NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 29 settembre 2019

L'infelicità dipende dal cozzo tra il nostro caos interno e il cosmo

 Anna Casu, Cosmo (2014)

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L' infelicità dipende dal caos interno che cozza con il cosmo
 dell’artefice sommo

Nel Timeo Platone scrive:
e„ mn d¾ kalÒj stin Óde Ð kÒsmoj Ó
te dhmiourgÕj ¢gaqÒj, dÁlon æj prÕj tÕ ¢…dion œblepen· e„
d Ö mhd' e„pe‹n tini qšmij, prÕj gegonÒj. pantˆ d¾ safj
Óti prÕj tÕ ¢…dion· Ð mn g¦r k£llistoj tîn gegonÒtwn, Ð
d' ¥ristoj tîn a„t…wn  (29 a)
se il cosmo è bello e l’artefice è buono è chiaro che guardò al modello eterno; se no, cosa che non è nemmeno lecito dire, ha guardato a un modello già nato. Ma è chiaro a ciascuno che guardò a quello eterno: più bello di quelli nati e l’ottimo tra gli autori

Più avanti (Timeo, 47 b - c) Platone afferma che dio ha trovato per noi e ci ha donato la vista affinché, osservando nel cielo i giri della Mente, ce ne avvalessimo per i moti circolari del nostro modo di pensare, dal momento che sono affini a quelli, agli ordinati i disordinati, e imparando e divenendo partecipi della esattezza dei calcoli veri secondo natura, e imitando i giri della divinità che sono regolari, potessimo correggere quelli che vanno errando dentro di noi 
Vediamolo in greco
qeÕn ¹m‹n ¢neure‹n dwr»sasqa… te Ôyin,
 †na t¦j ™n oÙranù toà noà katidÒntej periÒdouj crhsa…meqa
™pˆ t¦j perifor¦j t¦j tÁj par' ¹m‹n diano»sewj, suggene‹j
™ke…naij oÜsaj, ¢tar£ktoij tetaragmšnaj, ™kmaqÒntej d kaˆ
logismîn kat¦ fÚsin ÑrqÒthtoj metascÒntej, mimoÚmenoi
t¦j toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj, a{" toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj, t¦j ™n ¹m‹n peplanhmšnaj katasthsa…meqa.

Quindi (Timeo, 90, c - d)
p©sa ¢n£gkh pou, kaq' Óson d' aâ metasce‹n ¢nqrwp…nV fÚsei ¢qanas…aj ™ndšcetai, toÚtou mhdn mšroj ¢polepein, ¤te d ¢eˆ qerapeÚonta tÕ qeon œcont£ te aÙtÕn eâ kekosmhmšnon tÕn da…mona sÚnoikon ˜autù, diaferÒntwj eÙda…mona enai. qerape…a d d¾ pantˆ pantÕj m…a, t¦j o„ke…aj ˜k£stJ trof¦j kaˆ kin»seij ¢podidÒnai. tù d' ™n ¹m‹n qe…J suggene‹j e„sin kin»seij aƒ toà pantÕj diano»seij kaˆ perifora…· taÚtaij d¾ sunepÒmenon ›kaston de‹, t¦j perˆ t¾n gšnesin ™n tÍ kefalÍ diefqarmšnaj ¹mîn periÒdouj ™xorqoànta di¦ tÕ katamanq£nein t¦j toà pantÕj ¡rmon…aj te kaˆ perifor£j
è probabilmente necessario che per quanto la natura umana può partecipare dell’immortalità, non ne lasci nessuna parte, dato che colui il quale cura la parte divina e tiene in ordine il demone che abita dentro di sé bisogna che sia sopra tutti felice. La cura del tutto è per ciascuno una sola, assegnare a ciascuna parte nutrimenti e movimenti appropriati. Sono congeniali alla nostra parte divina i movimenti, i pensieri e le circolazioni dell’universo. Dunque ciascuno deve seguire questi, correggendo i circuiti guasti già sulla nascita nella testa, attraverso l’apprendimento delle armonie e circolazioni dell’universo.
Cfr. Giocasta nelle Fenicie di Euripide (543 - 544)

In un altro dialogo Platone consiglia l’assimilazione a Dio (oJmoivwsiς qew' , Teeteto (176b - c). Non è possibile che il male sparisca: è necessario che ci sia sempre qualcosa di opposto al bene su questa terra, questo però non può certo essere situato tra gli dèi, ma va errando attraverso la natura mortale e questo luogo per necessità. Perciò si deve cercare di fuggire da qui al più presto. E la fuga dal male è assomigliarsi a dio il più possibile fugh; de; oJmoivwsi" qew'/ kata; to; dunatovn, e tale oJmoivwsi" consiste nel diventar giusto e santo con intelligenza.

“E' una vergogna essere infelici. E' una vergogna non poter mostrare a nessuno la propria vita, dover nascondere e dissimulare qualcosa"[1].

Essere felici secondo Strabone, geografo dell'età di Augusto, è un atto di pietas, una specie di imitatio Dei, di assimilazione a Dio: "infatti è stato detto bene anche questo: cbe gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene, ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici
eâ mn g¦r e‡rhtai kaˆ toàto, toÝj ¢nqrèpouj tÒte m£lista mime‹sqai toÝj qeoÝj Ótan eÙergetîsin· ¥meinon d' ¨n lšgoi tij, Ótan eÙdaimonîsi [2].

Anche le malattie vengono talora considerate quali segni di colpa. Quando Andrej Bolkonskij domanda al padre: "Come va la vostra salute?", il vecchio principe risponde: "Mio caro, solo gli stupidi e i viziosi si ammalano. Tu però mi conosci: dalla mattina alla sera sono occupato, sobrio, e quindi sano.
“Grazie a Dio, “rispose il figlio sorridendo"[3]
Laboriosità e pietas dunque si addicono molto alla salute. In effetti la Salus per i latini era una divinità, di antica origine italica.
Plauto la menziona più volte (Captivi 529; Poenulus 128).




[1] H. Hesse, Rosshalde (del 1914), p. 78.
[2] Strabone (64 ca a. C. - 24 ca d. C.), Geografia, X, 3, 9.
[3] L. Tolstoj, Guerra e pace, parte prima, capitolo XXIII, p. 146.

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