martedì 7 novembre 2023

Ifigenia LXII. Valle di lacrime poi valle di gioie

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Il tre gennaio Ifigenia non si fece sentire e tornarono a punzecchiarmi gli assilli. “Perché non ti cerca?” Quindi, senza aspettare la mia risposta replicavano essi stesso con i loro grugni dissacratori abituati a indagare nel
 fango e nel letame: “il caso è uno solo: delle sue grazie gode quel venditore ambulante”. In effetti non mi era chiaro se avesse lasciato del tutto il marito.
Allora il mio sentimento affannato, se voleva riprendere lena,  doveva tornare alle belle estati di Debrecen , alla grande foresta sempre viva e frusciante nella memoria ancora attraversata dal vento odoroso che accarezzava le fronde e le rendeva canore di voci pofetiche beneauguranti.
Oppure ai viaggi in Grecia dove  andavo a cercare salute mito e poesia e nell’imbarcarmi baldanzoso, se  incrociavo due della ciurma, gridavo: “Nunc agite, o socii, propellite in aequore navem ", ora avanti, compagni, spingete nel mare la nave.
Questi ricordi mi aiutarono e mi portarono bene. Infatti i giorni seguenti Ifigenia veniva a trovarmi piena di amore: ibi illa multa iocosa fiebant quae ego volebam nec puella nolebat. La ragazza bella non aveva altro amante che me.  Gli atti soavi di lei mi rassicuravano.
 
Venerdì 12 gennaio non venne a scuola senza avermene preavvisato. Mi mancava al punto che il liceo Minghetti pur brulicante di belle ragazze mi sembrava un deserto. Eppure non ebbi l’angoscia. Ero ottimista sul nostro amore. Al punto che terminate le ore di lezione andai nel  bar dei nostri intervalli sperando di vederla arrivare. Sentimentalmente, non razionalmente. Guardavo la porta nell’attesa che si aprisse mostrando la luce del suo  sorriso amabile.
In effetti quel momento epifanico giunse e si avverò. Mi lanciai ad abbracciarla tre volte (tri;~ me;n ejformhvqhn)  ed ella  ma ella non volò via simile all’ombra o anche al sogno,  skih'/ ei[kelon h] kai; ojneivrw/-e[ptat j  come la madre di Odisseo[1].
Ci baciammo a lungo, quindi attraversammo il centro della città rimanendo semiabbracciati e sorridendo a chi ci guardava con simpatia. Sentivamo di avere un potere buono: quello di comunicare alle persone il nostro benessere, la nostra  simpatia per la vita.
Faccio un esempio la cui funzione educativa e dimostrativa è inobliabile: a un collega calvo, stanco, annichilito anche nel nome, si chiamava Nullo ed era una cara persona, una mattina scendendo le scale mi domandò: “Quid agis in hac lacrimarum valle?”
“Correggi ottimo Nullo, asciuga quelle lacrime tue che non hanno ragione di essere e ripeti con me: danzo in questa valle di gioie e canto e faccio l’amore”. Il collega amico, sorrise, ringiovanito dal mio buonumore.
 
Bologna 7 novembre 2023 ore 11, 38 giovanni ghiselli
 
p. s.
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[1] Cfr. Odissea, XI, vv 206-208.

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