L’età del businness. 2019
Il contrasto
tra i due ex amanti viene interpretato in maniera politico - antropologica, e ancora
molto attuale, da P. P. Pasolini autore
di una Medea cinematografica che prende spunto da quella di Euripide.
In una
intervista a J. Duflot il regista dichiara che nel suo film ha voluto mettere
in evidenza il contrasto tra la
cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della
barbara:
"Ho
riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto
alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche
citazione (...) Medea è il
confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone,
mondo invece razionale e pragmatico.
Giasone è
l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma
neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico,
la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra
civiltà, alla razza dello
"spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero
dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture",
sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo
la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[1]".
Le due razze
in contrasto insanabile potrebbero essere paragonate agli schieramenti della
battaglia di cui parla Platone
nel Sofista.
In
questo dialogo uno straniero di
Elea segnala una gigantomaciva...peri;
th'" oujsiva" (246a), una battaglia di giganti sull'essere. I due eserciti
sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou'
ajoravtou pavnta e{lkousi tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai;
dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn
diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina,
taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti
fhvsei mh; sw'ma e[con ei'jnai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n
ejqevlonte" a[llo ajkouvein"(246a - b), gli uni dal cielo e dall'invisibile
trascinano a terra tutto, acchiappandolo con le mani proprio come se fossero
rocce o querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un
contatto e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo
sono la stessa cosa, e se qualcuno degli altri dirà che c'è qualche cosa senza
corpo, lo disprezzano completamente e non vogliono ascoltare nient'altro.
Chi
sono questi non miti giganti del materialismo? Secondo A. E. Taylor Platone non allude agli atomisti ma al "crasso,
ottuso materialismo dell'uomo medio"[2].
Il Giasone
della Medea di Euripide, l'uomo che cerca l'utile, può entrare
bene in questa categoria.
E gli avversari, chi sono? "oiJ pro;" aujtou;" ajmfisbhtou'nte"
mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n ajmuvnontai, nohta; a[tta
kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi
th;n ajlhqinh;n oujsivan ei\nai " (246b), quelli che
nel dibattito si oppongono loro, molto cautamente si difendono, appoggiandosi a
regioni superiori e all'invisibile e sostenendo con convinzione che il vero
essere consiste in alcune forme pensabili e immagini incorporee.
I secondi
sono più miti ("hJmerwvteroi" 246c). I primi furono seminati nella terra e
dalla terra sono sorti ("spartoiv te kai; aujtocqovne"", 247c), gli altri sono amici
delle forme"tou;" tw'n eijdw'n fivlou"", 248a).
Meno facile
assimilare Medea a questi, anche se Pasolini la ascrive alla "razza dello
spirito".
Taylor suggerisce che l'eleatico italico faccia riferimento "a certi
sapienti d'Italia che egli chiama anche pitagorici"[3].
Nella
tragedia di Euripide la nipote del sole è stata tradita e abbandonata, come si
sa, e lamenta la rottura del vincolo coniugale da parte del marito invocando
Temi[4] e
Artemide ( Medea, vv. 160 - 163). La giustizia viene menzionata,
evocata e invocata più volte: la donna offesa lamenta il tramonto di Divkh che infatti non sta negli
occhi dei mortali (v. 219).
La
barbara dunque, l' impudica Colchis[5], la
svergognata donna di Colchide, contrappone
la Giustizia all'utile di Giasone il quale "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che è più utile.
In parole più povere e correnti si potrebbe
dire che Medea non accetta le imposizioni di quel "macho fallocratico"[6] di
Giasone.
Medea sprotetta. Bruno Snell
"Euripide
mette accuratamente in rilievo che Medea è totalmente sciolta dai legami che
proteggono l'individuo e gli possono dar sostegno. Essa ha tradito e
abbandonato patria e famiglia per un legame del tutto personale: l'amore che
l'univa a Giasone. Giasone non compie nessuna ingiustizia di fronte alla
convenzione o alla legge, ma in favore di Medea parla un diritto più alto: il
diritto naturale e umano. Essa non può valersi di nessun diritto valido, non
può nemmeno appoggiarsi a una legge divina come l'Antigone di Sofocle, per
controbattere le ragioni di Giasone. Il suo senso personale di giustizia si
ribella, e in lei, la barbara, erompe in forma passionale. Giasone potrà
dimostrare che la sua azione è stata saggia e vantaggiosa per entrambi, ma di
fronte a questo più profondo e (secondo quanto lascia intendere Euripide
stesso) più vero senso di giustizia, la sua figura ci appare assai
meschina"[7].
La mentalità
arcaica e ieratica di Medea si vede nelle sue preghiere antiche, nel suo
invocare Zeus, la Giustizia di Zeus, e la luce del Sole suo avo (w\ Zeu' Divkh te
Zhno;;;" JHlivou te fw'" "(v. 764).
Nel film di Pasolini che impiega, verbum de verbo, solo questo verso della
tragedia di Euripide, e per tre volte le fa pronunciare a Medea per giunta
echeggiata dal Coro[8],
il Centauro maestro di Giasone rileva " il suo disorientamento di donna antica in un mondo che ignora
ciò in cui lei ha sempre creduto". Il culto del Sole è un tratto arcaico
che attraversa molti autori della letteratura europea[9].
Il sole
invitto esorta Medea a tornare nelle sue "vecchie spoglie". Questo
arcaismo la differenzia dal popolo civilizzato di Corinto della cui
intolleranza nei confronti di tale diversità il re si fa portavoce:
"E'
noto a tutti in questa città che, come barbara, venuta da una terra straniera,
sei molto esperta nei malefici. Sei
diversa da tutti noi: perciò non ti vogliamo tra noi"[10].
