A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
L’ordine mentale rispecchiava l’aspetto pulito del cielo.
Ora so che quel gradimento della bella ragazza era soprattutto la riconoscenza della voluttà ricevuta generosamente da lei.
A metà mese però una nuvola nera attraversò il nostro cielo, per fortuna senza indugiare troppo. Il 14, mercoledì, appena finita la scuola, avvisai Ifigenia che nel pomeriggio dovevo andare a Pesaro per fare un favore a una delle mie zie: la valetudinaria che lamentava da quando la conobbi bambino di essere vicina a morire. Di fatto è arrivata a 99 anni. Se ci arrivassi pure io, ne avrei altri 20 da vivere ancora.
Le sono grato perché mi ha lasciato una casa il cui affitto concede qualche tregua al mio regime di vita assai trito e parco. Se posso permettermi qualche viaggio, alcuni spettacoli e dei libri, lo devo a questa zia.
Diceva che ero il suo nipote prediletto, e io mi prendevo qualche cura di lei. Aveva telefonato la sera prima chiedendomi aiuto: voleva farsi curare a Bologna perché non si fidava dei medici dell’ospedale di Pesaro. Sapeva della mia amicizia con Esculapia e voleva essere ricoverata nella clinica dove lavorava. L’amica dottoressa fu buona e promise il suo aiuto. Sicché avvisai la zia Giorgia che sarei andata a prenderla nel pomeriggio.
Ifigenia se ne dispiacque: “così oggi non facciamo l’amore. Mi mancherai tanto”
“Anche tu, ma consoliamoci: è solo per oggi. Domani ci vediamo a scuola poi andremo a casa mia dove faremo scintille”.
Poco prima che partissi però la zia Giorgia fece una telefonata dicendo che quel pomeriggio non si sentiva di viaggiare perché la notte aveva dormito male. “Capisco”- le dissi- rimandiamo”. Faceva parte della sua strategia darsi per malata a morte: credo che fin da bambina avesse adottato questo espediente per attirare le premure: era, secondo lei, il tornaconto della malattia. Non bisogna mai rovinare il carattere dei giovani assecondandoli quando si lagnano perché pensano di poter trarre vantaggi dalle loro debolezze che poi diventano malattie mentali e pure fisiche. Durante i due anni sciagurati della mia depressione ero caduto anche io in questo orribile vizio. La gente mi compativa e io sprofondavo sempre di più finché Fulvio mi disse: “caro mio, non ti manca niente. Se non la smetti di lamentarti ti prendo a bastonate. Se minacci ancora di ucciderti, ti ammazzo io con queste mie mani”. Eravamo nel luglio del 1966.
Mi salvò e gli ho voluto bene per sempre. Mi ha guarito e pure educato.
Dovetti scusarmi con Esculapia che fu buona un’altra volta e disse che la zia poteva contare su di lei.
Bologna 10 novembre 2023 ore 20, 28 giovanni ghiselli
p. s.
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