lunedì 23 settembre 2019

Rimpiango e invoco il sole: il primo fra tutti gli dèi, la santa faccia di luce

Continua a imperversare l’inverno del mio scontento.
Invoco il sole la cui luce significa salvezza: un raggio solare distrugge il bioccolo che, intriso di veleno, ha attoscato la tunica mandata in dono a Eracle da Deianira (Sofocle, Trachinie, vv. 697 sgg.). Il sole disfa le cose cattive. Quando c'è il sole stiamo all'aria aperta, ci muoviamo di più e mangiamo meno. Io sudio anche meglio con la finestra aperta, abbronzandomi. Poi vado in bici, in salita: tonifico il corpo e riposo il cervello.
Se piove,  lavoro meno volentieri, poi rimango chiuso in casa cercando di mangiare poco per non imputridire del tutto.
A questo proposito leggiamo i primi cinque versi dell’Oedipus di Seneca: “Iam nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar, /lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (vv. 1-5), già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta cupo da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte ha compiuto la farà vedere il giorno.
Il sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce afflitta (lumen triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica) significa il capovolgimento della natura. Imperversa la peste nella città contaminata. La luce che vivifica e rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria che mette in mostra una strage.

1 commento:

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