Trachinie di Sofocle (1980) al teatro greco di Siracusa |
Sofocle, Trachinie data incerta (440?)
Presento alcuni aspetti delle Trachinie[1], la tragedia della moglie che, trascurata e vilipesa,
prova a difendersi con un rimedio letale per se stessa e per il marito.
Deianira entra in scena dicendo:" esiste un
antico detto ("Lovgo" me;n e[st j ajrcai'o"") diffuso tra i mortali: che non puoi conoscere
la vita di un uomo prima che uno sia defunto, né se per lui sia stata buona o
cattiva" (vv. 1 - 3)
La Nutrice della donna afferma addirittura che è
sconsiderato (mavtaiovv" ejstin), v. 945 chi conta su due giorni o anche più: infatti
non c'è il domani se prima uno non ha passato l'oggi[2].
Deianira dunque è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin
da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle
nozze (v. 7 - 8). Infatti ricorda:"Mnhsth;r ga;r h\n moi
potamov", jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico
l'Acheloo.
Insomma era corteggiata da un mostro.
"Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei
mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[3], che
l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha
fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e
come fremito, Deianira non potrà uscire"[4]. La
lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna
taurine insieme confuse (Trachinie , vv. 517 - 518).
La Deianira delle Heroides[5] di Ovidio, lontana da Eracle occupato a inseguire terribili fiere, è ossessionata
dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare:"inter
serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora
canes " (IX, 39 - 40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni
bramosi, e cani[6] pronti
ad attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:" peregrinos
addis amores "(v. 49)
"Chi lotta coi mostri
deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in
un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te"[7].
All'inizio del dramma di Sofocle, la moglie lasciata sola, a Trachis, in
Tessaglia, per quindici mesi, lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il
quale, come eroe, è impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un
colono che, avendo preso un campo lontano (a[rouran e[ktopon labwvn, v. 32) va a vederlo
solo un paio di volte all'anno, una quando semina e una quando miete:"speivrwn
movnon prosei'de kajxamw'n[8] a{pax" (v.33).
La donna trascurata dunque si identifica con il campo[9].
In letteratura è ricorrente l'identificazione della donna con il campo
arato da una parte e dell'uomo con il seminatore - aratore dall'altra: un tovpo" dunque che Pascoli
ha utilizzato ribaltandone i termini.
Pascoli in Lavandare di Myricae usa un simbolismo
opposto: l'abbandonata paragona se stessa a "un aratro senza buoi"
che resta "nel campo mezzo grigio e mezzo nero" e
"pare/dimenticato, tra il vapor leggiero". Anche qui un uomo si è
dileguato lasciando la donna sola e desolata:"quando partisti, come son
rimasta!/come l'aratro in mezzo alla maggese".
In letteratura è ricorrente l'identificazione della donna con il campo
arato da una parte e dell'uomo con il seminatore - aratore dall'altra: un tovpo" dunque che Pascoli
ha utilizzato ribaltandone i termini.
Pure Eracle dunque è stato un pretendente (mnhsthvr) mostro almeno dal punto
di vista mentale, poiché ha dimenticato Deianira. Il mnhsthvr compiuto infatti
deve essere dotato di memoria, mnhvmh , che deriva dalla
medesima radice mnh - /mna , come pure mnavomai, "penso", e quindi
il pretendente non può scordare la donna che corteggia, mentre l'eroe della
stirpe dorica utilizza la sua femmina come animale riproduttivo, anzi
come a[roura, terra arabile , quindi la dimentica.
Pure Teseo è immemor [10]
di Arianna nel carme 64 (v. 58) di
Catullo e deve pagare cara la sua smemoratezza.
Bettini fa notare che sussiste un segreto
legame "fra amnesia da un lato, e morte dall'altro". Quindi fa
l'esempio di Orfeo - Euridice e quello di Teseo - Arianna.
"Quando Orfeo, uscendo dagli Inferi, si volge a guardare verso
Euridice, violando così la prescrizione di Proserpina, egli viene sopraffatto
proprio da un accesso di amnesia (immemor[11]).
In quel preciso momento si ode per tre volte rimbombare il lago Averno, ed
Euridice è nuovamente inghiottita dal regno degli inferi.
La dimenticanza di Orfeo ha chiamato la morte dell'amata. E' come se Orfeo,
dimenticando, avesse resuscitato la condizione di perenne oblio in cui Euridice
giaceva fino al momento della sua insperata liberazione. Anche il racconto di
Arianna abbandonata esplora, nel finale, la medesima connessione simbolica fra
amnesia e morte. Ormai sopraffatta dalla sua disgrazia, la fanciulla chiede
alle Eumenidi che, con la medesima mens con cui Teseo l'ha
lasciata sull'isola deserta, il giovane funesti anche se stesso e i suoi[12].
Oscure minacce di una donna tradita e prossima alla fine. Ma qual era mai
questa mens, lo "stato d'animo" con cui Teseo l'aveva
abbandonata? L'oblio, la facile dimenticanza del traditore[13].
Per questo sarà ancora la dimenticanza a provocare la morte del vecchio Egeo,
padre dell'eroe. Costui aveva infatti chiesto al figlio di issare al suo
ritorno la vela bianca, come segno del successo dell'impresa e dello scampato
pericolo. Ma Teseo, che fino a quel momento aveva ricordato tutto ciò constanti
mente, con "solida memoria", adesso ha la mens "avvolta
da cieca caligine" e oblito (…)
pectore, "dimentico nell'animo" di issare la bianca vela, povoca
così la morte del vecchio, che si lascia cadere giù dalle rupi[14].