E' l'eterno
rifiuto della diversità da parte dell'uomo civilizzato e incolto.
Il tentativo
della donna barbara di riuscire gradita ai Greci, tra i quali si è rifugiata, rimanda
a un contrasto che si estende oltre i caratteri dei due personaggi
protagonisti, e comprende il conflitto tra presunta barbarie e presunta
civiltà, una collisione tragica ripreso e sottolineato tanto da Grillparzer[11] quanto
da Pasolini.
A
questo proposito si può ricordare che il drammaturgo austriaco nella sua Medea[12]
mette in rilievo "la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di
intendersi fra civiltà diverse, un monito tragicamente attuale su come sia
difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri"[13].
Intellettuali e potere
Tra
intellettuali liberi e potere non sono possibili rapporti di collaborazione
secondo il Pasolini degli Scritti
corsari che infatti gli sono costati la vita:" il potere e il mondo
che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso
gli intellettuali liberi". (p. 113).
Pasolini
chiarisce: "l'interpretazione
puramente pragmatica (senza Carità) delle azione umane deriva in
conclusione da questa assenza di
cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica"[14].
Qui l'autore
parla del vuoto di Carità dell'Italia degli anni Settanta. Ma riferiamolo
alla Medea di Euripide. Il pragmatismo di Giasone si manifesta chiaramente quando il
seduttore dichiara alla sua ex moglie di avere voluto cambiare donna, prendendo
la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché
ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la
famiglia, o le famiglie, e senza restrizioni (wJ" , to;
men; mevgiston, oijkoi''men kalw'" - kai; mh; spanizoivmeqa), sapendo con certezza che il povero
tutti lo sfuggono (vv. 559 - 560).
Egli insomma "dra'/ ta; sumforwvtata - ghvma" tuvrannon "
(v. 876 - 877) fa
quello che è più utile sposando la figlia di un re, come riconosce Medea,
quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Bisogna chiarire che anche questa
Medea di Euripide impiega, strumentalmente, la cultura dell'utile che pure la
rende infelice, quando blandisce Creonte per ottenere un giorno di permanenza a
Corinto onde compiere la sua terribile vendetta.
C'è anche un
luogo platonico che tratta il problema. Nel primo libro della Repubblica il sofista Trasimaco, un rappresentante della filosofia di potenza,
propugna in forma più diretta, e forse meno ignobile, l'ideologia contenuta
nelle parole e nel comportamento di Giasone. Egli, raggomitolatosi come una
fiera, si dirige contro Socrate, sostenitore della Giustizia, come se volesse
sbranarlo (336b). Quindi afferma che il giusto non è altro che l'utile di chi è
più forte:"to; divkaion oujk a[llo ti h] to; tou'
kreivttono" sumfevron"(338c).
Si può
chiamare in causa e inserire in questa categoria della gente guidata dall'utile
anche la Poppea Sabina di
Tacito: unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat
(Annales, XIII, 45), dove si presentasse l'utile, là
volgeva la libidine.
Si pensi a
tante tra le persone che appaiono nelle trasmissioni televisive. Il culto
del sumfevron (utile)
che precede il kalovn (bello, e bello morale) contraddistingue anche la nostra epoca.
Lo
afferma Hillman:"La
civiltà odierna è tenuta insieme non dall'idea di bellezza, di verità, di
giustizia o di destino, non da una forza basata sulle armi come la pax romana,
non da leggi, divinità, o dalle fedi condivise. Soltanto le idee del business sono realmente universali. Se
le idee del business, come il commercio, la proprietà, il prodotto, lo scambio,
il valore, il profitto, il danaro, sono quelle che, in modo cosciente o
inconscio, governano la vita umana del pianeta, allora sono queste le idee che
concorrono a dare al business il suo potere, stabilendo il suo impero mondiale
al di là di ogni confine geografico e di ogni barriera di costume"[15].
"Giasone
non ama nulla. Ci viene presentato come l'egoista puro, un cinico, passato
attraverso l'insegnamento dei sofisti e che ne parla il linguaggio"[16].
In maniera
analoga a Giasone si comporta Carlo
Grandet quando scrive a sua cugina Eugenia che lo aveva atteso per
sette anni, amandolo, dopo che si erano giurati amore eterno:
"L'amore,
nel matrimonio, è una chimera. Oggi la mia esperienza mi dice che bisogna
obbedire a tutte le leggi sociali e salvaguardare col matrimonio tutte le
convenienze volute dal mondo(…) Oggi io posseggo ottantamila lire di rendita.
Questo denaro mi consente di unirmi alla famiglia d'Aubrion, la cui ereditiera,
una giovane di diciannove anni, mi porta col matrimonio il suo nome, un titolo,
la carica di gentiluomo onorario di camera di sua Maestà, e una posizione fra
le più brillanti. Vi confesserò,
mia cara cugina, ch'io non amo affatto la signorina d'Aubrion; ma,
unendomi a lei, assicuro ai miei figli una situazione sociale i cui vantaggi
saranno in avvenire incalcolabili"[17].
continua
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[1]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in
Naldini, Pasolini, una vita , p. 81.
[9] Ho preparato un'ampia scheda sul culto del sole nella mia Antigone (Loffredo,
2001, pp. 48 - 51). Ne utilizzerò una parte più avanti.
[13]C. Magris in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea Variazioni sul mito,
a cura di M. G. Ciani, p. 17.
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