giovedì 30 novembre 2023

La provvidenza può provvedere a noi anche affibbiandoci delle difficoltà e perfino dei mali.


 

Concezione simile si trova nel De providentia di Seneca il quale  trova un significato positivo non solo nel lavoro ma pure nelle disgrazie (incommoda)  nei dolori e nelle perdite quali prove per esercitare e temprare la virtus :"Marcet sine adversario virtus" (2, 4), senza un avversario la virtù marcisce; e dio nei confronti degli uomini buoni ha l'animo di un padre, li ama con forza, e ha questi progetti:"Operibus, inquit, doloribus, damnis exagitentur, ut verum colligant robur" (2, 6), con lavori, dolori, perdite, si affannino per raccogliere la vera forza. "Languent per inertiam saginata nec labore tantum sed motu et ipso sui onere deficiunt", infiacchiscono nell'ozio i corpi ingrassati e non solo per la fatica ma per il movimento e il loro stesso peso vengono meno. E' la medesima impostazione del Giobbe biblico:"Se nella cultura occidentale inglobiamo, per l'innesto operato dal cristianesimo, la cultura ebraica, allora la più antica occorrenza di questo "perché"[1] potrebbe essere il Libro di Giobbe "[2]. Questo dovrebbe risalire al V sec. a. C. Ne riporto una massima:"Felice l'uomo che è corretto da Dio"[3].

 

C'è un Giobbe moderno (1930) di Joseph Roth,  un pio ebreo orientale, Mendel Singer:"la sua vita era una perpetua fatica". Aveva un figlio piccolo, Menuchim, che cresceva male, era malato, ma il Rabbi disse alla madre Deborah:"il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l'amarezza mite e la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie limpide e piene di risonanze"[4].

  

Tratta questo tema anche Shakespeare nel Cimbelino[5]  quando Giove “nella teofania che lo vede discendere cavalcando l’aquila fra tuoni e fulmini (l’equivalente pagano del “turbine” dal quale Dio parla a Giobbe), disegna con fermezza il confine fra le competenze umane e quelle divine, formulando la legge che governa l’insondabile giustizia e la segreta caritas provvidenziale della divinità: “Non v’angustiate di pene mortali:/non è vostra, ma nostra la cura./Chi più amo più metto alla prova,/per far che i miei doni, più attesi,/siano ancor più graditi . Tranquilli,/la nostra grande divina potenza/solleverà vostro figlio umiliato” 

 “Be not with mortal accidents opprest;/No care of yours it is; You know ‘tis ours./Whom best I love I cross; to make my gift,/The more delay’d, delighted. Be content;/Your low-laid son our godhead will uplift” V , 4,  99-103:.Questa non è più soltanto la comparsa in scena del tradizionale, risolutorio deus ex machina. Si tratta, invece, di una vera e propria teodicea. Le “pene mortali” sono preoccupazioni esclusive della divinità, e gli uomini non se ne devono angustiare. “Chi più amo, più metto in croce”, sembra dire Giove usando la parola “cross”, e offre la chiave teologica di tutto il dramma; la felicità si ottien soltanto dopo grandi, dolorose prove, ed è un dono gratuito di Dio, che lo ritarda perché gli uomini vi trovino ancor maggiore diletto”[6].

Già Eschilo del resto ha scritto tw`/ pavqei mavqo~ (Agamennone, 177), attraverso la sofferenza, la comprensione.

L’ho sempre creduto e non mi sono mai sottratto ai patimenti necessari a capire.

 

Bologna 30 novembre 2023 ore 10, 30 giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Quare aliqua incommoda bonis viris accidant, cum providentia sit . E' il sottotitolo, probabilmente autentico, del De providentia: perché agli uomini buoni capitano delle disgrazie dal momento che c'è la provvidenza.

[2] A. Traina (a cura di) La provvidenza, p. 8.

[3] La Bibbia di Gerusalemme, Giobbe , 5.

[4] J. Roth, Giobbe, p. 19.

[5] 1609-1610

[6] P. Boitani, Il Vangelo Secondo Shakespeare, p. 95.

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