Breve stralcio della conferenza che terrò il 18 ottobre a Pordenone
Gli Sciti fanno un discorso saggio che smonta
l’automitopoiesi di Alessandro (328 a. C.)
Se fossi grande quanto sei avido, il mondo non ti conterrebbe: sic
concupiscis quae non capis ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri
Magni, 7, 8, 13), così
desideri ciò che non arrivi a prendere.
Vide ne…decĭdas (7, 8, 14) Stai attento a non cadere dalla cima
dell’albero con i rami cui ti sarai impigliato. Quid nobis tecum est?[1] (16). Noi non abbiamo invaso la tua terra: “Nec servire ulli possumus nec imperare
desideramus” [2] (7, 8, 16). “Dona
nobis data sunt, ne Scytharum gentem ignōres, iugum boum et
aratrum, sagitta, hasta, patĕra”[3] (7,
8, 17), sono contadini, guerrieri e sacerdoti. Offriamo i prodotti della terra
agli amici, mentre i nemici li attacchiamo, da lontano con le frecce, da vicino
con le lance. Tu che ti vanti di venire a caccia di predoni omnium gentium, quas adistis, latro es[4] (7,
8, 19). Il nostro paese è sconfinato, la tua fortuna no: “Prōīnde
fortunam tuam pressis manibus tene: lubrĭca est nec invita teneri potest…impone
felicitati tuae frenos, facilius illam reges” (7, 8, 25).
Noi diciamo
che la Fortuna è senza piedi: possiede solo mani e ali: “cum manus porrĭgit,
pinnas quoque comprehende” (7, 8, 25), quando ti porge le mani, afferrale
anche le ali.
Denique, si
deus es, tribuere mortalibus beneficia debes, non sua eripere; sin autem homo
es, id quod es, semper esse te cogita: stultum est eorum meminisse, propter
quae tui obliviscaris, ”, pensa sempre di esserlo: è da stolti ricordare le
cose per le quali dimentichi il tuo stato (26).
Cfr. Seneca: Illi mors
gravis incǔbat,/qui, notus nimis omnibus,/ignotus moritur sibi (Thyestes, vv. 401 - 403).
Noi non
giuriamo sugli dèi: “nos religionem in ipsa fide ponimus: qui non reverentur
homines, fallunt deos” (7, 8, 29), quelli che non rispettano gli uomini,
ingannano gli dèi.
La fides dunque
come essenza della religio. Ha la forza del sacro. Questo valore
forte degli Sciti è tale anche per i Romani e anche per il re macedone.
[2] Cfr Otane che
nel dibattito costituzionale tra i nobili persiani, essendo prevalsa la
monarchia, non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una
specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai
ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né
essere comandato
[3] Erodoto
racconta tra le cose non credibili che durante il regno dei figli di Targitao, capostipite
degli Sciti, caddero dal cielo degli oggetti d’oro: “a[rotro;n te
kai; zugo;n kai; savgarin kai; fiavlhn” (4, 5, 3) un
aratro, un giogo, un’ascia e una coppa. Simboleggiano probabilmente le caste di
contadini, guerrieri e sacerdoti.
[4] I Romani secondo Calgaco sono:
"Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare
scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non
Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu
concupiscunt (Tacito, Agricola, 30). Così pure il Mitridate di Sallustio che
nelle Historiae[4], scrive al re dei Parti Arsace una lettera anti - imperialista:
"Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus
causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum "( Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di
fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di
ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem
pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a
principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4),
come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia
verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio
non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?
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