Aiace Telamonio |
Figure di donne in alcune tragedie di Sofocle
Aiace, circa 450 - Tecmessa cerca di distogliere Aiace dal suicidio ma l’amante risponde
"donna,
alle donne porta ordine e bellezza il silenzio"( guvnai,
gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei"(v. 293).
Uno zittimento perentorio utilizzato qualche regime fa dall' eterno Andreotti
alla deputata radicale Adele Faccio nel parlamento della nostra Repubblica.
v.293).
Aiace del resto è uno dei non pochi antifemministi suicidi: infatti non giunge
all'accordo con la vita chi non lo trova con la donna.
Erodoto fa discendere Milziade e Cimone da Eaco (nonno di Aiace) ed Egina,
e spiega che "quel ghenos si è fatto ateniese allorché Fileo, figlio di
Aiace, divenne appunto, primo di quella casa, ateniese (VI 35) (...) Possiamo
facilmente immaginare che alla prima rappresentazione dell'Aiace di
Sofocle (anteriore al 443) il demo ateniese correva, col pensiero, al
"filaide Cimone", l'uomo politico che aveva rivelato, appunto, il
grande poeta, e che nel 449 morì, avversario glorioso (e sfortunato) di Pericle
(...) Insomma: una genealogia non era soltanto lavoro di tavolino; era realtà
viva di ogni giorno; la discendenza di Cimone da Aiace fu, per un ateniese, un
fatto certo ed importantissimo[1] ".
Antigone del 442. Antigone
si oppone al tiranno e dà la vita dare al fratello la sepoltura vietata.
Ci sono parole di vero umanesimo in questa tragedia, parole di Antigone:
" ou[toi
sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per
condividere l'odio, ma l'amore.
Sull'amore
umanistico, sull'amore per l'umanità e per la vita, ha scritto parole degne di
lettura E. Fromm:"In realtà, esiste soltanto l'atto di amare ;
e amare è un'attività produttiva, che implica l'occuparsi dell'altro,
conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di una persona, di un
albero, di un dipinto, di un'idea. Significa portare la vita, significa
aumentare la vitalità dell'altro, persona od oggetto che sia. E' dunque un
processo di autorinnovamento, di autoincremento"[2].
In un altro
libro lo psicoanalista sostiene che "Antigone rappresenta l'umanità e
l'amore; Creonte, il despota totalitario, l'idolatria dello stato e
l'ubbidienza"[3].
Inoltre:"Esiste
un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle,
una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone
rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera
dell'uomo"[4].
Umanesimo
del resto è anche amore di se stesso e rispetto della propria identità alla
quale Antigone non vuole rinunciare. E’ la filautiva dell’eroe.
La ragazza
non teme l’isolamento: Quando Ismene impaurita le fa notare : "tu hai il
cuore caldo per dei cadaveri gelati" (v. 88), la sorella risponde :
" ajll j oi\d j ajrevskous j oi|" mavlisq j aJdei'n
me crhv" (Antigone,
v. 89), ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io
piaccia".
Sembra
ricordare il “diventa quello che sei imparando”[5] di
Pindaro la somma del suo
pensiero educativo.
Legge
naturale e personale dunque per Antigone è l'inclinazione ad amare, mentre il
bando di Creonte è un editto di odio. La fuvsi" di Antigone non riconosce come
naturale il khvrugma di Creonte.
Antigone non
si lascia spaventare come la
sorella Ismene che dice
:"e
poi, siccome siamo dominate da gente più forte,/è necessario obbedire sia a
questi, sia a decreti ancora più dolorosi di questi"
(vv.63 - 64.) -
Poi:"obbedirò
a coloro che sono arrivati al potere - toi'" ejn tevlei bebw'si peivsomai (peivqomai) - . Infatti il/fare cose
straordinarie - perissa; pravssein - non ha senso, proprio nessuno" (vv. 67 - 68).
E
Antigone risponde: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo
questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire
nobilmente"peivsomai (pavscw) ga;r ouj - tosou`ton oujden
w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95 - 97). Notare il
bisticcio dei due verbi adnomimatio - paronomasiva.
Qundi: vv. 71 - 72:"tu sii pure come ti pare, ma
io/lo seppellirò. Per me è bello morire mentre faccio questo - kalo;n moi
tou'to poiouvsh/ qanei'n - ". -
Questa
ragazza difende la propria identità con ostinazione eroica.
Nell'Elettra sofoclea Crisotemi fa una parte che, grosso modo,
corrisponde a questa di Ismene: la protagonista eponima, che ha il carattere
forte di Antigone e vuole opporsi alla prepotenza della madre e del suo amante
Egisto, la rimprovera di acquiescenza o anche di complicità nei confronti degli
usurpatori: non insegnarmi ad essere malvagia con i nostri cari, le dice; e la
debole Crisotemi risponde: non ti insegno questo:"toi'"
kratou'si d' eijkaqei'n" (v. 396), ma a cedere a
quelli che sono al potere.