Di nuovo amnesia e morte si richiamano tra loro"[15].
La Deianira di Sofocle distingue la condizione della ragazza che nelle
gioie solleva una vita senza fatica ( "hJdonai'" a[mocqon
ejxaivrei bivon", v. 147), dalla donna sposata, quell'essere infelice che stiamo
trattando, che nelle notti
si carica di affanni temendo per il marito o per i figli (" [htoi
pro;" ajndro;" h] tevknwn foboumevnh " , v. 150).
Infatti, dormendo sola nel letto coniugale, questa moglie desolata balza su
dal sonno in preda alla paura, tremante per il terrore (vv. 175 - 176).
Nella Parodo, il Coro prega Elio, perché annunzi dove si trovi Eracle,
invocandolo con queste parole "kratisteuvwn kat j o[mma" (v. 102), tu che
superi tutti con il tuo sguardo, che lo scoliaste interpreta:" w\
nikw'n pavnta" tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che vinci
tutti gli dèi nel potere visivo. E’ una delle tante espressioni del culto del
sole[16].
Poi Eracle torna con la giovane amante Iole
Nel secondo episodio Deianira esprime un desiderio:"kaka;"
de; tovlma" mhvt j ejpistaivmhn ejgwv - mhvt' ejkmavqoimi,
tav" te tolmwvsa" stugw' " (vv.582 - 583), audacie cattive non
vorrei conoscerle, né averle imparate, le temerarie hanno
il mio odio.
Ella tuttavia pensa al chitone intriso del sangue di Nesso che dovrebbe
restituirle l'amore di Eracle. Questo presunto rimedio è l'extrema ratio per
sottrarre il marito alla giovane, e vincente, rivale Iole con la quale la sposa
matura deve condividere il letto in attesa di un abbraccio (vv. 539 - 540).
Deianira esasperata ricorre a tale audacia poiché ha paura:" vedo una
gioventù che procede avanti, e una che tramonta: da quella l'occhio ama
cogliere il fiore, da questa ritira il piede. Io temo dunque che Eracle sia
chiamato sposo mio, ma l'uomo della più giovane (vv. 547 - 551).
Deianira oramai “era un fiore di ieri”[17].
Il Coro di donne di Trachis si augura di veder giungere Eracle panivvvvmero" (v. 660) pieno di
desiderio grazie all'unzione ricevuta.
Comunque le audacie cattive non pagano: Deianira si uccide ed Eracle muore
straziato dal dono funesto.
“La cultura razionalistica viene a contatto con la cultura magico - primitiva
e ne resta soccombente (Deianira nelle Trachinie di Sofocle)”[18].
Voglio evidenziare alcuni particolari topici che possono colpire lo
studente, o lo spettatore del dramma. Il primo è che
i mostri non muoiono mai del tutto; spesso anche dopo
essere morti uccidono i vivi. Se ne accorge Eracle quando muore per la tunica
di Nesso:"ora quella belva, il Centauro, come era stato predetto, così ha ammazzato,
da morto, me vivo" (Trachinie, vv. 1162 - 1163).
Un locus analogo si trova nell’Oedipus di
Seneca dove Tebe soffre il flagello della peste, pur dopo la
sconfitta della Sfinge: “Ille, ille dirus callidi monstri cinis/in nos
rebellat; illa nunc Thebas lues/perempta perdit " (vv. 106 - 108), proprio quella cenere tremenda
del mostro scaltro riprende la guerra contro di noi: ora quella peste ammazzata
uccide Tebe, lamenta Edipo mentre Giocasta cerca di incoraggiarlo.
La luce del sole significa salvezza: un raggio solare distrugge il bioccolo che, intriso di veleno, ha
attoscato la tunica mandata in dono a Eracle da Deianira (Trachinie, vv. 697 sgg.).
Il sole disfa le cose cattive.
La compassione
Sofocle rileva un aspetto nobile dell’umanità dolente
di Deianira la quale prova una compassione piena di spavento (oi\kto~
deinov" ,
v. 298) vedendo le ragazze di Ecalia portate
schiave da Eracle e pensando ai mutamenti della sorte, anche della propria,
certo, ma quella che suscita in lei la pietà più grande è la splendidissima
Iole poiché le sembra l'unica che abbia coscienza del suo stato (vv. 311 - 312).
Anche Odisseo nell'Aiace prova compassione
davanti alla rovina del nemico poiché l'eroe impazzito è aggiogato da un
cattivo acciecamento, e perché il suo destino fa pensare a quello di tutti noi
viventi, che siamo solo fantasmi o muta ombra (vv. 121 - 126).
[5]Sono lettere d'amore. in
distici elegiaci,di donne amanti di eroi, e altre lettere di uomini a donne del
mito con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I - XV) uscì secondo alcuni
attorno al 15 a. C. fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione
degli Amores (1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C. Il
secondo gruppo di epistole doppie (XVI - XXI) fu composto poco prima
dell'esilio (tra il 4 e l'8 d. C.). Il metro è il distico elegiaco.
[10] "La radice
deriva dall'indoeuropeo *mn - che ha dato come esito in greco mna - >mnh - , in latino men
- … Nel verbo mimnhvskw la radice mnh
- presenta raddoppiamento" (G. Ugolini, Lexis, p. 315)
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