Ne religione quidem ulla a quoquam incepto absterritus umquam vel retardatus est. Cum immolanti aufugisset hostia, profectionem adversus Scipionem et Iubam non distulit. Prolapsus etiam in egressu navis, verso ad melius omine, Teneo te, inquit, Africa "(Svetonio, Caesaris Vita , 59), non si lasciò distogliere né ritardare da qualsiasi impresa neppure da alcuno scrupolo religioso. Sebbene gli fosse sfuggita una vittima mentre sacrificava, non rimandò la spedizione contro Scipione e Giuba. Scivolato per giunta nell'uscita dalla nave, girato al positivo il presagio, disse: "Ti tengo, Africa!".

A Gordio (primavera del 333, prima di Isso) Alessandro non riusciva a sciogliere il nodo e i Macedoni temevano un cattivo presagio. Ma il re disse: “Nihil interest quomŏdo solvantur” (Curzio Rufo, 3, 1, 18) e tagliò con un colpo tutte le cinghie. “Come per l’uovo di Colombo, non è il risultato, ma la novità della soluzione, che porta l’impronta del genio[1].

Prima della battaglia di Gaugamela (331 a. C.) ci fu un’eclissi di luna, un segno funesto. Alessandro allora, senza scomporsi, ad omnia interritus (4, 10, 4) intrepido chiamò vati egiziani i quali dissero che quello era un brutto segno per i Persiani. Alessandro era superstizioso, ma finché credette in se stesso utilizzò la religio come strumento di comando: "Nulla res multitudinem efficacius regit quam superstitio: aliōqui impotens, saeva, mutabilis, ubi vana religione capta est, melius vatibus quam ducibus suis paret " (Historiae Alexandri Magni , IV, 10, 7), nessuna cosa meglio della superstizione governa la moltitudine: altrimenti sfrenata, crudele, volubile, quando è afferrata da una vana religione, obbedisce più facilmente agli indovini che ai suoi capi.

Poco prima di morire (323) Alessandro vide dei brutti segni e se ne lasciò impressionare negativamente: non aveva più la forza di volgerli in proprio favore.
Plutarco racconta che Nearco, l’ammiraglio, gli disse che i Caldei lo consigliavano di stare alla larga da Babilonia. Alessandro non ci fece caso ma, giunto alle mura della città vide molti corvi kovraka~ pollou;~ diaferomevnou~ kai; tuvptonta~ ajllhvlou~ (Vita, 73, 2) che lottavano e si colpivano a vicenda. Alcuni di questi gli caddero ai piedi. Inoltre l'indovino Pitagora aveva trovato nelle vittime sacrificali un fegato senza lobi h|par a[lobon (73, 5). Allora il re disse. " papai; ijscuro;n to; shmei'on , ahi, un segno forte! Alessandro si sente la morte addosso, non è più se stesso, perché questa volta non ha la forza di volgere il segno in proprio favore.

"Il successo e la fortuna sono in noi. Noi dobbiamo tenerli: saldi, profondamente. Appena qua dentro qualche cosa comincia a cedere, a stancarsi, a perder forzatutti intorno a noi si sentono liberi, si ribellano, recalcitrano, si sottraggono al nostro influsso. Allora un guaio viene dopo l'altro, batoste su batoste, e si è liquidati"[2].



[1] J. G. Droyse, op. cit., p. 142 n. 1.
[2] T. Mann, I Buddenbrook, p. 276.

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