Il coro
approva il rifiuto di Antigone nei confronti del decreto scritto di Creonte,
tuttavia rimprovera alla ragazza l’eccesso di rigidità con cui rifiuta la
collaborazione della sorella che ha cambiato idea.
Nel
dialogo lirico che apre il quarto episodio il corifeo dice:" Avanzando
verso l'estremità dell'audacia - proba's j ejp j e[scaton
qravsou" - hai urtato ,
contro l'eccelso trono/della Giustizia, creatura, con grave caduta" (vv.
853 - 855). Antigone è caduta nell'eccesso.
Platone
nella Repubblica dice che si deve evitare tanto di infliggere i
mali quanto di subirli, sapendo scegliere la vita che sta in mezzo:"to;n mevson
ajei; tw'n toiouvtwn bivon" (619).
Si può
dire per la figlia di Edipo quanto afferma J. Starobinski per l'Aiace di
Sofocle:" prende la strada dell'eccesso, e precipitando fuori dall'ordine
collettivo, arriva ineluttabilmente a precipitarsi fuori dalla vita"[6],
cioè al suicidio.
Antigone al
v. 867 chiama se stessa, prima che a[gamo", senza nozze, ajrai'o", maledetta, per non avere staccato
il suo destino da quello dei genitori.
Questo è
sempre un difetto grande: Aiace secondo Starobinski si uccide non solo per "ristabilire la
continuità del coraggio e dell'onore" ma anche perché non sa sottrarsi
all'influenza del padre:"Il ruolo del padre, la sua parte nel suicidio del
figlio, sono qui messi in piena luce, nel contesto di una civiltà guerriera in
cui la continuità della fama familiare conta più di qualsiasi possesso
materiale: anche il fratellastro di Aiace, Teucro, teme il ritorno a Salamina,
e completa il ritratto del padre:"Lui...che nei felici istanti pur mai
vidi a lieto riso aprirsi...nell'acre insofferente sua vecchiezza che un nulla
irrita a sdegno."[7] Quanti
suicidi sono dominati dal ricordo o dal fantasma di un padre che non ha mai
sorriso! Sofocle vede giusto e, ancora una volta, propone un paradigma. La
psicoanalisi non può dire più di quanto dica il tragico. Al contrario, quando
Freud costruisce il concetto di Super Io (istanza parentale interiorizzata,
istanza morale colpevolizzante), la teoria psicoanalitica non fa altro che
richiamare, dal fondo della dimenticanza, ciò che è chiaramente detto nel testo
di Sofocle. Il concetto di Super Io (e quello ideale dell'Io) servirà a
segnalare la presenza implicita, inconfessata, dell'autorità paterna in certi
meccanismi di costrizione interiore e di autopunizione"[8].
Altra donna
sofferente di questa tragedia è Euridice, la mater dolorosa di Emone e suocera
mancata di Antigone. Alla fine si uccide come Antigone e come il figlio
lasciando nella desolazione Creonte che si era pentito troppo tardi.
335, distruzione di Tebe da parte di Alessandro Magno. Una donna simile ad
Antigone in Plutarco
Plutarco, Vita di Alessandro Capitolo XII
Nell'orrore del massacro quasi indiscriminato dei Tebani risalta l'episodio
di Timoclea, donna stimata e onesta che venne violentata dal capo di un gruppo
di soldati traci il quale poi le domandò se da qualche parte avesse nascosto
del denaro. Ella lo condusse al pozzo del giardino dove disse di avere gettato
le sue ricchezze. Il Trace allora si affacciò e si sporse; la donna lo spinse
giù, quindi lo uccise buttandogli addosso delle pietre. Gli altri soldatacci la
portarono in catene da Alessandro il quale notò subito lo stile alto e il
carattere forte della donna, dal suo sguardo, dall'incedere e dal fatto che non
manifestava alcuna paura. Poi le chiese chi fosse ed ella rispose fieramente di
essere la sorella di Teagene, morto a Cheronea, combattendo da stratego contro
di lui. Avendo ammirato il comportamento e il carattere della donna, Alessandro
la lasciò andare via libera con i figli.
Dell’eccidio
di Tebe Plutarco ricorda l’episodio di Timoclea, l’Antigone tebana che
rivendica di essere sorella di Teagene, comandante della falange tebana che
aveva combattuto a Cheronea contro Filippo (338).
Alessandro
non si comportò come Creonte, anzi ammirò la sua risposta.
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[7] "Sofocle, Aiace , vv. 1134 - 1135; 1143 - 1145".
Ho citato la traduzione del testo di Starobinski tradotto dal francese. Invero
i versi sui quali poggia questa teoria tutt'altro che assurda sono i 1010 - 1O11:" oJvtw/
pavra - - mhd& eujtucou'nti mhde;n hJvdion gela'n", a lui che non si permette di
ridere dolcemente nemmeno quando ha successo.
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