A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
Scrivevo mentre i miei ginnasiali facevano il primo compito di latino
Ifigenia è chiamata Nike perché sentivo che alleato con lei potevo vincere la gara davvero olimpica contro l’incapacità di amare inoculatami da familiari, preti, cattivi maestri.
La concupiscenza ridondante, mischiata ad angoscia, a esibizionismo, a capriccio, doveva perdere quanto aveva di teatrale, di spettrale e di sadico e diventare amore.
La grazia di Priapo abbondante e continua non era ancora bastata a debellare le due erinni crudeli: la lurida vergine figlia dell’Odio e la meretrice avida, mai sazia di possedere.
Queste furie dal ventre appestato, pur temporaneamente confutate, erano ancora presenti e vive negli interstizi ancora infetti dell’anima mia.
La dolce stagione incipiente mi stava aiutando ma già nel mese di agosto quando la forza del Sole iperione cominciò a declinare e la mia splendida Nike iniziò a spennacchiarsi, oscurarsi, ingrugnirsi insomma a deformarsi, le due Erinni intonarono l’orrendo alalà della loro vittoria e mi ritolsero la Nike oramai degradata a misera cosa mortale debole, bugiarda, infingarda.
Erano mancate nell’uno e nell’altra l’intelligenza e la forza morale necessarie a trasformare e sublimare la libido in affetto, attenzione, cura della persona umana, la propria e quella dell’amante.
Diventammo invece una coppia scellerata: due amanti che, pur copulando, simulavano e dissimulavano, per mutua sfiducia e per odio reciproco, come vedrai lettore. Ma intanto ti trascrivo la lettera del 20 marzo.
Bologna 13 novembre 2023
giovanni ghiselli
ore 11, 55
p. s
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