A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
Chiesi il conto, lo pagai e
presi la ricevuta fiscale temendo che venissero a importunarmi per
recapitarmela, magari mentre facevamo l’amore, se ci fossimo riusciti in uno
dei luoghi inameni intravisti arrivando nella trattoria.
Il campo meno implausibile era comunque bruttissimo, quasi tartareo: ingombro di rottami rugginosi, recinto dalla ferrovia, dall’autostrada con tangenziale e da altre strade tutte percorse da automobili. Dentro però non c’era anima viva. Ci stendemmo per terra tra la carcassa di un camion demolito che tuttavia, enorme com’era, ci riparava dalla vista di tre parti del mondo, e un casotto di legno che ci schermiva dalla quarta,
Stesi sulla terra l’impermeabile dove Ifigenia avrebbe posato la bella schiena e la testa ricciuta, poi ci spogliammo, ci stendemmo e cominciammo.
La ragazza era fresca e umida. Il suo sesso che quasi toccava la madre terra era vivo come un cucciolo vago di salti; il mio nel contatto con il suo ne assorbiva la vitalità giocosa. Questi atti erano scomodi, tuttavia ci appassionarono: da giocosi diventarono gioiosi e vennero iterati finché la terra toccata, premuta e raspata, ci ebbe annerite la mani, le ginocchia, le gambe e ogni parte del corpo accarezzata con dita frenetiche. Perfino le facce.Quando fummo sazi, ci alzammo esausti e felici. Fu una fatica lieta e santa.
Me ne sarei sovvenuto con nostalgia due anni più tardi, quando la giovane briosa stava diventando una cupa, scontenta, stremata istriona vaga di applausi e di lucri, già vicina a inquinarsi in voluttà nefande e rovinose, come il ponhrov~ Arifrade bersagliato da Aristofane[1].
Bologna 10 novembre 2023 ore 12, 03
p. s.
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Ieri261
Questo mese2414
Il mese scorso8695
Il campo meno implausibile era comunque bruttissimo, quasi tartareo: ingombro di rottami rugginosi, recinto dalla ferrovia, dall’autostrada con tangenziale e da altre strade tutte percorse da automobili. Dentro però non c’era anima viva. Ci stendemmo per terra tra la carcassa di un camion demolito che tuttavia, enorme com’era, ci riparava dalla vista di tre parti del mondo, e un casotto di legno che ci schermiva dalla quarta,
Stesi sulla terra l’impermeabile dove Ifigenia avrebbe posato la bella schiena e la testa ricciuta, poi ci spogliammo, ci stendemmo e cominciammo.
La ragazza era fresca e umida. Il suo sesso che quasi toccava la madre terra era vivo come un cucciolo vago di salti; il mio nel contatto con il suo ne assorbiva la vitalità giocosa. Questi atti erano scomodi, tuttavia ci appassionarono: da giocosi diventarono gioiosi e vennero iterati finché la terra toccata, premuta e raspata, ci ebbe annerite la mani, le ginocchia, le gambe e ogni parte del corpo accarezzata con dita frenetiche. Perfino le facce.Quando fummo sazi, ci alzammo esausti e felici. Fu una fatica lieta e santa.
Me ne sarei sovvenuto con nostalgia due anni più tardi, quando la giovane briosa stava diventando una cupa, scontenta, stremata istriona vaga di applausi e di lucri, già vicina a inquinarsi in voluttà nefande e rovinose, come il ponhrov~ Arifrade bersagliato da Aristofane[1].
Bologna 10 novembre 2023 ore 12, 03
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Cavalieri, 1281 ss.
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