Le culture
diverse non vanno eliminate o criminalizzate: devono essere comprese. A
proposito della diversità delle culture si può ricordare che Franz Grillparzer
nella sua Medea[1] mette
in rilievo "la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di
intendersi fra civiltà diverse, un monito tragicamente attuale su come sia
difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri"[2].
In una
intervista a J. Duflot Pasolini dichiara che nel suo film Medea ha
voluto mettere in evidenza il
contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e
ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea tutti i
temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce di Euripide, mi
sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto
dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo
invece razionale e pragmatico. Giasone è
l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma
neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico,
la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra
civiltà, alla razza dello
"spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero
dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture",
sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo
la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[3]".
Il classico
aiuta a comprendere l'altro tanto per via delle analogie quanto delle diversità
rispetto al nostro mondo di oggi. "Evocare l'altro - da - sé che è dentro
di noi (il "classico") può allora essere un passo essenziale per
intendere le alterità che sono fuori di noi (le altre culture), se sapremo
ripetere con piena consapevolezza le parole di Rimbaud." 'Je est un
autre"…Quanto più sapremo guardare al "classico" non come una
morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di
profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni
giorno come un potente stimolo a intendere il "diverso", tanto più da
dirci esso avrà nel futuro"[4].
La conoscenza
rispettosa dell’altro, della sua diversità, è necessaria per comprendere se
stesso, secondo il principium individuationis :"Nel voler
superare la distanza degli opposti consiste la u{bri" di Serse, quando pretende
di aggiogare le due cavalle o le due rive dell'Ellesponto, e
cioè terra e mare. Ma perché la differenza sia 'salva', dovrà essere compreso
che il differire è to; Xunovn - che proprio l'assolutamente distinto abbisogna sempre,
per esser 'salvo' in quanto tale, dell'altro e della distanza dall'altro"[5].
Con l'aggiogamento delle due cavalle Cacciari allude al sogno di Atossa
dei Persiani di Eschilo: la regina madre descrive la sua
visione notturna: le apparvero due donne (vv. 180 ss.), una munita pepli
dorici, l'altra adorna di vesti abiti persiani, entrambe grandi, belle e
sorelle di stirpe. Simboleggino la Grecia e la Persia. Tra le due scoppiò una
lite: quindi il re Serse cercava di ammansirle e le aggiogava al carro con le
cinghie sotto il collo. Una delle due si esaltò per questa bardatura e porgeva
la bocca docile alle briglie, mentre l’altra recalcitrava (ejsfavda/ze, v. 194), con le mani spezza le
redini del carro, e lo trascina a forza senza freni e rompe il giogo a metà.
Allora, continua la regina, cade il figlio mio, e gli si accosta Dario e lo
compiange; e Serse, come lo vede, si lacera le vesti addosso al corpo (pevplou~
rJhvgnusin ajmfi; swvmati, v. 199).
Per quanto
riguarda l'Ellesponto il riferimento è ancora ai Persiani di
Eschilo, quando lo spettro di Dario denuncia la temerarietà (qravso" ) del figlio il quale sperò di
trattenere con delle catene il sacro Ellesponto, come fosse uno schiavo, e il
Bosforo, fluida corrente sacra al dio; e mutava forma al passaggio: avvintolo
con ceppi martellati, preparò una grande via a un grande esercito (vv. 744 - 748).
Nella Parodo
il Coro rammenta che “l’esercito distruttore di città è passato nella terra
vicina, situata sulla riva opposta, dopo avere varcato per mezzo di zattere
legate con funi lo stretto di Elle Atamantide, e avere gettato intorno al collo
del mare il giogo di un sentiero dai molti chiodi ( zugo;n ajmfibalw;n aujcevni povntou, Persiani, vv.
65 - 72). Si tratta di
un ponte di barche descritto da Erodoto (VII, 36).
[2]C. Magris in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea Variazioni sul mito
a cura di M. G. Ciani, p. 17.
[3]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il
sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita ,
p. 81.
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