A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
I nostri tripudi furono talmente sfrenati che causarono la frattura di una delle quattro gambe di ferro dell’ampio letto. Sentimmo uno schianto poi ci trovammo inclinati con le facce rivolte al pavimento. Il cuore però stava in alto. Ci guardammo trasecolati per qualche secondo, poi ci facemmo una risata divertiti e orgogliosi di avere causato la rottura del ferro con la frenesia del nostro amore incontenibile. Di sera c’era la festa del compleanno di Paola l’altra supplentina e forosetta graziosa. Aveva invitato allievi e colleghi. Era quasi un festival del nostro ambiente scolastico. Il preside per fortuna non era venuto, né alcuno della sua cricca di anziani presunti savi. Si poteva stare allegri: “vieni vieni carino, godiamo, che piacer che piacer che sarà” canticchiò Ifigenia già pronta e esibire il nostro amore. Eravamo contenti di farci vedere insieme, soddisfatti dei buoni apprezzamenti sul nostro conto, sprezzanti dei giudizi sprezzanti. Avevamo imparato lo spernere se sperni necessario per sopravvivere. Sentivamo di avvalorarci a vicenda. Io avrei preferito non ostentare troppo il nostro benessere ardente. Ifigenia però non si tatteneva e mi riempiva di baci in continuazione. Se cercavo di limitarla, diceva: “stai buono, stai fermo, stai zitto: per te è una fortuna!”. Tacevo sperando che non esagerasse. Invece quando l’allegria era vicina al culmine ripetè il colpo di scena del Mulino bruciato:
“Facciamo l’amore”, mi popose.
“Vuoi scherzare? Dove?”
“Nel letto dei genitori di Paola che ce l’ha preparato”.
“Sei matta, siete impazzite tutte e due?” domandai spaventato e incuriosito dall’intrigo erotico ordito dalle due supplentine.
“Se ci trovano nudi e abbracciati nel loro letto-aggiunsi-i padroni di casa fanno scoppiare uno scandalo tragico per noi due anche se comico per gli altri”.
“Hai ragione: allora andiamo nel gabinetto a fare l’amore senza denudarci del tutto. Se busseranno diremo che sto tanto male e tu mi reggi la testa”
La guardavo esterrefatto e pure un po’ lusingato. Lei mugolava fissandomi. Così mi invogliava. Però avevo paura e glielo dissi.
Sicché Ifigenia ripiegò su una proposta meno rischiosa: “Andiamo a farlo in macchina, subito!” Per resisterle avrei dovuto fare una scenata. Potevano scapparci anche delle botte da una parte e dall’altra. Non riuscivo più a rifiutarmi davanti a tanta risolutezza imperiosa. Perciò ci scusammo dicendo che avevamo bisogno di muoverci e frescheggiare un pochino. Quindi uscimmo di casa ed entammo nella nera Volkswagen, la spostammo abbastanza da non essere visti dalle finestre e copulammo un paio di volte. Ogni tanto alzavo la testa per vedere se si avvicinasse qualche mostro del quartiere con intenzioni malvagie. Ifigenia mi esortava a non perdere concentrazione. Quindi tornammo nella casa della festeggiata cui Ifigenia fece un cenno di intesa.
Un’ora più tardi tornammo a casa, ognuno alla sua.
Avevamo fatto una scena da zingari dionisiaci, da volgari mimi di avanspettacolo. Niente a che vedere con le epifanie artistiche che avremmo voluto creare per educare un popolo intero. Allora eravamo come due arricchiti sessuali che vogliono sfoggiare la potenza erotica con la stessa ajpeirokaliva, ignoranza del bello e cattivo gusto dei cafoni che si vantano di quanto possono spendere in locali cosiddetti esclusivi. Ora intendo che certi locali devono essere esclusi da me e da ogni persona perbene. E pure queste scene, del resto.
Bologna 12 novembre 2023 ore 20
p. s,
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