NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 17 settembre 2019

Beatitudini pagane

Beati nella concezione del Cristianesimo

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“Il makarismós (“Beato chi…) è uno schema retorico caratteristico della poesia antica, dagli Inni omerici (A Demetra 480: “Beato chi ha visto i sacri riti ” fino alle Georgiche di Virgilio (II, 490 ss. : “Felix qui potuit rerum cognoscere causas (…) fortunatus et ille” ecc.). Lo schema del makarismós si applica frequentemente (…) alla beatitudine dell’iniziato, alla felicità di chi ha visto la luce di una rivelazione divina: si vedano per esempio i versi di Pindaro sui Misteri Eleusini (fr. 137 M) o la celebrazione della gioia dei fedeli di Iside nelle Metamorfosi di Apuleio (XI, 16)”[1].

Vediamo altri versi delle Baccanti di Euripide
Nella strofe a della parodo le menadi cantano:
“ O beato chi d’accordo con se stesso w\ mavkar o{sti" eujdaivmwn
conoscendo i misteri degli dèi,
santifica la vita ed
entra nel tiaso con l’anima,
baccheggiando nei monti
con sacre purificazioni,
e celebrando secondo il rito
le orge della grande madre Cibele
alto scuotendo il tirso,
e incoronato di edera
venera Dioniso (vv. 73 - 82).

Infine l’epodo di questo coro con altri momenti di gioia 
“E’ cosa dolce nei monti, quando dai tiasi in corsa
Si cade a terra, indossando
il sacro indumento della nebride, cacciando
il sangue del capro ucciso, gioia di mangiare la carne cruda - wjmovfagon cavrin -
spingendosi sui monti frigi, lidi, e il capo è Dioniso,
evoè.
Scorre latte a terra , scorre il vino, scorre il nettare
delle api.
Bacco sollevando
la fiamma ardente
dalla torcia di pino
come fumo di incenso di Siria
si precipita, con la corsa e
con danze eccitando le erranti
e con grida spingendole,
e scagliando nell’aria la molle chioma.
e insieme con urla di evoè grida così:
“O andate Baccanti,
andate Baccanti,
con lo splendore dello Tmolo aurifluente,
cantate Dioniso
al suono dei tamburelli dal cupo tuono[2] barubrovmwn uJpo; tumpavnwn,
celebrando con urla di evoè il dio dell’evoè
tra clamori e gridi frigi
quando il sacro flauto melodioso
freme sacri ludi che si accordano
alle erranti al monte, al monte: felice
allora, come puledra con la madre
al pascolo, muove il piede rapido, a balzi, la baccante” (Baccanti, vv.135 - 166).

 L’ eventualità di essere felici nell’amore è associata alla temperanza - swfrosuvna - dwvrhma kavlliston qew'n - il più bel dono degli dei (Medea 637 - 638).

Nell’incipit del primo stasimo dell’Ifigenia in Aulide il Coro di donne della Calcide canta:
mavkare" oi} metriva" qeou'
metav te swfrosuvna" mete -
scon levktrwn jAfrodivta" (543 - 545)
beati quelli che sono stati partecipi della dea moderata e con temperanza dei letti di Afrodite. 

Già il coro di donne corinzie nel secondo stasimo della Medea aveva auspicato la moderazione e invocato la temperanza
Prima strofe (vv. 627 - 635)
Gli Amori che oltrepassano l'eccesso e[rwte" uJpe;r me;n a[gan
 non procurano buona reputazione né virtù agli uomini: ma se con moderazione giungesse Cipride (eij d j a{li" e[lqoi Kuvpri"), nessun'altra dea sarebbe così gradevole.
Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro
il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto nel desiderio.

Prima antistrofe (vv. 636 - 644)
Mi abbia cara temperanza,
il più bel dono degli dèi (stevrgoi dev me swfrosuvna - dwvrhma kavlliston qew'n);
né mai Cipride tremenda mi scagli addosso le ire della discordia
e contese insaziabili, sconvolgendomi l'animo
per talami altrui, ma onorando i letti senza conflitti
giudichi con mente acuta le unioni delle donne.

Di tale swfrosuvnh si trova una definizione nel Simposio di Platone dove Agatone fa l’encomio di Eros dicendo che questo dio giovane, bello e delicato “pro;" de; th'/ dikaiosuvnh/ swfrosuvnh" pleivsth" metevcei. ei\nai oJmologei'tai swfrosuvnhn to; kratei'n hjdonw'n kai; ejpiqumiw'n” (196c), oltre che della giustizia partecipa anche della più grande temperanza. Si è d’accordo che la temperanza consiste nel dominare i piaceri e i desideri.

La felicità di vedere la luce
"La luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto
ciò ch'è buono e salutare. In tutte le religioni indica la eterna salvezza, mentre l'oscurità indica dannazione"[3].

Però vedere la luce è fonte di gioia sicura solo su questa terra, dice Ifigenia al padre quando lo prega di non sacrificarla: “to; fw'" tovd j ajnqrwvpoisin h{diston blevpein - ta; nevrqe d j oujde;n : maivnetai d j o}" eu[cetai - qanei'n. kakw'" zh'n krei'sson h] kalw'" qanei'n” (Ifigenia in Aulide, 1250 - 1252), vedere questa luce per gli uomini è la cosa più cara: laggiù non cìè niente: matto è chi si augura di morire. Vivere male è meglio che morire bene.
 Esattamente il contrario di quanto dice Polissena nell’Ecuba di Euripide, come pure l’Aiace e l’Antigone di Sofocle.
 Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma la principessa troiana quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Così Aiace dice al corifeo (vv.479 - 480):"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai - to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.
Infine Antigone alla sorella Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95 - 97).

