A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
“Ciao bellino, ti sono mancata?”
Mi vezzeggiava.
La guardai provando un senso di gioia; poi, riordinate le idee confuse dal sonno, resomi conto della situazione bella assai e del tutto vera, mi feci vezzeggiatore a mia volta e risposi: “Sì tesoro. Eccome mi sei mancata: più del sole maturo sui colli di Grecia rimpianto mentre viaggiavo attraverso quella terra pallidula, rigida, con gente esangue, stremata: niente e nessuno mi ha consolato della mancanza di te che oramai mi uccideva, splendidissima amante.
“Nemmeno io ho conosciuto consolazione né tregua all’affanno in tua assenza”, rispose lei soddisfatta. Non aggiungemmo altro ché non era il momento. Facemmo l’amore tante volte, non dico quante perché nessun invidioso possa gettarci il malocchio.
Quella mattina non ebbi pensieri malati: non mi lasciai turbare dall’infame sospetto che fare l’amore fosse un vizio meritevole di pene infernali.
Un piacere non privo gioia toglieva forza e ardire ai due mostri desiderosi di avvelenare ogni bene: la furibonda megera clericale che voleva farmi ripudiare la bella compagna di letto iniettandomi il pensiero malato che non potevo amare una donna meno pura e casta della Vergine madre; poi l’altra strega: la pronuba avida e disonesta che come un assillo mi pungeva e gridava: ricordati che il matrimonio è un affare e non puoi sposare né amare una priva di patrimonio.
Questo mi era stato inculcato fin da bambino.
Tuttavia quel 2 gennaio i due malvagi maestri, progenie della rachitica deformità, dei pallidi morbi, della fredda miseria, dello sconforto livido, confutati e sbaragliati dalla bellezza di Ifigenia, abbagliati negli occhi cisposi e confusi nelle menti deboli e inferme dal luminoso splendore della mia amante, si rintanarono nel loro lurido covo e tacquero. Ma quel covo purtroppo era dentro di me. Bastava poco infatti perché i due perversi uscissero dalla caverna più lurida e sconcia delle stalle di Augia, per riprendere a soffiare miasmi con lena maggiore, a sputare catarro, a gocciare bava corrotta, a schizzare sterco quali fetide Arpie, sulla mia gioia precaria, perché insomma tornassero a insozzarmi il cuore e la mente a rendere disgustosa e vomitevole la vita beata che stavo assaporando con gusto.
Bologna 6 novembre 2023 ore 16, 07 giovanni ghiselli
p. s.
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