Ma anche l’Ifigenia di Euripide fa in tempo a cambiare idea e a convertirsi alla morale eroica offrendo la sua vita per la Grecia (Ifigenia in Aulide, 1397 - 1401).

Esistono pure makarismoiv degli uccelli. Aristofane e Leopardi.
Aristofane nella sua commedia dedicata alle creature alate ne fa cantare uno agli stessi uccelli nella II Parabasi:" eu[daimon fu'lon pthnw'n/oijwnw'n, oi} ceimw'no" me;n/claivna" oujk ajmpiscnou'ntai: /oujd j au\ qermh; pnivgou" hjma'"/ajkti;" thlaugh;" qavlpei", beata la stirpe degli uccelli alati che d'inverno non indossano mantelli, né d’altra parte l’ardente fulgido raggio della calura ci brucia (Uccelli , 1088 - 1092). 

 Anche il pessimismo di Leopardi ha dovuto riconoscere qualche felicità agli uccelli: 'E che gli uccelli sieno e si mostrino lieti più che gli altri animali, non è senza ragione grande. Perché veramente, come ho accennato a principio, sono di natura meglio accomodati a godere e ad essere felici. Primieramente non par che sieno sottoposti alla noia. Cangiano luogo a ogni tratto; passano da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile, veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime; esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo della vita estrinseca. (...) E siccome abbondano della vita estrinseca, parimenti sono ricchi della interiore; ma in guisa, che tale abbondanza risulta in loro benefizio e diletto, come nei fanciulli; non in danno e miseria insigne, come per lo più negli uomini"(Elogio degli uccelli ).

 Forse proprio per la sua libertà l'uccello viene perfino collegato alla nobiltà: i tratti degli antichissimi e nobili Guermantes di Proust :"il naso a becco di falco e gli occhi penetranti" sono "caratteristici...di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica: perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una dea con un uccello"[4].

 Dodds chiarisce che l’aggettivo mavkar “describes this happiness from the point of view of an observer, descrive questa felicità dal punto di vista di un osservatore esterno, mentre eujdaivmwn (one of the key - words of the play), una delle parole chiave della tragedia, “gives it from the experient’s point of view, and suggests the reason for it (‘having a good daivmwn)”[5], la dà dal punto di vista di chi la prova e ne suggerisce la ragione ( in quanto ha un demone buono).
Il regius professor of Greek in the University of Oxford fa anche notare che “such formulas of beatitude are traditional in Greek poetry ”, tali formule di beatitudine sono tradizionali nella poesia greca e fa degli esempi: Inno a Demetra (v. 480), Pindaro (fr. 121 Bowra) e Sofocle (fr. 837 Pearson), e aggiunge che mentre le altre promesse di felicità riguardano la prossima vita “the happiness which Dion. gives is here and now[6], la felicità data da Dioniso è qui e ora.

Anche secondo Leopardi è questa la felicità cui aspira l’uomo: “ La felicità che l’uomo naturalmente desidera è una felicità temporale, una felicità materiale e da essere sperimentata dai sensi ( …) una felicità insomma di questa vita e di questa esistenza, non di un’altra vita e di una esistenza che noi sappiamo dover essere affatto da questa diversa, e non sappiamo in niun modo concepire di che qualità sia per essere. La felicità è la perfezione e il fine dell’esistenza (…) Promettere all’uomo, promettere all’infelice una felicità celeste, benché intera e infinita, e superiore senza paragone alla terrena, e a’ piccoli beni che egli desidera, si è come a un che si muor di fame e non può ottenere un pezzo di pane, preparargli un letto morbidissimo, o promettergli degli squisitissimi e beatissimi odori (…) Osservisi che di due future vite, l’una promessa l’altra minacciata dal Cristianesimo, questa fa sul mortale molto maggior effetto di quella. E perché? Perché ci s’insegna che nell’inferno (e così nel Purgatorio) avrà luogo la pena del senso[7].




[1] G. Ieranò (a cura di) Euripide, Baccanti, p. 108.
[2] Il suono del tamburo è considerato liberatorio dal professore di greco Adolph Cusins, il fidanzato di Barbara, maggiore dell’esercito della salvezza nella commedia di Bernard Shaw Maggiore Barbara. Egli dice al futuro suocero, un ricchissimo fabbricante di armi: “You do not understand the Salvation Army. It is te army of joy, of love, of courage (…) It takes the poor professor of Greek, the most artificial and self - suppressed of human creatures, from his meal of roots, and lets loose the rhapsodist in him; reveals the true worship of Dionysos to him; sends him down the public street drumming dithyrambs” (Major Barbara, Act II.) , tu non capisci l’Esercito della Salvezza. E’ l’esercito della gioia, dell’amore, del coraggio (…) Porta via il povero professore di Greco, la più artificiale e autorepressa delle creature dal suo pasto di radici, e libera il rapsodo che è in lui; rivela in lui il vero cultore di Dioniso; lo manda nella pubblica strada a tambureggiare ditirambi.
[3] A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , p. 274.
[4] I Guermantes , p. 82.
[5] Euripides Bacchae, Commentary, p. 75
[6] Op. cit., Commentary, p. 75.
[7] Leopardi, Zibaldone, p. 3498, p. 3501 e p. 3506.

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